“Non solo per noi, ma per tutti!” – Ultime notizie dal tavolo di trattativa sui riders

Si è aperto ieri a Roma il tavolo di trattativa sulle condizioni di lavoro dei riders. Le posizioni sono lontane e la trattativa è stata riconvocata.

Qui un breve aggiornamento della situazione attuale con il testo comune presentato dalla rappresentanze autonome dei riders in cui si ribadisce l’importanza di veder riconosciuto il ruolo di subordinazione (con tutto ciò che ne consegue) dei lavoratori rispetto alle piattaforme e si parla di tutele piene e salario dignitoso. A seguire un articolo del Manifesto di Roberto Ciccarelli sullo stato della trattativa a ieri.

TAVOLO NAZIONALE RIDER
2 LUGLIO 2018

Oggi non siamo qua semplicemente come rider di Bologna, Milano, Roma e Torino. Portiamo a questo tavolo, all’attenzione delle piattaforme e soprattutto dell’opinione pubblica, un punto di vista comune che non parla solo di noi, di chi è seduto qua, ma che si è formato tramite tanti momenti di discussione e lotta fra ciclofattorini accomunati dalle stesse condizioni di vita e di lavoro. “Non per noi, ma per tutti”, lo diciamo da tempo. Quello che abbiamo da dire oggi è frutto di esperienze di sindacalismo sociale e metropolitano che hanno costruito la propria legittimità con scioperi, piattaforme rivendicative, assemblee di lavoratori, licenziamenti subiti e contestati.
In questi giorni abbiamo sentito tante e diverse proposte su come dovrebbe essere regolamentato il settore del food delivery.

Poche partivano da quello che effettivamente i lavoratori chiedono e vivono. Anche molte aziende del settore hanno detto la propria ma da parte di queste ultime nulla di nuovo è stato messo sul piatto se non una fotografia del presente basata sul principio del business as usual fatto di co.co.co. o prestazioni occasionali arricchita da minacce vere o presunte (“siamo pronti a lasciare il mercato italiano”) o toni apocalittici (“non si possono concedere troppi diritti”).

La nostra posizione è semplice e, pur avendo bene a mente la specificità di ogni contesto cittadino e di ogni piattaforma, può essere condensata in due punti attorno ai quali tutti i rider sono pienamente concordi: riconoscere la verticalità del rapporto di lavoro, pur in presenza di una app; garantire tutele piene.
Il primo punto riguarda la qualificazione del rapporto di lavoro ed esprime la necessità di riconoscere il carattere asimmetrico del rapporto fra piattaforme e lavoratori. I vari gradi di etero-direzione ed etero-organizzazione permessi dalle app non cancellano, anzi rafforzano il potere di controllo, vigilanza e disciplinamento dei datori di lavoro. In quanto rider, rifiutiamo la retorica secondo la quale le aziende di food delivery sarebbero dei marketplace e i rider dei lavoratori autonomi che collaborano con le piattaforme.

In questo, i rider sono rappresentativi di una trasformazione economica che vede la possibilità di organizzare e il lavoro e di trarne così i benefici produttivi ben oltre quelle condizioni che caratterizzavano la produzione industriale del passato. Non per questo deve essere calpestata la nostra dignità di lavoratori.

Che il lavoro sia fatto per poche ore a settimana o per tante, per un breve periodo o per tutta la vita, da studenti o da lavoratori all’ennesimo impiego poco importa: se il rispetto del lavoro non verrà garantito a tutti, allora tutti sono a rischio di vedere il proprio lavoro trasformato in ‘lavoretto’.

Il secondo punto riguarda invece i contenuti dei contratti. C’è bisogno di dare tutele piene e salario dignitoso a chi fa questi lavori. Si tratta di un aspetto che riguarda i rider così come tanti lavori considerati precari. Cosa vuol dire? Un monte ore garantito, un salario minimo (agganciato ai CCN di settore), copertura assicurativa INAIL piena per infortunio e malattia, contributi previdenziali, divieto del cottimo (in tutte le forme), abolizione di meccanismi di ranking, diritti sindacali.

Come trasformare dunque queste rivendicazioni in una proposta legislativa?
Lo diciamo chiaramente: adeguare la qualifica di subordinati ai rider ci sembra l’unico modo per rispettare pienamente quanto richiesto dai lavoratori stessi. Di più, osserviamo che è stato lo stesso Ministro del Lavoro, Luigi di Maio, a proporre nel cosiddetto “Decreto dignità” presentato 10 giorni fa un’estensione stessa della nozione di subordinazione, così da allargare le tutele che questa comporta anche a lavori come quello del rider.

Ciò non toglie che pensiamo debba essere garantita all’interno dei nostri luoghi di lavoro, ossia nelle città, la possibilità di un secondo livello di regolamentazione in merito a fattori contestuali o in merito ad aspetti specifici dei contratti. Questo non può che essere fatto attraverso un confronto pieno ed effettivo con le forme di organizzazione sindacale che gli stessi rider sceglieranno.

Una recente indagine dell’Adoc (Associazione dei consumatori) ha mostrato come gli stessi clienti sarebbero disposti a pagare di più i servizi di consegna se questo servisse a tutelare meglio i rider. In altri paesi i nostri colleghi hanno contratti diversi e migliori. Anche in Italia fino a qualche tempo alcune piattaforme applicavano la subordinazione ai propri lavoratori, finché la concorrenza sfrenata non ha forzato al ribasso le condizioni contrattuali di tutti i lavoratori.

Quello che chiediamo non è irrealizzabile se lo si vuole davvero e se nessuno si sottrae da una regolamentazione collettiva e uniforme.
Su questo non siamo disposti a trattare perché non è qualcosa che chiediamo in più ma il giusto che ci spetta.

Deliverance Milano
Riders Union Bologna
Riders Union Roma

Al tavolo con i «riders» si parla di contratto, ma sfuma la subordinazione.

Gig Economy. I «riders» dovevano essere lavoratori subordinati, ha stabilito una bozza del governo. Ma al tavolo con le parti sociali tenuto ieri con Di Maio sembra venuto meno. Le incertezze del ministro del lavoro su un principio base nel “food delivery” rischiano di portare a un provvedimento inefficace nella sua battaglia contro la precarietà. Per le trattative ci sono 60 giorni. I ciclo-fattorini in presidio al ministero del lavoro ribadiscono la necessità di mantenere universale, e non corporativo, il percorso: “Non solo per noi, ma per tutti”.

Di tavolo in tavolo è visibile l’arretramento del ministro del lavoro Luigi Di Maio sui ciclofattorini («riders») delle consegne a domicilio via piattaforma digitale («food delivery»). Al secondo tavolo convocato ieri al ministero del lavoro in via Flavia a Roma è andata in scena quella che il vice-premier pentastellato ha chiamato «concertazione»: erano presenti gli autorganizzati Bologna e Roma Union Riders, Deliverance Milano, i colleghi di Torino, i sindacati confederali, le associazioni di impresa (tra l’altro Confindustria), le piattaforme multinazionali e locali. Al termine del confronto Di Maio ha aggiornato il ruolino di marcia di una trattativa dove molto resta da fare, ha fatto notare Susanna Camusso (Cgil).

Nei prossimi 60 giorni, necessari per convertire in legge il «decreto dignità», arriveremo a un bivio: nel caso in cui le parti sociali non trovino un accordo al tavolo Di Maio ipotizza un emendamento sulle tutele minime per i «riders». L’altra strada, definita dal ministro «più avvincente», è una concertazione tra le parti convocate al tavolo e finalizzata alla definizione di un «contratto collettivo nazionale per i riders».

È un cambio di prospettiva rispetto alla «clausola» inserita due settimane fa nel «decreto dignità». Nei primi due articoli era previsto il riconoscimento della subordinazione dei ciclo-fattorini, e non solo, insieme alle tutele per il lavoro digitale: dal lavoro domestico a quello di cura, dal freelancing ai servizi poveri e terziarizzati. Propositi interessanti per lo sforzo di distinguere la natura mutevole del rapporto di lavoro nell’economia delle piattaforme. Avrebbero costituito un’innovazione nel dibatto sulla nuova forza lavoro. Nella prospettiva ribadita ieri non si parla più di estensione della subordinazione, tramite modifica del codice civile, mentre il «contratto nazionale» è limitato ai «riders». La riforma della subordinazione è osteggiata dalle piattaforme – in tutto il mondo – al punto da avere spinto una a minacciare di lasciare l’Italia (Foodora). Avere fatto un passo indietro su questo rischia di non risolvere il problema delle collaborazioni e del finto lavoro autonomo. Agganciare tutele sociali e minimi salariali alla persona, senza chiarire la natura subordinata del rapporto di lavoro può portare a nuovi problemi.

Lo stesso vale per l’altra strada indicata da Di Maio: limitare il «contratto nazionale» ai soli «riders» rischia di normare solo una categoria, mentre l’economia dei lavoretti («gig economy») è trasversale alle categorie e ai rapporti di lavoro. Un simile contratto avrebbe bisogno di una revisione degli altri a cui, eventualmente, afferiscono i lavoratori quando operano su piattaforma. Riconoscere la subordinazione quando si dà materialmente nel rapporto di lavoro – come per i «riders» – e stabilire un nucleo di diritti sociali universali per tutti – dentro e oltre il lavoro digitale e non – è un modo più avanzato per affrontare il dilemma. È probabile che la bozza iniziale del decreto sia stata usata per fare sedere al tavolo le piattaforme. Averla congelata, o rimossa, può portare a un provvedimento inefficace. Una sintesi tra subordinazione e collaborazione per ora non c’è. All’orizzonte si intravede il conflitto tra chi sostiene la subordinazione (è la posizione dei «riders» e dei sindacati) e chi no (piattaforme e associazioni datoriali). E le incertezze del governo non aiutano. È stato scelto il pragmatismo: garantire le tutele ai «riders» e poi capire come estenderle a tutti gli altri. Ma la politica dei due tempi non funziona mai.

«Non solo per noi, ma per tutti» è lo slogan efficace dei «riders». In presidio in via Flavia ieri hanno ribadito la necessità di mantenere un’apertura universalistica, e non corporativa, al percorso del tavolo che sarà riconvocato nei prossimi giorni.

Roberto Ciccarelli

Il Manifesto (03 Luglio 2018)

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