Salario minimo e diritti ai rider: l’Ue si muove, l’Italia sta a guardare
Via libera al negoziato sul salario minimo da parte del Consiglio europeo dei capi di Stato e di governo, intesa tra i ministri del lavoro sulla posizione da tenere con il parlamento europeo nella trattativa sulla trasparenza retributiva e il superamento del divario di genere e, domani, una proposta della Commissione Europea di direttiva sui diritti dei lavori delle piattaforme digitali (i rider e i driver) che stabilirebbe la «presunzione di subordinazione», condizione per garantire il rispetto dei loro diritti sul lavoro.
Da Bruxelles arrivano tre decisioni che attestano una volontà di dare corpo al fantasma del «pilastro sociale europeo», una delle arabe fenici che appaiono e scompaiono in un’aggregazione sovranazionale che pretende di fare politiche economiche senza avere un bilancio comune e evoca i diritti sociali subordinandoli all’idea neoliberale di un’«economia sociale di mercato». Diritti vincolati al mercato e alle decisioni dei governi che li dovrebbero applicare, a seconda delle mutevoli opportunità politiche. È comunque un segnale in continuità con il «piano di ripresa e resilienza» o il programma «Sure» sulle casse integrazioni in tempo di pandemia da Covid.
La proposta comunitaria sui rider prevederebbe il riconoscimento dello status di lavoratori dipendenti delle piattaforme digitali indipendentemente dalla durata del contratto. I rider non corrono il cosiddetto «rischio di impresa», né decidono i prezzi delle merci che consegnano nelle case dei clienti che azionano il loro sfruttamento mentre pensano di telecomandare il panino, la birretta o la cena giapponese come in un videogioco umano gestito da uno smartphone. Una decisione europea, se e quando arriverà, non esime i governi, a cominciare da quelli italiani, a prendere inequivocabili e chiare decisioni.
Fino ad oggi, ma non sono certo gli unici, gli ultimi tre esecutivi italiani hanno molto pasticciato sulla materia e restano intimoriti dal bau bau dei padroni degli algoritmi. Ieri il Ministro del lavoro Andrea Orlando ha espresso le migliori intenzioni. Andrebbe però trovato il coraggio di esprimerle con gli atti politici. Non serve aspettare che i pianeti si incrocino a Bruxelles affinché un governo eserciti i suoi poteri a Roma. Si spera evitando di fare altri pasticci.
Stesso discorso vale per il salario minimo. In questo caso la situazione è ancora più imbarazzante. Una parte della maggioranza Frankenstein dice di essere d’accordo sul provvedimento, nei cassetti del Parlamento ci sono alcune proposte di legge, un’intesa di qualche tipo ci sarebbe anche tra qualche partito (sembra Pd e Cinque Stelle). Ma per ora, il salario minimo non esiste all’orizzonte del governo Draghi alle prese anche con uno sciopero generale. E chissà se, dopo febbraio e l’elezione del presidente della Repubblica, ci sarà ancora.
Come per i rider, non serve usare Bruxelles come alibi per non adottare un provvedimento. L’Italia è uno dei sei paesi europei che non hanno una legge sul salario minimo legale orario. La capziosa opposizione con la contrattazione sembra essere stata risolta a livello europeo con l’indicazione generica di un mix di interventi equilibrato, caso per caso. Nei settori dove non esiste una vera contrattazione formalizzata, si fa rispettare il salario minimo senza però rinunciare all’inclusione nella contrattazione. Ciò non toglie che all’interno della contrattazione esistano livelli minimi di salario vergognosi. Questo non è solo un problema dei «contratti pirata» che avrebbero innalzato il numero dei contratti nazionali, lo sostiene un rapporto del Cnel presentato ieri: 933: +9% sul 2020, +77 nel privato, in crescita da dieci anni. Da tempo i sindacati propongono una legge sulla «rappresentanza». Argomento delicatissimo di democrazia sindacale tutto ancora da affrontare, e sempre rinviato.
Idem, come sopra. Nulla di tutto questo è all’orizzonte del «governo dei migliori», tanto fiducioso nelle virtù profetiche della sua guida postdemocratica, quanto timoroso sui diritti delle persone. In attesa di sbrogliare almeno uno dei problemi è importante discutere di contrattazione. Ma anche delle leggi che regolano il lavoro che si contratta. Ad esempio: il «Jobs Act» in Italia. La contrattazione sarebbe migliore se fosse rovesciato e cambiato. Vasto programma, considerata la modesta qualità e le prospettive della pax draghiana.
di Roberto Ciccarelli
da il Manifesto del 7 dicembre 2021
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