Un mondo di autocrati sotto la Pax di Putin
Putin nell’incontro di Sochi con Erdogan ha fatto fette di torta per tutti e lascia un amaro boccone (Qamishli) anche ai curdi che, traditi dagli Usa, hanno perso il Rojava. Mentre ai jihadisti e all’Isis, usati per nel tentativo di abbattere Assad, si troverà forse un nuova divisa nelle milizie filo-turche. Il mondo arabo e le monarchie del Golfo, che hanno finanziato i jihadisti, approvano. E approva Trump, che voleva: togliersi dal calderone siriano e da un possibile scontro con un esercito Nato.
Ecco il tempo che fa: con un rapido ma prevedibile mutamento di clima politico, lo Zar si occupa anche di noi. Con la fine dell’atlantismo e della Pax americana il Mare Nostrum e il Medio Oriente adesso sono anche di Putin. I suoi caccia pattugliano i cieli siriani, le sue navi le coste, le sue truppe i confini insieme a quelle turche.
Il suo alleato Assad, dopo anni, è tornato sulla frontiera, la Turchia lo ringrazia, compra le sue armi e il suo gas, l’Iran mantiene la sua Mezzaluna sciita e Israele, come volevano gli americani, stringe in pugno il Golan e si affida alla sorveglianza russa sulle milizie filo-iraniane.
Non ci sarà un altro Kosovo come nel ‘99, non ci sarà un’altra Libia come nel 2011. Era il mantra del capo del Cremlino per la sua politica estera e lo ha realizzato da quando è sceso in campo a fianco di Damasco il 30 settembre 2015.
Putin nell’incontro di Sochi con Erdogan ha fatto fette di torta per tutti e lascia un amaro boccone (Qamishli) anche ai curdi che, traditi dagli Usa, hanno perso il Rojava. Mentre ai jihadisti e all’Isis, usati per nel tentativo di abbattere Assad, si troverà forse un nuova divisa nelle milizie filo-turche. Il mondo arabo e le monarchie del Golfo, che hanno finanziato i jihadisti, approvano. E approva Trump, che voleva: togliersi dal calderone siriano e da un possibile scontro con un esercito Nato.
E approva pure l’ipocrita Europa che da anni sulla Siria ripete il solito ritornello sgualcito: «Assad se ne deve andare. La soluzione non è militare ma politica». Gli europei li aspettiamo al varco della prossima conferenza di Berlino sulla Libia: i russi con il generale della Cirenaica Haftar sono pronti anche lì, accompagnati dagli alleati arabi, mentre l’Italia e la Turchia sono schierati con al Sarraj a Tripoli. Con Erdogan ha problemi anche Mosca, Putin però ha dimostrato che sa maneggiarlo meglio di chiunque alleato della Nato. Ma il nostro ministro degli Esteri Di Maio è diversamente strategico: ora deve pensare all’Umbria, non alla Libia.
Certo la Pax Putiniana ci consegna a un mondo di autocrati, dal leader russo a Erdogan, da Assad agli ayatollah iraniani. Tutta gente messa sotto sanzioni, o dagli americani o dall’Occidente. Senza contare che questi Paesi messi insieme non raggiungono il Pil della Germania e quello della Russia è inferiore al prodotto interno lordo dell’Italia.
Visto il vuoto pneumatico lasciato dagli americani, invece di comprare F-35 potremmo finanziare l’Armata Rossa che a sua volta fa uso abbondante di esperti mercenari come la Compagnia Wagner: perché nessuno, a Ovest e a Est, vuole più riportare bare a casa. I morti devono essere gli «altri», come i curdi che hanno sacrificato 11mila uomini e donne contro il Califfato facendo la fanteria degli Stati Uniti. Come li abbiamo ricompensati i «nostri eroi»? Già avevamo consegnato a Erdogan il cantone di Afrin nel 2018 e adesso se prendono a sassate i blindati Usa in ritirata non c’è da stupirsi.
Ma chi mai nella regione, dal Libano all’Iraq, si potrà più fidare dell’Occidente? Il regalo che Trump ha fatto a Putin per tirarsi fuori dai guai è stato recapitato anche ai Raìs, come Erdogan e Assad, ma anche a populisti e razzisti come Orbàn e Salvini. Altro che democrazia liberale.
Ne scrive pure Ian Buruma sul New York Times che sta per dare alle stampe un libro sulla fine dell’ordine anglo-americano e di quella Carta Atlantica elaborata nel 1941 da Roosevelt e Churchill, prima ancora che gli Usa entrassero in guerra contro il Terzo Reich, dove si delineavano le istituzioni post-belliche: Onu, Nato, Fondo monetario, Banca Mondiale.
Tutto è cominciato con la rivolta contro il regime di Assad, un conflitto interno diventato una guerra per procura contro l’Iran – il maggiore alleato di Damasco – nel momento in cui, il 6 luglio del 2011, l’ambasciatore americano Robert Ford passeggiava in mezzo ai ribelli di Hama, il segnale che il regime di Assad si poteva colpire. Poi il coinvolgimento della Turchia, con migliaia di combattenti islamici da tutto il mondo musulmano, finanziati anche dalle monarchie del Golfo.
Gli Stati Uniti e gli europei dopo aver foraggiato tagliagole passati per «moderati», sono intervenuti in Siria non più per rovesciare il regime di Assad ma per bloccare l’Isis usando i curdi. E ora abbiamo mollato tutti. Il massimo della confusione strategica e mentale che ci ha consegnati sul lettino del dottor Putin.
di Alberto Negri
da il Manifesto del 24 ottobre 2019
Il quadro della Siria del nord dopo l’accordo Putin-Erdogan di Sochi
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