Tsipras, una sconfitta che viene da lontano
Syriza perde le elezioni. Torna al potere la destra di Nea Dimokratia con quasi il 40% dei voti.
5 luglio 2015. Se c’è una data da tenere bene a mente per spiegare la sconfitta subita da Tsipras ieri alle elezioni politiche greche è proprio quella del 5 luglio.
Quel giorno si teneva il referendum voluto dal leader greco per cercare di sbloccare lo stallo nella trattativa con l’Europa sul debito.
A fine giugno, vista la situazione d’impasse Tsipras aveva indetto un referendum, il primo in Grecia dopo quello dell’8 dicembre 1974 che, dopo la caduta del regime dei colonnelli, aveva aperto la strada alla democrazia, per sottoporre al popolo greco la bozza d’accordo presentato dalla Trojka ad Atene.
Il piano sottoposto dai creditori internazionali (Commissione europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale) al governo greco per un supporto finanziario era l’ennesimo piano di dura austerità.
La partecipazione fu superiore al 60% e nonostante la campagna di terrorismo mediatico sugli effetti devastanti che avrebbe portato una vittoria del NO i greci si espressero con chiarezza. Il No vinse col 61,31% dei voti affermandosi pressoché ovunque nel paese ellenico.
La campagna elettorale era stata dominata da frasi molto ispirate sia di Tsipras che del suo Ministro delle Finanze Varoufakis sulla campagna di paura organizzata dall’Europa e su un voto che avrebbe riaffermato la dignità del popolo greco.
Pochi giorni dopo il leader greco propose ai creditori un nuovo programma d’accordo, molto meno gravoso per il suo popolo trovando davanti a sé un muro invalicabile.
Atene era sola. La Germania e il suo blocco di potere non arretrarono di un passo nell’ignavia più totale dei vari Renzi ed Hollande che, invece che tutelare gli interessi di un paese in tutto e per tutto simile a quelli da loro governati, decisero di comportarsi pilatescamente.
Con una certa lungimiranza alcuni (pochi purtroppo) coraggiosi scesero in piazza per sostenere le ragioni del popolo greco intuendo che la disfatta di Tsipras sarebbe stata la sconfitta dell’ultima possibilità di uscita dalla crisi “da sinistra” e che, morta quell’opzione, sarebbe rimasto campo aperto per l’ondata reazionaria che si poteva già annusare nell’aria.
Purtroppo fu così. E nonostante quasi 10 anni di feroce opposizione popolare alle politiche di austerità europee (iniziate nel dicembre 2008 con l’insurrezione giovanile seguita all’omicidio di Alexis) che rende i greci, alla pare dei francesi, il popolo più difficile da domare da parte dei guardiani dei dogmi neo-liberisti, Tsipras dovette accettare il diktat della Trojka.
La sua maggioranza andò in pezzi e nonostante la vittoria nelle elezioni anticipate del settembre 2015 il destino del leader greco era ormai segnato. I greci avevano parlato e lui, complice la viltà di tanti altri governi europei, aveva capitolato.
Ed eccoci a ieri con la vittoria dell’ex-banchiere Kyriakos Mītsotakīs e del suo partito ND che torna al potere nonostante sia uno dei massimi responsabili del disastro greco insieme al Pasok.
Crolla Alba Dorata sintomo che i greci, a differenza di noi italiani, non si sono fatti particolarmente suggestionare dagli allarmi sull’immigrazione e hanno votato pensando più all’economia.
Resta l’amarezza di aver intuito quelle che erano le tendenze generali che attraversavano il nostro continente senza però essere riusciti ad articolare un discorso comprensibile ai più. Nonostante le roboante sparate dei sovranisti l’Europa continua a essere uguale a se stessa senza mutamenti di sorta ovvero: money first.
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