Turchia: “non saremo parte di questo crimine”
Nel 2015 il governo turco dell’autoritario premier Erdogan ha lanciato una violenta campagna militare contro la minoranza curda nel Sud-Est del paese. I morti sono centinaia (soprattutto civili) nell’imbarazzante silenzio dei media europei, forse maggiormente interessati al fatto che la Turchia faccia da “argine” all’ondata migratoria in atto dai territori in guerra coi soldi dell’Unione Europea. La Turchia, del resto, è un importante membro della NATO che ha sempre giocato un ruolo ambiguo nei confronti dello Stato Islamico. Ironia della sorte attacca ferocementei Curdi: l’unica forza capace di sconfiggere l’ISIS sul campo. In questa drammatica situazione un appello alla pace lanciato da alcuni accademici turchi ha riscosso un certo successo portando all’immediata reazione delle autorità di Ankara che hanno arrestato 18 firmatari accusandoli di sostegno al terrorismo.
Riportiamo l’appello invitando a firmare inviando le adesioni a: info@retekurdistan.it.
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Noi, accademici e accademiche, ricercatori e ricercatrici di questo paese non saremo parte di questo crimine!
Lo Stato turco ha di fatto condannato i suoi cittadini di Sur, Silvan, Nusaybin, Cizre e di molti altri villaggi e quartieri delle province curde a morire di fame, attraverso l’uso di coprifuoco che sono in corso da settimane. Lo Stato ha attaccato questi insediamenti con armi pesanti ed equipaggiamenti che dovrebbero essere utilizzati soltanto in tempo di guerra. Di conseguenza, il diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza, e in particolare il divieto di tortura e di maltrattamenti garantiti dalla Costituzione e dalle Convenzioni internazionali vengono violati.
Questo massacro mirato e sistematico costituisce una grave violazione delle stesse leggi turche e dei trattai internazionali che la Turchia ha sottoscritto. Queste azioni rappresentano una grave violazione del diritto internazionale.
Chiediamo allo Stato di mettere fine immediatamente a questa politica di annientamento ed espulsione dei curdi e degli altri popoli della regione. Chiediamo anche che lo Stato interrompa i coprifuoco, punisca i responsabili di violazioni di diritti umani e risarcisca quei cittadini che hanno sofferto danni materiali e psicologici. A questo scopo chiediamo che venga dato accesso alla regione a osservatori indipendenti, nazionali e internazionali, e che sia loro permesso di monitorare e riferire sugli incidenti.
Invitiamo il governo a creare le condizioni per i negoziati e a creare una road map che conduca a una pace durevole, che include le richieste del movimento politico curdo. Chiediamo l’ammissione a questi negoziati di osservatori internazionali indipendenti, provenienti da vari settori sociali. Esprimiamo anche la nostra volontà di fare da volontari come osservatori. Ci opponiamo alla soppressione di tutti i tipi di opposizione.
Noi, come accademici e accademiche, ricercatori e ricercatrici che lavorano in Turchia o all’estero, dichiariamo che non saremo parte di questo crimine rimanendo in silenzio e chiediamo la fine immediata della violenza perpetrata dallo Stato. Continueremo a sensibilizzare i partiti politici, il parlamento e l’opinione pubblica internazionale finché le nostre domande non saranno accolte.
L’appello in inglese, francese, tedesco e spagnolo
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