“Allo stagno preferiamo il torrente”

Apriamo un dibattito a/su/per Milano

In queste giornate in molti cominciano ad interrogarsi sul portato del nuovo Decreto Sicurezza di Matteo Salvini: una ulteriore tappa, annunciata da tempo, della guerra dichiarata dal Ministro dell’Inferno ai poveri, ma anche il frutto di una visione societaria sempre più reazionaria e autoritaria. Spesso sentiamo dire, da una certa sinistra, che Milano invece è “un’isola felice”, una “zona desalvinizzata”, accogliente&solidale; sicuramente la metropoli lombarda rappresenta una anomalia rispetto ad un contesto nazionale più generale, ma riteniamo comunque che su questo occorra fare chiarezza e cominciare a discutere seriamente.

Cominciamo immediatamente col dire ai commentatori da salotto che: la corsa della Lega di Salvini per la (ri)conquista di Milano è da tempo già cominciata. I modi della Questura nell’ennesimo sgombero di ZIP e del Csoa Lambretta (con annessi selfie sorridenti di qualche sceriffo di Regione Lombardia e plausi del vicesindaco di Milano), ci hanno confermato come la destra si stesse apprestando a scendere in campagna elettorale già all’inizio dell’estate.
La vicenda a Sesto San Giovanni del progetto socio/abitativo Aldo dice 26×1 e lo sgombero immediato del nuovo ZIP (in via della Signora 5) hanno mostrato poi come il “Governo del cambiamento” (e della famigerata “Circolare Salvini”) intenda condurre senza esclusione di colpi la sua guerra a migranti e occupanti. Una battaglia che si giocherà certamente ovunque, lo sappiamo, ma che già vede Milano in primo piano, anche per il posto speciale che occupa nel cuore di tutta la Lega, che già da sei anni guida saldamente Regione Lombardia e, di elezione in elezione, più di qualche comune della nascente città metropolitana. Non è quindi per campanilismo che ci permettiamo di mettere sul piatto alcuni interrogativi.

Ma siamo proprio sicuri che il contesto milanese sia così invidiabile? Parliamone…
In questi anni abbiamo provato a fare il nostro dando voce, sostenendo e prendendo parte ai conflitti di questa città, consapevoli della nostra parzialità e del nostro essere partigiani, ma sempre con l’obiettivo di allargare la partecipazione e la condivisione di alcune istanze dal basso. L’abbiamo fatto senza provare a dare pagelle o lezioncine, ma partendo da noi e da quanti abbiamo più vicini, consapevoli però di essere, in questa metropoli, una parzialità.

Specie in un momento come questo vogliamo quindi provare ad aprire un ragionamento collettivo consapevoli dei limiti del nostro mondo, ma senza far finta di essere quello che non siamo.

Anche qui proviamo ad essere chiari, non è più tempo di alimentare slogan retorici: il tema “degli spazi sociali” è solo un pezzettino del quadro complessivo di questa città.
Occorre quindi, partendo dalle contraddizioni, mettere in campo uno sforzo, rompendo davvero dal basso (e in tante/i) la falsa narrazione di “Milano città migliore d’Italia” alla Wall Street Journal tanto cara agli addetti marketing del Sindaco Giuseppe Sala, alla Giunta e al Partito Democratico. Milano è una città sempre più per pochi, da decenni in ostaggio della più sfrenata speculazione immobiliare e della più rapace rendita finanziaria: “la metropoli (più cara) d’Italia”, la “città per giovani” ad alta scolarizzazione, ma totalmente precari, la “smart city” con i trasporti pubblici più costosi, “un modello d’inclusione” a colpi di sgomberi delle case popolari, la “roccaforte dei diritti civili” in cui si concentrano i principali gruppi neofascisti, omofobi e antisemiti di questo paese, la “capitale delle start up under 30” in cui i centri sociali sono sotto violentissimo attacco da anni. I movimenti tutto questo lo sanno bene e in questi anni hanno provato a mobilitarsi, con coraggio e pagando in primis la repressione, ma scontando i propri stessi limiti, riproducendo troppo spesso una visione storicamente datata, isolazionista o, peggio, solipsistica.

Ma Milano è anche luogo di sperimentazioni ribelli e virtuose, di solidarietà dal basso e resistenza, di cultura e (ri)produzione sociale messa in comune, di diritti conquistati e difesi, di socialità e sport autogestito: esperienze radicali o esempi spessissimo esterni al mondo degli spazi sociali. Lo vediamo tutti concretamente nel nostro fare politica: nei quartieri, nelle lotte territoriali e per i beni comuni, nei luoghi del sapere o nell’antirazzismo quotidiano; ma, negli ultimi anni, è solo quando i vari pezzi della città degna hanno saputo parlarsi e co-spirare insieme, che si è creata una accumulazione di potenza tale da rompere la cappa in cui tutti siamo immersi.
Non ci permettiamo di dettare la linea, non abbiamo verità o soluzioni ma riteniamo fondamentale discutere con urgenza in modo collettivo, largo e franco. Pensiamo sia ora di provare con tutta la forza, l’intelligenza e la passione di cui saremo capaci a produrre uno scarto e passare dal “resistere per esistere” a disegnare collettivamente e praticare complessivamente una città diversa, anche con quante/i vorranno mettersi in gioco fuori da noi. Molto si muove tra noi, ma moltissimo anche fuori; le mobilitazioni degli ultimi due anni a Milano ce ne parlano chiaramente, da “Nessuna Persona è Illegale” a “Non una di meno”, dalle piazze antifasciste alla nascente mobilitazione contro il CPR di via Corelli o lo spostamento di Città Studi ad Expo.

E’ ora però di costruire solidi ponti, coalizioni, sinergie stabili e alleanze larghe, ma affidabili, tornare a parlare con la città e non alla città, tornare ad essere invasione nelle strade e non avanguardia incomprensibile.
Non è più tempo di chiuderci nei nostri fortini, pensando a salvaguardare solo i nostri singoli spazi o microterritori aspettando che passi la bufera.
L’abbiamo fatto per troppo tempo.

MilanoInMovimento

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2 risposte a ““Allo stagno preferiamo il torrente””

  1. Riccardino ha detto:

    Daje!!! mi piace…..

  2. Anita Sonego ha detto:

    Tenetemi aggiornata sulle vostre iniziative e ricordate che la Casa delle Donne è un luogo di autonomia femminile aperta alla città.

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