Cpr Corelli – Cambiano i governi e le parole, ma restano i lager di Stato

E così, a Milano ha riaperto il centro di detenzione amministrativa per migranti di via Corelli, come aveva voluto l’allora Ministro Salvini e come il Sindaco Sala aveva allora contestato. A realizzare l’obiettivo del capo leghista ci ha pensato il Ministro Lamorgese, espressione del governo Pd-M5S-Leu-Italia Viva, e il Sindaco Sala ora dichiara “io non voglio contestare la decisione del governo”. Peraltro, giusto per essere precisi, va ricordato che Salvini e il governo Lega-M5S si erano limitati a individuare la location di Milano e a raddoppiare il tempo massimo di detenzione dei migranti (da 3 a 6 mesi), ma la riapertura in Italia delle carceri amministrative, ora chiamate Cpr, fu decisa nel 2017 dal governo Gentiloni, a guida Pd, con il famoso decreto Minniti-Orlando.

Che confusione! direte voi, considerato che il tema migratorio è al centro dello scontro progressisti-sovranisti e che viene evocato come questione di civiltà. Ma la confusione è solo apparente, perché quello che è cambiato con il passaggio dal Conte I al Conte II sono sicuramente i toni, ma non la sostanza. Infatti, la vicenda dei Cpr fa il paio con gli accordi con la Libia, rimasti tali e quali da Minniti a Salvini e a Lamorgese, e con l’estrema modestia delle modifiche (annunciate) ai decreti sicurezza del governo Conte I.

Ma il continuismo e le ambiguità sul tema migratorio non sono certo una novità degli ultimi anni. Infatti, tanto per capirci, i centri di detenzione amministrativa sono stati istituiti in Italia nel 1998 dal centrosinistra. Erano i tempi del Governo Prodi e lo strumento fu la legge Turco-Napolitano. Allora si chiamavano Cpt e quello di via Corelli fu tra i primi ad aprire. Poi arrivarono i governi Berlusconi e fu varata la legge Bossi-Fini, che cambiò il nome in Cie e rese il regime detentivo più pesante.

Beninteso, i toni sono importanti e a Milano lo sappiamo più che bene, perché abbiamo vissuto sulla nostra pelle la differenza tra il clima instaurato dalle amministrazioni di destra, compreso il coprifuoco, e le successive amministrazioni di centrosinistra. Sì, i toni sono importanti, ma non bastano se non seguono anche dei fatti. Anzi, in assenza totale di fatti di qualche rilevanza, finiscono per trasformarsi in un’irritante ipocrisia.

È la medesima ipocrisia che attraversa tutta la storia dei Cpt-Cie-Cpr, in tutti i suoi aspetti, da sempre. Chi finisce rinchiuso in quelle strutture non ha nemmeno la dignità di essere chiamato “detenuto”, ma viene definito per legge “ospite”. E il motivo è molto banale: la nostra Costituzione stabilisce all’art. 13 che “la libertà personale è inviolabile” e che una persona può essere privata della libertà soltanto con un “atto motivato dell’autorità giudiziaria”. Ebbene, i migranti che finiscono in questi centri non vedono mai un Pm, un avviso di garanzia, un processo o un giudice, ma soltanto un provvedimento amministrativo del Questore, che successivamente viene convalidato da un giudice di pace, cioè da quella figura onoraria che per il resto del mondo si occupa al massimo di multe. E potremmo andare avanti ancora per molto.

La riapertura di via Corelli è avvenuta in mezzo a un impressionante silenzio pubblico, rotto soltanto grazie alle prime azioni delle realtà e delle persone della rete No Cpr, che già ieri hanno presidiato per ore il Cpr.

Venerdì 2 ottobre, alle ore 18.30 ci sarà poi un’altra mobilitazione contro il Cpr, davanti alla Prefettura. Cerchiamo di esserci!

Infine, un’ultima considerazione. Se la riapertura del carcere amministrativo di via Corelli è inaccettabile e irricevibile, allora è bene che ci mettiamo tutt* in testa che la mobilitazione non potrà cessare fino alla chiusura di quel buco nero dello stato di diritto e che nessun* si potrà sottrarre alla responsabilità di prendere posizione e agire di conseguenza.

Luciano Muhlbauer

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