Perché un assedio al Consolato turco?
La scelta del termine assedio rappresenta la sensazione che le popolazioni curde in Bakur e in Siria hanno vissuto sulla loro pelle da secoli e negli ultimi 10 anni con particolare e rinnovata violenza.
L’assedio in casa, il sentirsi sempre controllati, perseguitati, il sentimento di privazione delle libertà personali fondamentali per condurre una vita degna: assediati nei propri paesi, villaggi, nelle proprie case.
L’assedio popolare è lo strumento scelto per restituire al governo turco il dissenso che reprime, per sottolineare le responsabilità barbare di cui si macchia il dittatore Erdogan, per esprimere a gran voce opposizione verso ciò che è accaduto e sta accadendo e, infine, per ricordare che non c’è nessuna pace, che questa tregua non è reale, che stupri, uccisioni e arresti sono all’ordine del giorno, che le bombe non si sono mai fermate.
Un assedio popolare: e non un assalto, perché per i curdi e le curde la manifestazione di oggi non doveva rappresentare la fine dei giochi.
La Resistenza continua in Siria del Nord e dell’Est.
Una bellissima giornata si è conclusa quindi con un forte No che ha riecheggiato nel fragore rumoroso, nel fumo colorato, negli ortaggi andati male come il marciume del governo turco, nella vernice rossa come il sangue.
Un corteo corposo, colorato, determinato e accalorato ha attraversato le strade della città di Milano disegnando la traccia che segna una linea netta, quella che ci discosta da chi sostiene con un tacito assenso una dittatura interna alla Nato, quella turca.
Lo hanno ricordato le studentesse e gli studenti davanti alla sede della Commissione Europea a Milano: la condanna degli accordi tra Unione Europea e Turchia in materia di immigrazione, l’indignazione per il ricatto a firma Erdogan che tiene sotto scacco Bruxelles e lascia sia legittimata l’invasione turca di territori indipendenti.
Interni al continente delle banche ci sono paesi come l’Italia che da anni vendono morte alla Turchia. La Beretta così come la Leonardo spa e altri fornitori militari da anni fanno affari con l’esercito turco, vendendo gli strumenti di morte e di perpetrazione usati nell’ingente operazione di pulizia etnica.
Questo ha segnalato il grosso razzo fumante davanti alla sede della Beretta a Milano: la responsabilità italiana dietro questo massacro, la necessità che questa responsabilità venga riconosciuta, l’esigenza di fermare questo scellerato business, perché la Turchia è un paese molto lontano dalla democrazia e il suo agire è colonialista e annientatore.
Niente di tutto questo può passare sotto silenzio. Niente di tutto questo può essere censurato: per questo il corteo ha bersagliato di colore blu la sede milanese di Facebook, denunciando le complicità del più grosso social network con il tentativo di pulizia etnica.
Ma non è stato un corteo solo di denuncia.
Più di 10mila persone sono scese in strada per difendere la democrazia radicale, la confederazione di territori e comunità, l’unico modello alternativo al sistema dominante vigente.
Un modello che parla di reale partecipazione della cittadinanza alle decisioni che coinvolgono la società, che sostiene la rivoluzione della donna e della loro autodeterminazione in un momento storico in cui l’attacco contro i generi discriminati, sia a livello istituzionale che nella resistenza della mentalità patriarcale come mantenimento dello status quo, è ferocissimo.
Il Rojava e la Confederazione del Nord e dell’Est della Siria rappresentano l’unico tentativo di realizzare un’idea di ecologia in chiave sociale, di rivoluzione del sapere attraverso il recupero della storia e della scienza della donna, del ribaltamento e superamento del concetto di Stato, in un contesto mondiale in cui lo Stato Nazione è un’istituzione fallita, dispotica per la paura di perdere potere.
L’attacco a questa confederazione è quindi un attacco a un sistema di valori sovversivi contro un sistema tirannico.
Il ruolo che sta giocando la Russia in seguito alla fuga statunitense, inoltre, lo dimostra: l’esclusione di chi ha sconfitto l’Isis dalle trattative con la Turchia, l’allontanamento dal territorio curdo-siriano di Ypg e Ypj costituiscono di fatto il patto di sangue che ha come obiettivo la pulizia etnica dei 100 e passa chilometri di zona cuscinetto regalati a Erdogan. Il governo turco prosegue il secolare progetto di assoggettamento, deportazione e eliminazione del popolo curdo e del Condederalismo Democratico, la Russia diventa partner e interlocutore di diversi attore in Medioriente in un gioco di equilibri pericoloso, i curdi sono scambiati come merce di cui disfarsi una volta che le acque si saranno calmate..
Unica nota dolente quindi di una giornata importante è il non poter fermare oggi quello che continua indisturbato, taciuto dalla sbandierata tregua. L’interesse a tenere il silenzio è evidente oggi nell’assenza di notizie della manifestazione sulla stampa nazionale.
E mentre per la terza volta sembra che il capo dell’Isis sia morto, il nostro compito da qui è ridare voce, svelare l’ingiustizia, diffondere il brutale operato della dittatura turca, costringere i paesi dell’Unione Europea a prendere parola… e farlo con la determinazione di chi sa da che parte stare.
Biji Rojava
Jin jian azadi
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