La Cedu conferma le condanne ai poliziotti della Diaz

La Corte Europea dei Diritti Umani ha chiuso le porte a ogni ipotesi di revisione del processo che portò alla condanna in appello di un certo numero di funzionari della Polizia di Stato accusati di falso per le violenze e le torture nella scuola Diaz.

Il processo, secondo i giudici di Strasburgo, si è svolto in modo equo e le prove portate in giudizio sono state ritenute più che sufficienti per legittimare quelle condanne.

I dirigenti di Polizia avrebbero voluto ribaltare una sentenza che li inchiodava a responsabilità gravissime.

Le parole del Procuratore Generale di Genova Pio Machiavello, in sede di requisitoria, in quel lontano 2010, descrivono perfettamente le condotte criminali commesse: «Non si possono dimenticare le terribili ferite inferte a persone inermi, la premeditazione, i volti coperti, la falsificazione del verbale di arresto dei novantatre no-global, le bugie sulla loro presunta resistenza. Né si può dimenticare la sistematica e indiscriminata aggressione e l’attribuzione a tutti gli arrestati delle due molotov portate nella Diaz dagli stessi poliziotti».

Dunque, non c’è più modo di stravolgere la verità processuale sui fatti di Genova. Resta l’amarezza per uno Stato che non ha voluto fare i conti con ciò che Genova 2001 ha significato nella storia del nostro Paese: non è stato possibile risalire alle responsabilità politiche di quanto accaduto per le strade, nella caserma Bolzaneto e nella scuola Diaz, in quanto il Parlamento non ha acconsentito a mettere in piedi una Commissione di inchiesta; nessuna forza di Polizia ha previsto la possibilità di forme di identificazione per tutti gli agenti e funzionari impegnati in attività di ordine pubblico; non vi sono stati risvolti disciplinari significativi o retrocessioni gerarchiche per i funzionari condannati, anzi alcuni di loro hanno ottenuto rilevanti promozioni di grado, così alimentando sensazioni diffuse di impunità.

C’è stata solo una grande novità dall’estate 2001 a oggi: dal luglio 2017 esiste il crimine di tortura nel codice penale italiano, risultato conseguito dopo un’estenuante battaglia in Parlamento, nella società e nelle aule di giustizia.

Adesso che nessuna sentenza può essere ribaltata, verità storica e verità processuale si assomigliano sempre di più. Affinché non restino dubbi su chi era al vertice della scala di potere a Genova, non è scaduto il tempo per tornare sulle responsabilità politiche dell’epoca, di quei ministri presenti nelle sale di comando, di chi ha messo in piedi quel luogo illegale di tortura che è stato Bolzaneto, di tutti quelli che hanno coperto giorni e notti di violenze brutali, dal cattivo odore fascista.

Non è troppo tardi, anche a distanza di più di due decenni, per riparare pubblicamente le ferite gravi inferte alla democrazia e alla dignità delle vittime, nel nome dello Stato di diritto e di una memoria condivisa.

di Patrizio Gonella, Presidente di Antigone

da il Manifesto dell’8 maggio 2022

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