Le Ong nel porto di Catania: «Non usciamo. Devono sbarcare tutti i naufraghi»

È intorno al porto di Catania che si gioca il braccio di ferro tra il Governo Meloni e la vita di 1.080 naufraghi salvati da quattro navi Ong. Al «molo di levante» è attraccata la Humanity 1. A quello «sporgente centrale» la Geo Barents, di Medici Senza Frontiere. A poche miglia dalle coste del capoluogo siciliano ci sono la Rise Above, entrata venerdì nelle acque territoriali italiane, e la Ocean Viking, che si trova ancora in acque internazionali.

HUMANITY 1

La nave di Sos Humanity ha salvato nelle scorse settimane 180 persone. Ha attraccato in banchina sabato sera. Dopo l’ispezione dei medici dell’Usmaf (Ufficio di sanità marittima e di frontiera) sul ponte ne sono rimaste 35. Scendono minori, donne, famiglie e migranti con problemi medici. 

Ieri il capitano della nave ha ricevuto dalla capitaneria di porto l’ordine di abbandonare il porto e tornare in acque internazionali. In applicazione al decreto interministeriale firmato dai ministri Matteo Piantedosi (Interno), Matteo Salvini (Infrastrutture) e Guido Crosetto (Difesa) che autorizzava la sosta solo per il periodo strettamente necessario alla verifica delle fragilità. 

«Come capitano sono obbligato dalla legge a garantire la sicurezza di tutte le persone a bordo.  Costringere i naufraghi a tornare in mare sarebbe pericoloso. Non vedo nessuna possibilità di navigare legalmente e in maniera sicura», ha risposto nel pomeriggio Joachim Ebeling, tedesco di 59 anni con una lunga esperienza tra le onde. In caso contrario avrebbe rischiato di violare diverse leggi, tra cui il principio di «non respingimento» previsto dalla Convenzione di Ginevra sui rifugiati. 

Oggi il team legale che segue Sos Humanity impugnerà il decreto interministeriale davanti al Tar siciliano e presenterà un ricorso al tribunale civile di Catania per chiedere la registrazione delle domande d’asilo che le persone rimaste a bordo hanno presentato al comandante. «Non ci sono dubbi che lo Stato competente sia l’Italia – afferma l’avvocata Giulia Crescini – Non parliamo più di una richiesta nei pressi della frontiera, ma all’interno del territorio dello Stato».

GEO BARENTS

Sulla più grande delle navi della «flotta civile» che opera nel Mediterraneo centrale c’erano 572 naufraghi. Ieri ne sono stati fatti scendere 357, con gli stessi criteri della Humanity 1. Ne restano 214, perché durante la notte un uomo con forti dolori addominale è stato trasferito in ospedale. Sono attraccati alla banchina del molo centrale. «Se arriverà anche a noi un decreto che intima di lasciare il porto, il capitano si rifiuterà di eseguirlo. Nel rispetto del diritto internazionale del mare», dice Juan Matías Gil, capomissione di Msf. Durante le ispezioni dei medici non erano presenti psicologi né interpreti. Non sono chiari i criteri con cui le persone sono state distinte tra vulnerabili e non, a parte quelli di età, genere e stato familiare.

Sulla nave la situazione è complicata. Ci sono naufraghi che si trovano a bordo da oltre due settimane, in ostaggio delle decisioni del governo italiano, e non riescono a spiegarsi perché a differenza di tanti loro compagni di viaggio non possono toccare terra. L’equipaggio sta facendo di tutto per mantenere la calma. Compito che diventerebbe estremamente più arduo se la nave mollasse gli ormeggi.

I migranti autorizzati a sbarcare si mettono in fila davanti a un container dove ricevono le prime informazioni, indossano una mascherina celeste e tengono le poche cose rimaste dopo la traversata in una sacca blu distribuita dall’equipaggio della Geo Barents. Poi salgano sugli autobus diretti al Palaspedini, un palazzetto dello sport in disuso dove le forze di polizia li identificano e fotosegnalano. «Sono felice di essere qui», dice un ragazzo dalla pelle scura che con le dita mima il simbolo della vittoria in uno dei pochi momenti in cui i giornalisti sono autorizzati ad avvicinarsi alla nave. Durante il resto della giornata sono stati tenuti a distanza, dietro un cancello, con grosse difficoltà a documentare quanto stava accadendo.

RISE ABOVE E OCEAN VIKING

La piccola e veloce imbarcazione della Ong Mission Lifeline ha soccorso giovedì 95 persone. Il giorno dopo è entrata in acque territoriali all’altezza di Siracusa chiedendo un luogo sicuro di sbarco. A bordo della Rise Above ci sono state tensioni ed evacuazioni mediche d’urgenza. Le ultime quattro ieri. «Dopo tre giorni in mare la situazione continua a deteriorarsi. Abbiamo bisogno di un porto», dichiara il portavoce Axel Steier mentre dal mezzo di soccorso si vedono già le coste catanesi. Ma non c’è ancora l’autorizzazione a entrare. Potrebbe arrivare oggi, con gli stessi criteri delle altre.

Sulla Ocean Viking, invece, i naufraghi sono 234. Alcuni attendono da 17 giorni. L’assistenza medica e umanitaria è fornita dal personale della Croce rossa internazionale. «Le cattive condizioni meteorologiche sono dure da sopportare per chi dorme sul ponte. È il periodo più lungo mai trascorso dai sopravvissuti a bordo della Ocean Viking. La loro salute fisica e mentale sta peggiorando. Hanno urgentemente bisogno di un porto», fa sapere la Ong. 

LE REAZIONI

Sui moli del porto di Catania ieri si sono visti i parlamentari Aboubakar Soumahoro (Alleanza sinistra verdi), Antonio Nicita e Giuseppe Provenzano (entrambi Pd). Il primo ha fatto appello al presidente della repubblica Sergio Mattarella affinché faccia scendere tutte le persone nel rispetto della costituzione. L’ultimo ha dichiarato: «È il governo italiano che in questo momento è fuori legge, non queste persone per cui chiediamo il rispetto del diritto e della dignità». 

Sulla vicenda dei migranti bloccati è intervenuto anche Papa Francesco. «La vita va salvata. Il Mediterraneo è il più grande cimitero al mondo», ha detto rientrando dal Bahrein. Sottolineando che i paesi europei devono mettersi d’accordo per non lasciare da soli i paesi di sbarco. In realtà questo discorso può valere per le isole, Cipro e Malta, ma non per l’Italia: i numeri mostrano come accolga meno di altri paesi. Se ci fosse una distribuzione di rifugiati proporzionale al numero di abitanti Roma dovrebbe accogliere di più di quanto fa attualmente.

Applaudono al pugno duro del Ministro Piantedosi le destre, che ieri hanno incassato anche l’endorsement del Primo Ministro ungherese Viktor Orbán. Mantiene un profilo basso, invece, Giorgia Meloni. Forse ha capito che questa forzatura rischia di portare l’esecutivo in un vicolo cieco da cui sarà difficile uscire. O forse perché l’unica ancora di salvezza potrebbe arrivare dall’Unione Europea, magari attraverso il meccanismo volontario di redistribuzione messo a punto dalla ex ministra dell’Interno Luciana Lamorgese, per due anni al centro delle critiche delle destre.

«Catania è una città ad alto concentramento di mafia, precarietà e lavoro nero. Se il Governo Meloni pensa che il nostro problema siano poche centinaia di naufraghi non ha capito nulla. Vogliamo accoglierli come da queste parti abbiamo fatto per millenni», sostiene Dario Pruiti, presidente dell’Arci Catania. L’organizzazione, insieme alla rete antirazzista del capoluogo siciliano, si è data appuntamento alla mezzanotte di sabato al molo di levante, dove era appena arrivata la Humanity 1, ed è intenzionata a rimanere in presidio permanente fino a quando tutte le persone toccheranno terra. 

di Giansandro Merli

da il Manifesto dell’8 novembre 2022

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