Morti in carcere, morti di Stato. Amnistia subito!

Susan John, aveva 42 anni, originaria della Nigeria, dal 22 luglio scorso era in sciopero della fame e della sete dentro il carcere di Torino. Ha rifiutato di alimentarsi per protestare contro il distacco dalla figlia, di soli 4 anni, e dal marito.
Si trovava in carcere per reati legati all’immigrazione clandestina, la sua pena sarebbe dovuta finire nel 2030. È morta di stenti.

Poche ore dopo dalla morte di Susan, nello stesso carcere, si è impiccata con un lenzuolo Azzurra Campari; aveva 28 anni e da tempo soffriva di depressione.
Lei è la 43esima persona che si è suicidata dentro un carcere dall’inizio del 2023.

Il Ministro Nordio è accorso al carcere nel tentativo di placare la situazione, ma al suo arrivo è stato accolto da fischi e urla.
Le persone detenute hanno protestato con delle battiture sulle sbarre con gavette e altre stoviglie urlando “liberà, libertà”.
La protesta da quanto è possibile sentire dall’esterno della struttura penitenziaria, non riguarda un braccio in particolare. Le urla arrivano all’esterno in modo uniforme da tutto il carcere e si sentono anche, miste a fischi, fino al cancello principale.

Il carcere, contenitore di violenze e disuguaglianze, non è mai stato un sistema di rieducazione.
Migliaia di persone subiscono impotenti la violenza di un sistema per definizione punitivo, razzista e classista dentro quattro mura, alla mercè di secondini che sono di fatto lavoratori reclusi pagati per mantenere il controllo e la pressione sulla vita delle persone detenute.
Dentro il carcere, scontano pene anche persone disabili, persone che necessitano di supporto psicologico, ma soprattutto moltissime persone che potrebbero scontare pene alternative fuori da quelle scatole di morte.

In carcere la stagione estiva è quella più difficile: le poche attività si fermano, e il caldo raggiunge livelli disumani.
Notoriamente le prigioni sono posizionate in aree isolate, dove il sole picchia sull’edificio praticamente dall’alba al tramonto; non c’è aria condizionata nelle celle minuscole; le finestre piccole e sbarrate non permettono il passaggio di aria.

È questo che si è disponibili ad accettare in nome del rispetto delle leggi?
Leggi che non abbiamo neanche deciso noi, che ancora fingiamo di definirvi democrazia.
E se il carcere fosse davvero un sistema funzionante, come i “sinceri democratici” sostengono nella difesa di questo sistema, allora perché esiste la recidiva? Perché al posto di svuotarsi, le carceri sono sempre più piene di persone?

L’ultima amnistia concessa all’Italia risale al 1990, ma ancora oggi per i politici sembra una parolaccia.
L’”innominata parola” viene considerato un gesto scellerato, soprattutto in questo periodo storico dove in nome della sicurezza si allarga la cerchia di categorie da perseguire e criminalizzare.
A non far nulla, siamo costrette ad assistere a una macabra conta di morti di Stato.

Nassi LaRage

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