[DallaRete] Sulla questione curda: tra genocidio, diaspora e resistenza
Un report della Conferenza “L’Unione Europea, la Turchia, il Medio Oriente: vecchi crisi, nuove soluzioni” organizzata da GUE/NGL al Parlamento Europeo. Alcune importanti coordinate interpretative di una questione decisiva per gli assetti democratici dell’area.
Il 26 e il 27 Gennaio si è svolta al Parlamento Europeo a Bruxelles la 12ª Conferenza Internazionale sull’Unione Europea, la Turchia, il Medio Oriente e la questione curda dal titolo “Old crisis, new solutions” i due giorni di discussione sono stati organizzati dal gruppo unitario delle sinistre europee e dalle sinistre verdi nordiche GUE/NGL, dal Turkey Civil Commission e dal Kurdish Institute of Brussels. Una folta delegazione italiana di attivisti, attiviste giuriste e femministe vicine alla causa curda ha partecipato allo svolgimento delle due giornate.
Risoluzione di pace e la Turchia degli assedi, del genocidio, della censura
La prima giornata del 26 Gennaio si è aperta con le relazioni dei Nobel per la Pace Josè Ramos-Horta, e Shirin Ebadi, prima donna iraniana musulmana a ottenere, nel 2003, questo riconoscimento, sequestratole però nel novembre 2009 per parte della polizia di Teheran. Riferendosi al genocidio che si sta conducendo in Turchia nei confronti della popolazione curda le parole di Shirin Ebadi sono di netta condanna : «Tutti i governi dovrebbero promuovere la diversità culturale, se un governo non ha questo obbiettivo non può essere considerato un governo “democratico”. Democrazia non è impero della maggioranza, proprio perché questa non ha mai il diritto di annichilire i diritti delle minoranze».
Dopo le elezioni in Turchia del 1º Novembre -successive all’entrata in Parlamento di Giugno dell’HDP – vinte dall’ AKP attraverso minacce, attentati, repressione e brogli elettorali, Recep Tayyip Erdogan ha interrotto il negoziato di pace, e ha iniziato una vera e propria guerra dichiarata, una persecuzione genocida nei confronti del popolo curdo. Attraverso gli assedi continui alle città, con un dispiego di oltre 10.000 soldati, per mezzo di tagli all’ acqua e all’ elettricità, vengono portati avanti attacchi diretti per le strade delle città, vengono colpiti indiscriminatamente civili, donne, uomini e bambini.
È giunta infatti proprio ieri, 8 Febbraio, la notizia, nel silenzio dei governi e della comunità internazionale, rivendicata dal governo turco come giusta operazione per l’ ”uccisione dei terroristi”, del massacro di sessanta persone civili a Cizre: bruciate brutalmente per mezzo dell’utilizzo di armi chimiche. «La democrazia può solo ottenere la sua legittimità nel rispetto dei diritti umani, al di là di qualsiasi risultato delle urne. Un paese come la Turchia che va al governo e disprezza le minoranze culturali del suo paese, minoranze che chiedono processi di pace, non può definirsi civile e democratico».
Shirin Ebadi dopo queste parole racconta come anche in Iran, dove risiedono 6 milioni di curdi, sotto il governo sciita, forti discriminazioni fanno sì che venga negata a parte della popolazione la possibilità di parlare e studiare nella propria lingua e fanno sì che alcuni di loro si trovino in prigione, solo per aver istituito la Rete di diritti umani per il Kurdistan.
In Kurdistan si sta vivendo la tragedia umana del XXI secolo. È Leyla Zana, attivista e politica curda, dopo dieci anni di prigionia, a ricordarcelo. Risuonano sino ad oggi le sue provocatorie domande nell’aula parlamentare: «Di cosa volete che parliamo? I grandi cambiamenti in Medio Oriente e le speranze di pace si stanno riducendo. Volete che parliamo di coloro che sono costretti a emigrare e di coloro che muoiono in mare? Tutto questo è conforme al diritto internazionale?»
È evidente come le guerre portate avanti con il beneplacito e con il silenzio dei governi europei prevedano migrazioni forzate e vittime. Questi due elementi non possono essere usati nell’ambito dell’arena politica solo come pedine strategiche dentro il grande scacchiere delle partite giocate fra gli Stati-Nazione dell’Europa. Perché si tratta oggi di assistere, dentro e oltre il livello diplomatico «al più grande deperimento storico dei valori morali», ha spiegato Leyla Zama.
«Guardate quello che sta succedendo nelle città di Silopi, Silvan, Sur, Cizre: dentro al Trattato di Losanna (1923) è stato sancito che i conflitti abbiano fine il prima possibile». I processi di pace per essere realizzati non si possono basare solo su trattati e accordi, ma si devono basare anche su meccanismi di mobilitazione sociale, in una condivisa consapevolezza storica. L’urgenza espressa è quella di «trovare davvero nuove soluzioni. Perché con le armi, con la violenza e con la repressione, non ci può essere soluzione».
L’assunzione fondante dell’attivista curda, che riflette non solo in termini di procedimenti statuali, è che il problema curdo, nella sua libertà autonoma federale, sia garantito dalla Costituzione nella solidarietà tra i popoli e nell’unione delle forze per mezzo di ampie alleanze.
Vecchie e nuove crisi in Medio Oriente
A fronte del titolo della Conferenza “Old crisis, New solutions” è stato più volte sottolineato che il problema curdo rappresenta non “vecchie” ma “nuove” crisi, e, dunque, nuove sfide al presente. Se la soluzione attuata dopo al Prima Guerra Mondiale aveva portato a disegnare linee e divisioni artificiali nel Medio Oriente, oggi gli equilibri dipendono da forme neocoloniali di potere e dal sostegno delle potenze mondiali, dalla cooptazione di queste potenze per parte del governo Turco, da interessi estrattivi e strategici. Anche per questo è stato detto continuamente ad ogni sessione della Conferenza quanto fosse importante che una presenza curda fosse coinvolta al tavolo di Ginevra, il 29 gennaio. Ma sappiamo che la notizia dell’esclusione dalle trattative di Ginevra è arrivata proprio dopo la fine degli incontri di Bruxelles. Di fronte ad alcune dichiarazioni spesso contenenti un’idea normativa esemplare e procedurale di democrazia che sarebbe parimenti incarnata dall’Europa o dagli Stati Uniti, l’apporto fondamentale delle denunce del giornalista turco Cengiz Candar è stato cruciale nel dare un resoconto specifico della drammatica situazione repressiva in Turchia.
Qui, infatti, se prima il regime veniva considerato fortemente «autoritario» , ora non ci sono scusanti perché non lo si possa definire «a tutti gli effetti filofascista», spiega Cengiz Candar. Nell’impossibilità di seppellire i defunti, le città sono trasformate in rovine. «Ottantanove accademici curdi, centoventi accademici all’estero che hanno firmato un appello di protesta sono stati ritenuti terroristi dal governo turco. E se il Ministro degli Esteri Davutoglu dichiarava che la Turchia non avrebbe avuto problemi con i paesi limitrofi, oggi non c’è paese vicino alla Turchia che con questa non abbia conflitti».
Viene spiegato dal giornalista come «la Turchia assomigli così sempre di più alla Siria» e come «di fronte a questo l’Europa non può chiudere gli occhi ». Così non può chiudere gli occhi neanche «di fronte ai 500 giornalisti licenziati dalle rivolte di Gezi Park e dal 2015; settanta di questi sono stati vittime di attacchi fisici e il paese turco in termini di libertà di stampa è al 141º posto».
A parte il controllo mediatico, l’incitazione alla violenza verso i giornalisti e gli e le attiviste è supportato anche da leggi che puniscono chiunque “denigri e oltraggi” il governo.
La continua censura dei social network, dei canali di youtube, facebook e twitter fa capo a ordini governativi e «lo Stato opera sulla base di leggi fumose, perché chiunque, oltre accademici e accademiche, possono essere condannate, additate come “traditori” o “criminali”».
In Turchia chiunque può essere accusato di terrorismo per la pronuncia di una parola e così perseguitato. Questi metodi sono pensati per far esaurire le persone dissidenti e per sciogliere ogni tipo di organizzazione. Anche i parlamentari rischiano l’immunità per le loro dichiarazioni.
Con un monito di Cengiz Candar si conclude la prima giornata: «L’Europa e il resto del mondo devono essere preoccupate per questi cambiamenti . I leader europei sembrano camminare sulle nuvole quando si parla di Ankara. Ma se la Turchia continua così, le ripercussioni saranno oscure anche per l’Europa».
Diaspora curda e autonomia democratica
La seconda giornata, moderata da Dersim Dagdeviren, co-presidente della rete AKAD degli accademici curdi in Germania, si è aperta con l’ emozionante consegna del Premio per la pace dell’International Peace Bureau-Italia, e con il conferimento della Cittadinanza onoraria della Città di Palermo alla nipote di Öcalan, Dilek Öcalan, quest’ultima consegnata da Giusto Catania, assessore alla Partecipazione e mobilità del Comune di Palermo.
In sede di dibattito durante seconda giornata colpisce che abbia suscitato molta curiosità il tema affrontato dalla ricercatrice finlandese Mari Toivanen, incentrato sulla diaspora curda come forza politica: durante la sua relazione Mari Toivanen ha spiegato che più di un milione e mezzo di curdi vivono oggi in Europa e che un milione si trova, dal 1982, in Germania.
Dal suo discorso emerge una diaspora curda che agisce come attore non-statuale attraverso diverse strategie politiche, e attraverso centri culturali, associazioni che operano su una base transnazionale con attori politici nazionali. Mari Toivanen è decisa nel sostenere che «la questione curda è diventata europea tout-court e non solo per i paesi che ne ospitano la popolazione; inoltre la diaspora curda si sviluppa contemporaneamente a livello locale, nazionale e sovranazionale, con un grande livello organizzativo, agendo come un attore politico che riesce dal basso a creare nuove istituzioni».
Per promuovere processi di questo tipo, chiarisce la studiosa, è necessario che dall’Europa partano aiuti finanziari, che si creino delle organizzazioni giovanili, che si formino dei seminari di studio in Europa sui temi politici più urgenti.
Dopo la presentazione articolata della ricerca, in presenza fortunatamente di tendenza minoritaria riguardanti mistificanti ammissioni nell’incertezza proclamata della collaborazione realmente esistente tra Stati Uniti e Turchia, colpiscono le dirette e radicali parole di Rebwar Resid, co-presidente del KNK: «Voglio innanzitutto parlare alle forze dei guerriglieri e delle guerrigliere che ci difendono. E voglio dire che la nostra lotta non ha niente a che vedere con la Russia e con gli Stati Uniti. Noi lottiamo per la nostra libertà. La Turchia commette genocidi verso i curdi, ma anche verso gli assiri. La Turchia è un paese coloniale che è sostenuto, contro il popolo curdo, dall’ Europa e dagli Stati Uniti».
Risale a pochi giorni fa la notizia dei 3 miliardi di euro arrivati in concessione dall’Europa alla Turchia. Finanziamenti subito impegnati per sbarrare le frontiere con la realizzazione di mura in territorio Turco allo scopo di fermare profughi e rifugiati in fuga dalla Siria e dal Kurdistan.
Continua Rebwar Resid: «Sterminio, sfruttamento, mentalità colonialista: il colonialismo turco è come quello europeo: basato sul diniego totale. L’autonomia democratica che proponiamo è la prospettiva per un futuro migliore, per tutta l’umanità. La Rojava rappresenta l’unica piattaforma per una Siria democratica. La Turchia invece da più di 60 giorni muove guerra con le armi più sofisticate e continua a fabbricare bugie».
Risoluzioni finali della Conferenza
La Conferenza si è chiusa con l’elaborazione aperta e collettiva delle Risoluzioni Finali a cui ha contribuito anche la delegazione italiana per lo sviluppo per la modifica e per l’integrazione di alcuni dei suoi argomenti.
Tra i punti di azione più importanti, verranno riportati qui in sintesi i seguenti:
-Il PKK sia tolto dalle liste terroristiche e sia partito centrale del processo di risoluzione di pace;
-I paesi occidentali riconoscano il ruolo-chiave della lotta curda per la stabilità della regione e per la soluzione del conflitto siriano;
-Che sia data fine alla prigionia in isolamento del presidente Abdullah Öcalan e che gli siano garantite salute e sicurezza affinché possa prendere effettivamente parte alle negoziazioni;
-Di fronte ai conflitti della Turchia in Kurdistan, terminino immediatamente i coprifuochi e gli assedi nelle città di fronte alle quotidiane tragedie umanitarie;
-Le forze turche devono agire in accordo alle leggi del diritto internazionale e non devono colpire i civili e le zone abitative;
-Per questo una commissione indipendente di sorveglianza sui diritti umani dovrà formarsi e rispondere delle responsabilità in questo periodo di conflitto;
-La libertà di pensiero ed espressione dovranno essere garantite in Turchia, la soppressione dell’opposizione deve volgere al suo termine: i/le giornalisti gli/le attiviste, gli avvocati e le avvocate devono essere immediatamente liberate e la campagna antidemocratica contro il mondo accademico deve concludersi;
-La Turchia deve approcciare il possibile accesso all’Unione Europea in maniera seria e dovrà rispettare in pieno i criteri d’accordo europei nel pieno rispetto Convenzione di Ginevra.
Colpisce il seguente punto, rispetto alla questione internazionale curda.
Di fronte ad una strenua resistenza contro l’Isis portata avanti dalle forze curde dell’autodifesa, di fronte all’ espressione di un modello democratico che ha tra i suoi pilastri l’ecologia e il femminismo nell’autogoverno nel rispetto delle pluralità, il silenzio dell’Europa è lacerante nei confronti delle continue violazioni dei diritti umani perpetrate ogni giorno dalla Turchia. L’Unione Europea non deve ridursi a mere chiamate di “cessate il fuoco” ma deve svolgere un ruolo attivo nella costruzione di processi per le soluzioni di pace..
http://www.dinamopress.it/news/sulla-questione-curda-tra-genocidio-diaspora-e-resistenza
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