2 agosto 1980 – “Una violenta esplosione ha fatto crollare parte della Stazione Centrale di Bologna”

2 agosta 1980, 85 morti e 200 feriti per la bomba alla stazione.

Sono passati 42 anni dalla più grave strage del dopoguerra in Italia. Come titolo del presente articolo in memoria di quel tragico sabato abbiamo scelto le parole con cui il GR1 interruppe le trasmissioni per dare le prime notizie sulla catastrofe in corso. Il massacro di Bologna, come altri importanti eventi storici, è rimasto impresso indelebilmente nei ricordi di molti.

Bologna è parte della lunga lista di stragi italiane iniziata il 12 dicembre 1969 con la bomba alla Banca Nazionale dell’Agricoltura di piazza Fontana, proseguita con la strage alla Questura di Milano del maggio ’73, quella di piazza della Loggia a Brescia nel maggio ’74 e del treno Italicus dell’agosto dello stesso anno, per poi concludersi con la strage del Rapido 904 del Natale ’84. A questi eventi si aggiunge una lista di episodi meno noti, ma altrettanto sanguinosi.

Le stragi di fine anni Sessanta e dei primi Settanta vanno ad inserirsi nella Strategia della Tensione, il famoso “destabilizzare per stabilizzare” tanto caro alle centrali dei servizi segreti occidentali di quegli anni. Del resto, l’Italia era uno dei “campi di battaglia” privilegiati della Guerra Fredda in Europa: l’opporsi con tutti i mezzi possibili ai movimenti e a una possibile svolta rivoluzionaria nel Paese era un obiettivo esplicito sia dagli apparati di sicurezza nostrani che dalla CIA americana. L’utilizzo di manovalanza neofascista per raggiungere tale scopo è ormai un dato acclarato, con nomi e cognomi ben noti.

La carneficina dell’agosto ’80 si inserisce invece in un periodo diverso, ma non meno turbolento.
I movimenti sono già alle corde ed è anzi iniziato il periodo del riflusso (sancito da centinaia di arresti e dal dilagare, anno dopo anno, dell’eroina). Il Partito Comunista di Berlinguer col compromesso storico e la “solidarietà nazionale” ha messo nel cassetto qualsiasi ipotesi di alterità alla Democrazia Cristiana. Alla FIAT, nell’autunno di quello stesso anno, sarà combattuta e persa la battaglia decisiva. Di fronte all’annuncio di migliaia di licenziamenti la fabbrica verrà occupata per 35 giorni. A chiudere quella lotta ci penserà la “celebre” Marcia dei 40.000. Una sconfitta, quella di quei giorni, che scompaginerà le tute blu italiane e le condannerà al “purgatorio” degli anni a seguire. La lotta armata è ancora pienamente attiva nel Paese.

D’altra parte, il quadro internazionale è tutt’altro che sereno. L’invasione sovietica dell’Afghanistan ha riacceso la Guerra Fredda, la rivoluzione iraniana del ’79 ha mutato gli equilibri in Medio Oriente e la crisi degli ostaggi americani sequestrati dai Pasdaran all’Ambasciata americana di Teheran è in pieno svolgimento. In Occidente si sta dispiegando la controrivoluzione neo-liberista con la vittoria di Thatcher alle elezioni in Gran Bretagna. A breve, i conservatori si imporranno anche negli States attraverso la vittoria del falco Reagan alle presidenziali del novembre ’80. Forti le tensioni anche con la Libia di Gheddafi. Non è forse un caso che la strage di Ustica (l’abbattimento ormai acclarato del DC9 Itavia) sia datata 27 giugno 1980 e, come chiarito da più di 30 anni di indagini, quella notte nei cieli italiani era in corso una mastodontica esercitazione dagli inquietanti contorni di una vera e propria battaglia aerea.

In questo contesto complicato si colloca la tragedia di Bologna. Un evento citato in diversi romanzi e film, da “Romanzo Criminale” di Giancarlo De Cataldo a “Strage” di Loriano Machiavelli, ma anche in molte canzoni, come ad esempio “Sensibile” degli Offlaga Disco Pax. La città reagì con prontezza, dando vita a una “gara di solidarietà” che ancora viene ricordata: centinaia di migliaia di persone parteciparono alla manifestazione antifascista e ai funerali delle vittime che furono veri e propri funerali di popolo e non di Stato. La rabbia popolare infuocata dalle frasi di rito del mondo politico sugli “sforzi per assicurare alla giustizia i responsabili delle stragi” fu contenuta con difficoltà e si ricorda ancora il viso terreo del presidente Pertini sul palco delle autorità.

Negli ultimi anni è stata sollevata una cortina fumogena che ha tentato di addossare le colpe ai gruppi della resistenza palestinese che, in quegli anni, usavano l’Italia come retroterra delle loro operazioni di guerriglia in Europa. Un altro tentativo è stato quello di addossare le responsabilità della carneficina al terrorismo internazionale, in particolare al noto bandito Carlos, all’epoca vicino al Fronte Popolare di Liberazione della Palestina: pura fantapolitica pensarlo in combutta con gli ambienti di destra o con i servizi occidentali. Altri, invece, hanno sostenuto che la bomba fosse troppo potente per avere una matrice nostrana, suggerendo di guardare più in alto, magari al logo NATO in relazione a quanto era successo poche settimane prima nei cieli sopra Ustica.
Anni di travagliati processi hanno però portato alle condanne definitive di diversi militanti neofascisti dei NAR, i Nuclei Armati Rivoluzionari: Giuseppe Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini (ai tempi dei fatti minorenne). Nell’ultimo periodo si sono poi aggiunte le condanne in primo grado all’ergastolo per l’ex NAR Gilberto Cavallini e, ultima in ordine cronologico, per Paolo Bellini ex militante di Avanguardia Nazionale, riconosciuto sul luogo del delitto in alcuni fotogrammi di un filmato amatoriale dell’epoca.

Se il quadro degli esecutori materiali si è via via chiarito, quello delle ragioni, come già detto, rimane più vago e sfumato. Dopo diverse false flag sventolate in questi anni, si è tornati al punto di partenza, vale a dire alle responsabilità nella vicenda dell’ex capo della loggia massonica P2 Licio Gelli (già condannato in via definitiva per depistaggio nel 1995). Costui avrebbe finanziato un vero e proprio squadrone della morte fascista per motivi non chiari, ma che potrebbero avere molto a che fare con il cerchio che via via si stava chiudendo attorno a lui e ai suoi progetti di monopolio informativo-finanziario in quell’Italia a cavallo tra due decenni (lo scandalo P2 sarebbe esploso meno di un anno dopo).

Se c’è una certezza in questa vicenda è che Bologna non ha dimenticato e non dimentica scendendo in piazza ogni anno per tenere viva la memoria di quella terribile ferita.

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