25 aprile ’45, l’insurrezione di Milano
L’anno scorso, per la prima volta dal 1945, non fu possibile celebrare in piazza il 25 aprile. Si trattava del 75° anniversario della Liberazione che avrebbe meritato ben altre celebrazione che non quelle quasi clandestine cui si fu obbligati per la dura legislazione emergenziale anti-Covid. Le Brigate volontarie riuscirono a portare i fiori alle lapidi dei caduti milanesi nella lotta al nazifascismo, ma tutti ricordiamo la dura repressione subita da alcune antifasciste e antifascisti da parte della Polizia nella zona di via Padova. MilanoInMovimento, proprio per ricordare al meglio il 25 aprile 1945, nei giorni precedenti alla Festa della Liberazione preparò lo Speciale “Partigian* in ogni strada”. Oggi, in vista di un nuovo 25 aprile che ci vedrà un po’ più liberi rispetto all’anno scorso, pubblichiamo uno degli articoli di quello speciale, quello sull’insurrezione di Milano.
Alla fine di marzo ’45 si rianima il movimento operaio. Entrano in sciopero gli stabilimenti industriali di Milano e dei principali centri della Lombardia. Il CLNAI esprime tutto il suo sostegno, considerandolo un chiaro segnale della «ormai prossima insurrezione di popolo per l’estirpazione radicale del nazismo e del fascismo e per il trionfo di una democrazia progressiva».
All’inizio di aprile le formazioni partigiani di molte città iniziano l’attacco, il 16 aprile il CLNAI fornisce ai Comitati di agitazione le indicazioni sull’imminente insurrezione: difendere le fabbriche e gli uffici pubblici dalla distruzione del nemico per poi passare all’attacco e occupare i punti strategici della città.
Il grande sciopero del 18 aprile di Torino, che si estende al biellese, vercellese e novarese viene definito la prova generale dell’insurrezione.
Il giorno seguente il CLNLI dichiara formalmente alle forze armate nazifasciste e ai funzionari pubblici della RSI di «arrendersi o perire» e invita i ferrovieri e i lavoratori dei trasporti dell’Italia occupata a seguire l’esempio dei loro compagni piemontesi.
Il 23 i ferrovieri milanesi dichiarano lo sciopero generale paralizzando i movimenti dell’avversario. Il 24 aprile arriva la notizia dell’insurrezione di Genova e nel quartiere Niguarda inizia la sollevazione con i primi scontri a fuoco, una mozione intimava le autorità tedesche a cessare i soprusi contro i detenuti del carcere San Vittore. In mattinata viene annunciato l’ordine dell’insurrezione generale, prevista per il giorno seguente alle ore 13. La prima partigiana rimasta uccisa alla vigilia dell’insurrezione è Gina Galeotti Bianchi, mantovana comunista attiva nei Gruppi partigiani di difesa della donna con il nome “Lia”, era incinta di sei mesi ed era accorsa in bicicletta per aiutare alcuni compagni feriti in zona Niguarda quando una raffica di mitra di un’autocolonna tedesca in fuga l’ha stroncata. Poi finalmente è 25 aprile, il CLNAI riunito in zona Stazione Centrale nel collegio dei salesiani organizza il nuovo assetto politico-militare in divenire. I primi militari che affiancano la Resistenza della Guardia di Finanza di via Melchiorre Gioia, a loro l’incarico di occupare la Prefettura, dove si trovava Mussolini.
Tra i primi obiettivi, vengono occupate le sedi del Corriere della Sera, della Gazzetta dello Sport e del Popolo d’Italia, dove verranno stampate le edizioni insurrezionali di: Il Nuovo Corriere, l’Unità, Avanti!
La prima fabbrica occupata è la Ercole Marelli di Sesto San Giovanni subito seguita dalla Pirelli di Sesto e Milano, si preparano alla reazione nazifascista che non si fa attendere.
Alla Pirelli in viale Zara gli operai e i partigiani si scontrano con miliziani francesi collaborazionisti in fuga, che resistono violentemente. La Pirelli di viale Sarca invece si libera rapidamente. Alla Innocenti viene issata una bandiera rossa, mentre i tedeschi sono asserragliati nello stabilimento. Alla Motomeccanica e al al deposito A.T.M. di viale Molise i sappisti si scontrano con i nazifascisti, alla C.G.E.vengono fucilati due scioperanti per intimorire gli altri, l’Innocenti di Lambrate viene rioccupata dai tedeschi fino al 27 aprile, alla O.M. si verificano quattro ore di combattimenti.
Entro il primo pomeriggio in tutta la città ci sono posti di blocco partigiani.
Nel frattempo Mussolini è ancora a Milano e di fronte alla capitolazione tenta, tramite la mediazione del cardinale Schuster, di patteggiare la resa con il generale Cadorna e i rappresentanti del Partito d’Azione e del Partito Liberale.
Ma ormai non c’è nulla da fare, la sua ora è vicina e si dà alla fuga insieme a una colonna di auto e camion nazisti con a bordo diversi gerarchi probabilmente diretti in Svizzera. Sarà poi riconosciuto nei pressi di Dongo da un gruppo di partigiani che lo consegnerà al suo appuntamento con la storia a piazzale Loreto.
I repubblichini rimasti si asserragliano nella sede del partito fascista in pizza San Sepolcro, dove era stato fondato 24 anni prima. Alcuni partigiani cadono nei combattimenti. In zona Fiera vari generali delle SS e della Wehrmacht si sono barricati nelle ville requisite, mentre il comando nazista è trincerato all’Hotel Regina, dietro il Duomo.
Passa la notte, tra i colpi dei cecchini repubblichini, che continueranno fino al 28, e le raffiche sparate dagli ultimi disperati in camicia nera a bordo di auto in corsa. Alle 9 del mattino la radio annuncia la liberazione della città e la condanna a morte del duce e dei vertici della RSI. Le formazioni garibaldine della Valsesia, comandate da “Cino” Moscatelli, per entrare in città si aprono una strada lungo viale Certosa armi in pugno fronteggiando numerose colonne tedesche in fuga. I partigiani della valle del Monte Rosa arrivano in piazza del Duomo e insieme tengono un comizio insieme a Luigi Longo. Sopra la città sfreccia un piccolo aereo requisito dai garibaldini con la scritta “Valsesia” dipinta sotto le ali.
In molte zone della città vengono bloccate macchine e autocolonne che cercano di abbandonare la città o di entrarvi. A Crescenzago, camion di SS e marò della X Mas preceduti da un’autoblindo riescono a passare. Gli scontri sono scontri brevi ma cruenti. Infine ci sono gli assalti ai pochi centri rimasti ancora occupati dai fascisti: la caserma Teulié in corso Italia, la sede della Guardia Nazionale Repubblicana in piazza Napoli, l’aeronautica in piazzale Novelli, la caserma della milizia fascista della Bicocca. I tedeschi nel collegio dei Martinitt e alla Casa dello Studente in viale Romagna si arrendono il 27, all’arrivo delle formazioni dell’Oltrepò pavese, lo stesso giorno in cui verranno abolite le leggi razziali. Gli ultimi gerarchi rimasti, quelli del comando delle SS all’Hotel Regina, rimarranno asserragliati come ratti spaventati fino al 30 aprile. Ma già dal 28 gli scontri sono praticamente conclusi, la loro fine è scritta.
La Liberazione italiana dal fascismo è diventata un simbolo di tenace resistenza, della capacità di un popolo di spezzare le catene della propria oppressione. E pensare.. che i partigiani, oltre che combattere con il piombo i nazifascisti, superare gli stenti della miseria e le difficoltà politiche della lotta, hanno dovuto anche battersi al proprio interno, in una fervente polemica in seno al CLNAI con gli attendisti. Questi erano dell’idea che una guerra partigiana condotta “al rallentatore“ avrebbe garantito di attendere l’arrivo degli alleati e limitato i danni che le rappresaglie del nemico infliggevano sulla popolazione civile.
Ma i partigiani e le partigiane non hanno delegato la propria liberazione, la rabbia della popolazione di fronte alle brutalità si è moltiplicata, diventando il combustibile per gli scontri a fuoco decisivi. A chi rimanda ancora un’emancipazione urgente dico: agisci come le partigiane, a chi silenzia la propria fame di riscatto dico: grida come i partigiani, a chi in cerca di quiete spera che i guai non gli bussino alla porta dico: sarai ugualmente travolto/a, a chi delega al fato e attende buone notizie dal meteo di domani dico: nell’aria c’è solo tempesta. Impariamo dai partigiani e dalle partigiane.
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