Appunti dalla delegazione milanese in Kurdistan
Diyarbakir, Suruc, Ankara, Cizre e l’elenco potrebbe continuare, sono solo alcune delle città su cui si è dispiegata la strategia della tensione islamofascista di Erdogan e dei suoi sodali del Daesh.
Gli obiettivi sono sempre gli stessi: i Curdi, le donne, i militanti dell’ HDP, cioè chi immagina e reclama una Turchia diversa, libera dal nazionalismo confessionale che opprime qualunque alterità.
In questo contesto abbiamo raccolto l’invito dell’ HDP alla presenza in veste di osservatori nei territori del Kurdistan turco.
Siamo partiti da Milano dopo un percorso caratterizzato dalle mobilitazioni del 14 Settembre contro la giornata dedicata da Expo all’amicizia italo-turca, del 13 Ottobre dove si denunciava lo stragismo di stato dell’attentato di Ankara del 10 Ottobre e dai momenti di dibattito sull’esperienza della Rojava nei nostri spazi.
Nel nostro bagaglio avevamo anche il ricordo della carovana al confine fra Croazia e Ungheria dove abbiamo verificato le condizioni di chi cerca la fuga dalle stragi e dal terrore dell’Isis e di Assad e trova di fronte a se solo i muri del nazionalismo populista in Europa.
Arrivati a Diyarbakir, abbiamo avuto modo di testimoniare gli effetti della guerra che il governo turco conduce contro i propri cittadini: nel quartiere di Sur erano ancora visibili le distruzioni compiute dalla polizia con mezzi blindati e l’uso di armi da fuoco contro le abitazioni e la moschea per reprimere le manifestazioni di protesta degli abitanti della zona all’indomani della strage di Ankara e della dichiarazione dello stato di emergenza in molti distretti del Kurdistan.
Nella domenica di votazioni abbiamo visto con i nostri occhi la quotidianità dello stato di eccezione. Nelle zone di Hani e Kocaköy, che abbiamo monitorato, il continuo sfoggio di muscoli nei seggi di polizia e militari, presenti in ogni seggio in assetto da guerra con blindati e mitra in vista, è solo un esempio dello status vigente.
Abbiamo testimoniato le minacce a scrutatori e rappresentanti dell’ HDP da parte di militanti dell’ AKP di Erdogan, la difficoltà nelle zone rurali per le donne di esprimere il proprio voto senza l’accompagnamento sin dentro la cabina di un uomo, strani casi di persone il cui voto sarebbe stato espresso per procura da altre persone, la presenza di poliziotti armati nei seggi durante lo spoglio.
Uno scenario quindi tutt’altro che compatibile con un processo elettorale democratico e trasparente come sottolineato da Demirtas e Yuksekdag nella conferenza stampa post-elettorale.
È in questo contesto che si può trovare una chiave di lettura per l’affermazione dell’ AKP che prometteva ordine in cambio del ritorno alla maggioranza assoluta che lungamente avevano avuto prima delle elezioni del Giugno.
La scommessa del terrore di Erdogan ha pagato sebbene non abbia centrato l’obiettivo di avere la possibilità di modificare la costituzione senza una consultazione referendaria.
L’HDP, al di là della palpabile delusione dei militanti che speravano in una reazione forte, nonostante il clima di intimidazione e la sospensione della campagna elettorale per quasi un mese nel timore di subire ulteriori massacri, è riuscito a superare la soglia di sbarramento del 10% e ha confermato di essere un elemento ineludibile della dimensione politico-parlamentare del paese.
Grazie a questa esperienza, abbiamo potuto vedere cosa significhi attivare un processo popolare e di partecipazione che rimette al centro le dimensioni dell’ autonomia e della democrazia, che sa coniugare le istanze di liberazione di soggetti lasciati ai margini dello spazio pubblico come le donne, che non casualmente vedono espressa solo all’interno dell’ HDP una rappresentanza equilibrata in parlamento, le/gli omosessuali, i giovani e le minoranze in genere.
Abbiamo visto come la necessità di autonomia si sappia esprimere al di fuori e contro il nazionalismo e il localismo attraverso la dinamica del confederalismo democratico.
Non possiamo non cogliere i parallelismi con quanto avviene in Europa dove assistiamo al rafforzarsi dei populismi nazionalisti che identificano nella diversità e nella libertà i principali nemici.
Per questo la lotta che parte dal Kurdistan ci riguarda e sarà necessario essere vigili e solidali nella difesa dei già striminziti spazi di libertà ed espressione in Turchia, come già testimonia l’arresto di due giornalisti critici con il governo a neanche 48 ore dalle elezioni.
Delagazione milanese in Kurdistan
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