Finanziaria 2023: una manovra contro il Reddito (parte II)

La lotta di classe esiste, ma è la mia classe, la classe dei ricchi, che la sta conducendo e vincendo.
(Warren Buffett, New York Times 26 novembre 2006)

L’emendamento alla legge di Bilancio 2023, approvato la notte del 20 dicembre su proposta di “Noi moderati”, mirava a cancellare la parola «congrua» dall’offerta di lavoro che chi percepisce il Reddito di Cittadinanza è tenuto ad accettare, pena la perdita dello stesso. Già il governo Draghi, nella scorsa finanziaria (Meno reddito e più precarietà: la ricetta Draghi – MilanoInMovimento), aveva ridotto da tre a due le offerte che “non si possono rifiutare” e il nuovo esecutivo, nella prima bozza della manovra, le aveva ulteriormente ridotte a una sola per i cosiddetti “occupabili” (circa 600mila persone secondo gli ultimi dati Anpal) con l’obiettivo dichiarato di poter risparmiare qualche altro milione di euro, dirottato a finanziare parte delle promesse elettorali: cancellazione parziale delle cartelle esattoriali, riduzione delle imposte agli autonomi ed aumento delle pensioni minime.

Il governo, in prima battuta, aveva deciso di mantenere il criterio di “congruità” ovvero l’offerta di lavoro doveva rispettare alcuni criteri minimi di coerenza con «esperienze e competenze maturate», distanza rispetto alla residenza (la norma precedente prevedeva non oltre 80 chilometri per la prima offerta, mentre per la seconda offerta era preso in considerazione l’intero territorio italiano) e durata del contratto, se a termine o in somministrazione per non meno di 6 mesi e, infine, una retribuzione non inferiore a quanto previsto dai contratti nazionali di settore. L’emendamento votato il 20 dicembre mirava a cancellare queste condizionalità ma in realtà, per come è stato scritto, elimina solo la parola “congrua” e non modificando quanto previsto dall’articolo 4 del dl 4/2019 non cambia nulla per il momento. Insomma, una proposta scritta male ed infilata nella manovra in fretta e furia, senza effetto pratico ma che mostra chiaramente l’impostazione ideologica della maggioranza che sostiene il nuovo governo.

Lo stesso governo è dovuto correre ai ripari dopo il voto dell’emendamento da un lato annunciando – attraverso la Ministra del Lavoro Elvira Calderone – un «decreto per gennaio per mettere i puntini sulle i..» relativamente alla questione, dall’altro rassicurando che «l’offerta di lavoro dovrà avere comunque caratteristiche di accettabilità» (Rdc, Calderone: “Stop per chi rifiuta offerta lavoro” – LaPresse).

Se la modifica non ha effetti pratici immediati, se in ogni caso all’inizio del prossimo anno è previsto un nuovo decreto sulle politiche attive del lavoro che tratterà la questione, se si è promessa una riforma complessiva del RdC, allora che bisogno c’era di provare ad infilare (maldestramente) nella manovra la cancellazione della parola “congrua”?

A livello simbolico si è voluto mandare un messaggio a una parte dell’elettorato di destra, quella rimasta delusa per la retromarcia sulle norme relative al limite del pagamento tramite Pos e per lo scudo penale agli evasori fiscali. A livello pratico si è inteso ribadire che per i percettori del Reddito di Cittadinanza la (presunta) pacchia del divano è finita, al contrario la pacchia può ricominciare per le diverse attività, bar e ristoranti che offrono lavori da 8-10 ore al giorno pagati 4-500 euro al mese, festivi compresi. Offerte che potrebbero non aver bisogno di dimostrare d’essere “congrue” e, soprattutto, tra qualche mese non dovranno più subire la concorrenza del Reddito di Cittadinanza (ecco l’obiettivo reale di tutta l’operazione).

La visione della maggioranza, condivisa da una parte dell’opposizione e dei grandi mezzi di informazione (si veda ad esempio l’articolo di Veronica De Romanis su “La Stampa” del 27 dicembre intitolato “Giusto abolire i lavori congrui”), sostiene che una persona che non lavora dovrebbe accettare qualsiasi impiego, in qualsiasi parte del Paese e soprattutto a qualsiasi condizione, altrimenti è da considerarsi un parassita, un fannullone che – a prescindere da qualsiasi difficoltà personale o familiare, da carenze di competenze o di altra natura – non deve essere sostenuto dallo Stato. In questo modo si crea un enorme “esercito di riserva” a buon mercato per tutti gli imprenditori che avranno il potere di imporre le proprie condizioni ai beneficiari del Reddito di Cittadinanza (prima della sua probabile abolizione definitiva prevista per il 2024) sprovvisti di altri mezzi e perciò facilmente “ricattabili”: senza neppure la tutela di un salario minimo, che è totalmente sparito dall’agenda politica (anche da quella dei timidi sindacati confederali) e, molto spesso, senza la copertura di un contratto collettivo nazionale. Questa operazione avrà l’effetto di far diminuire anche tutti gli altri salari (già fermi dal 1990 secondo gli ultimi dati del OCSE) e il livello generale dei diritti. Il messaggio della manovra, appena approvata al Senato in via definitiva, risulta chiaro: il governo, in continuità con il precedente, ha scelto quali interessi difendere e quali poteri rappresentare in via prioritaria scaricando su poveri e salari i costi della crisi attuale ulteriormente aggravata dall’inflazione che ci accompagnerà nei prossimi anni. La lotta di classe di chi sta in alto contro chi sta in basso prosegue.

FabeR (Gigaworkers)

Finanziaria 2023: una manovra contro il Reddito (parte I)

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