Genova G8, la repressione infinita

Oggi la Corte di Cassazione parigina decide sulla posizione di Vincenzo Vecchi.

La repressione in Italia ha spesso tempi lunghi, ma spesso e volentieri inesorabili. Se settimana scorsa abbiamo scritto di Casper, arrestato in Francia per scontare un cumulo di pene relativo alle lotte sociali avvenute a Milano nel quinquennio 2010-2015 oggi ci tocca nostro malgrado scrivere di altre vicende altrettanto emblematiche. Per farlo partiamo da quello che c’era scritto su uno striscione comparso sabato scorso a Milano nel corso di un corteo solidale. Lo striscione recitava: “Ieri come oggi ribellarsi è giusto. Né prigione né estradizione. Vince e Dayvid Liberi!”.

Dayvid è un militante condannato per i fatti del 15 ottobre 2011 a Roma noti ai più come gli scontri di piazza San Giovanni. Come per i fatti del Primo Maggio NoExpo 2015 i fatti di Roma di quattro anni prima hanno dato vita a una serie di filoni di indagini che è stato estremamente complicato seguire con costanza. L’ultima assenza romana è quella della Cassazione del 22 maggio di quest’anno che ha condannato in via definitiva sei persone a pene superiori ai 5 anni di carcere per il tristemente noto reato di devastazione e saccheggio. Condanne talmente alte da diventare subito esecutive e rendere impossibile qualsiasi richiesta di misure alternative. Dayvid è stato rintracciato e arrestato ad Atene a giugno ed è in attesa di estradizione verso l’Italia.

Il secondo nome, quello di Vince, è ancora più tristamente noto. Si tratta di Vincenzo Vecchi, uno dei condannati in via definitiva per i fatti di piazza del G8 di Genova del luglio 2001 (più di 21 anni fa). La condanna a più di 10 anni di detenzione, diventata esecutiva nel luglio 2012 derivava anche in questo caso dall’articolo 419 del Codice Penale:

“Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 285, commette fatti di devastazione o di saccheggio è punito con la reclusione da otto a quindici anni”.

Vincenzo si era reso irreperibile rifacendosi un vita in Francia dove però, la rancorosa “giustizia” (la stessa che ha lasciato sostanzialmente impuniti massacratori e torturatori in divisa della Diaz e Bolzaneto) italiana va a cercarlo nell’agosto del 2019. Il suo arresto però non passa sotto silenzio generando immediatamente una grossa mobilitazione solidale nel paese transalpino.

Da quel momento è iniziata una vera e propria via crucis giudiziaria con i tribunali francesi che facevano a pezzi la legislazione italiana proprio sul mostruoso reato di devastazione e saccheggio che in Francia non esiste. Giova ricordare che la stessa identica posizione è stata presa dai tribunali greci che hanno negato l’estradizione per alcuni militanti anarchici accusati per i fatti del Primo Maggio milanese del 2015.

Ma non è finita. Dopo la decisione della Corte d’Appello di Angers di negare l’estradizione di Vincenzo in Italia proprio perché in Francia il reato di devastazione non esiste si è arrivati alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea che, forse per non scontentare l’Italia, ha dato una risposta abbastanza vaga e passando nuovamente la palla ai francesi.

La questione centrale su cui si gioca il destino di Vincenzo è il fatto che in Francia non viene riconosciuto il reato per cui l’Italia ha chiesto il mandato di cattura europeo e l’estradizione. La corte europea più interessata evidentemente al mantenimento di buoni rapporti tra gli Stati dell’UE ha sostenuto che non deve per forza esistere una corrispondenza ferrea tra i reati presenti nei diversi ordinamenti giudiziari dei paesi coinvolti nella vicenda il che, tra l’altro, lascia la porta aperta a esiti terrificanti per quanto riguarda paesi semi-autoritari che ben esistono all’interno dell’Unione Europea.

Oggi dunque un nuovo passaggio. Noi speriamo che, vista la pessima fama di cui gode l’ordinamento giudiziario italiano in Francia, spesso per quel che riguarda la repressione del dissenso politico, la situazione possa risolversi per il meglio. Ma è per l’appunto una semplice speranza.

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