Milano è un’altra cosa, non per la casa

Quando nel 2011 ho iniziato a occuparmi di questione abitativa in ambito sindacale, Milano era governata dalla giunta Moratti e in Regione Lombardia c’era Roberto Formigoni, la situazione in città era estremamente critica, l’offerta di alloggi pubblici era totalmente insufficiente a far fronte alla costante emergenza abitativa derivante da sfratti, sgomberi e persone senza fissa dimora di lungo corso.

Il disagio abitativo veniva gestito in ottica esclusivamente emergenziale, graduatorie che avrebbero dovuto gestire le assegnazioni “ordinarie” davano in realtà risposta esclusivamente a una piccola parte di chi si trovava già in una situazione di gravissimo disagio abitativo, a chi, per un motivo o per l’altro, si trovava letteralmente in mezzo a una strada. Accanto alle assegnazioni ordinarie il regolamento regionale di riferimento (r.r. 1/2004) prevedeva e prevede il canale delle assegnazioni in deroga che dovrebbero servire a gestire le situazioni d’emergenza abitativa che per caratteristiche o tempistiche non trovano riscontro in un punteggio sufficiente all’assegnazione nelle graduatorie ordinarie.

Il numero degli sfrattati, già in quegli anni, oscillava tra le 14.000 e le 15.000 procedure di rilascio all’anno. Nella sola città di Milano, il numero di alloggi popolari assegnati dal Comune era di circa 1.000 unità abitative all’anno, e i richiedenti presenti nelle graduatorie superavano già allora le 20.000 persone. Come risulta evidente il problema era l’offerta abitativa, totalmente inadeguata a far fronte alla tensione di una città come Milano in cui il mercato immobiliare non conosce crisi e in cui il livello dei canoni di locazione privati è totalmente incompatibile con il livello medio dei salari essendo, di fatto, un mercato drogato da una saturazione di quella che è l’offerta di alloggi privati in cui la domanda supera di gran lunga l’offerta, oltre che dalla presenza di alcuni tipi di inquilinato che pur non appartenendo in maniera stabile al tessuto socio-economico della città, impattano sul livello dei prezzi annullando qualsiasi meccanismo di autoregolazione derivante dai salari dei lavoratori residenti sul territorio.

A livello regionale la situazione non era certo migliore, la legge regionale n. 27, che norma tutto quanto concerne l’edilizia residenziale pubblica in Regione Lombardia, è una normativa che ha generato un aumento generalizzato dei canoni di locazione e ha introdotto il principio scellerato della sostenibilità economica del sistema di edilizia residenziale pubblica. Entrambi gli elementi sopra richiamati sono stati fattori scatenanti della critica situazione debitoria in cui si è venuta a trovare in questi ultimi anni Aler Milano che, come tutti ormai sappiamo, ha un buco di bilancio di svariati centinaia di milioni di euro.

Quando nella primavera del 2011 la coalizione di centro sinistra ha scelto Giuliano Pisapia come candidato sindaco per la città di Milano e quest’ultimo ha vinto le elezioni, molti di noi – sindacalisti, attivisti e militanti del movimento di lotta per la casa – hanno sperato si trattasse dell’uomo giusto per generare una discontinuità rispetto al passato. Pur essendo consapevoli che la situazione non sarebbe cambiata radicalmente, sapevamo che sarebbe stato possibile impattare finalmente su due questioni da tempo irrisolte ed estremamente rilevanti per quanto riguarda la questione abitativa nella città di Milano: ristrutturazione dello sfitto e regolarizzazione degli occupanti abusivi in stato di necessità.

Pisapia per molti di noi, soprattutto per i più giovani, era “l’Avvocato di Carlo”, un compagno, e fu molta la delusione derivante dal fallimento totale delle politiche abitative prodotte dalla sua amministrazione, caratterizzata da inefficienza, forte incompetenza e influenzata fortemente da un’impostazione politica liberale, figlia di un ceto politico borghese, benestante e totalmente scollegato dalle realtà territoriali delle periferie milanesi. La gestione dell’emergenza abitativa divenne ancor più inefficiente che durante la gestione Moratti, neanche un euro delle casse comunali venne utilizzato per ristrutturare lo sfitto e la questione degli occupanti abusivi rimasa totalmente irrisolta continuando a essere affrontata solo a colpi di sgomberi e utilizzata, principalmente dalla destra forzista e leghista, come spauracchio da campagna elettorale.

La gestione dell’amministrazione Pisapia fu caratterizzata da una sempre maggiore difficoltà a gestire la collocazione dei nuclei familiari sfrattati, sgomberati e senza fissa dimora. Tale situazione fu generata essenzialmente da due fattori:

-Inizialmente il Comune di Milano, per la prima volta da quando era in vigore la legge 27, si dimenticava letteralmente di richiedere l’aumento delle quote di alloggi assegnabili in deroga alla graduatoria, ai sensi del regolamento sopra richiamato, trovandosi ad affrontare le migliaia di sfratti eseguiti ogni anno senza poter usare appieno l’unico strumento che avrebbe permesso il passaggio da casa privata a casa popolare senza collocazioni emergenziali. Quanto descritto generò rallentamenti enormi nella valutazione delle domande, che aumentarono sempre di più, in seguito a una decisione scellerata, sempre del Comune di Milano, di dichiarare improcedibili le domande d’emergenza che eccedessero le percentuali d’assegnazione permesse dalla legge. Ancora oggi, a distanza di anni, stiamo smaltendo le code generate dalla situazione sopra descritta.

-Il secondo fattore determinante fu rappresentato da una delibera restrittiva sull’uso degli alberghi che di fatto li eliminava come strumento di collocazione temporanea dei nuclei sfrattati, smarcando totalmente il settore assegnazione alloggi del Comune e l’Assessorato alla casa da qualsiasi intervento di collocazione dei nuclei in emergenza abitativa. In conseguenza di quanto sopra si andava delineando, in maniera sempre più esplicita, la volontà del Comune e delle forze di centro-sinistra che lo amministravano di gestire la questione abitativa esclusivamente come un’emergenza temporanea, abbandonandone la gestione totalmente nelle mani dei servizi sociali territoriali di zona, già gravati da un’enorme mole di lavoro e che per nessun motivo dovrebbero occuparsi di nuclei familiari che non vivono alcun disagio sociale ma necessitano semplicemente di un’abitazione a un costo sostenibile.

La retorica del vento del cambiamento e della rivoluzione gentile, senza che sulla questione abitativa il governo della città prendesse posizioni a tutela degli sfruttati e di chi non riusciva a stare alle regole del libero mercato era insopportabile, la realtà era ben diversa e fu caratterizzata anche da una produzione di accordi e protocolli che sulla carta sarebbero stati in grado di incidere fortemente, soprattutto sulla gestione di sfratti e sgomberi, ma che sono rimasti totalmente inapplicati, sempre per volontà del Comune di Milano che, ad esempio, non ha mai applicato quanto previsto da un accordo firmato in Prefettura su tempi d’assegnazione, di istruttoria delle domande e di collocazione delle famiglie sfrattate. Un altro accordo, la cui mancata applicazione ha generato un aumento degli sgomberi degli alloggi comunali, è proprio quello sugli occupanti abusivi, un accordo concluso nel 2012 che prevedeva meccanismi per regolarizzare la posizione contrattuale di migliaia di persone.

La giunta Pisapia, in particolare l’assessorato della signora Daniela Benelli ha riprodotto (male) l’opera della giunta precedente, provocando una frattura, per quanto mi riguarda difficilmente sanabile, proprio in seno alla sinistra milanese. In quegli anni per me e per molti altri miei compagni di strada è stato insopportabile vedere che il movimento di lotta per la casa, sindacale e non, venisse escluso totalmente dalla produzione delle politiche pubbliche in materia abitativa. Quella che nella retorica era un’amministrazione caratterizzata da condivisione, nella realtà, almeno sulla casa, era una banda di dilettanti allo sbaraglio, arroganti, decisionisti e con interessi che nulla avevano a che fare con il diritto all’abitare, con una visone politica e una posizione distorta, tutta borghese, secondo la quale la povertà di migliaia di persone e i conseguenti problemi abitativi che ne derivano sono problematiche temporanee parte di un circolo, sostanzialmente virtuoso, delle singole esistenze, in cui la necessità di accedere ad abitazioni a costi sostenibili è anch’essa di natura transitoria.

Questa visione, tutt’altro che condivisibile, va spesso a braccetto con l’idea, ancor meno condivisibile, che parte delle politiche abitative debba necessariamente essere rivolta al ceto medio permettendo, da un lato, una maggiore sostenibilità del sistema, dall’altro di sostenere il ceto maggiormente rilevante a livello elettorale.

La visione della giunta precedente è ampiamente condivisa sia dall’attuale giunta comunale che da Regione Lombardia che, attraverso la legge 16 sta rivoluzionando quello che viene chiamato il complesso dei “Servizi Abitativi” introducendo pericolosissimi meccanismi di privatizzazione della gestione degli alloggi pubblici, di limitazione dell’accesso alle case popolari per le famiglie povere, rafforzando gli interventi di offerta pubblica e di sostegno economico nei confronti del ceto medio e rafforzando proprio quel principio di sostenibilità economica che in questi anni ha generato esclusivamente debiti, aumento dei canoni e vendita del patrimonio pubblico. Anche per quanto riguarda la gestione dell’emergenza abitativa, in linea con quanto si è delineato a livello comunale, viene di fatto istituzionalizzato lo scaricabarile di ogni intervento ai servizi sociali comunali, cancellate le assegnazioni definitive attraverso le domande d’emergenza sostituite da assegnazione di alloggi temporanei, in linea con l’assurda visione secondo cui nella nostra società i poveri emergano autonomamente dalla propria condizione di disagio economico.

Quel che colpisce maggiormente sul piano comunale è una naturale convergenza, perché convergenti sono le posizioni, sulle politiche liberiste e fortemente classiste prodotte da Regione Lombardia, in totale assenza di critica e di una propria progettualità politica che ovviamente si riflette anche nelle posizioni delle opposizioni regionali. L’Assessorato alla Casa del Comune di Milano ha per la prima volta da molti anni reperito risorse per ristrutturare lo sfitto comunale, di questo bisogna dare atto, tuttavia gli effetti degli interventi di ristrutturazione incideranno sull’offerta solo fra qualche anno, nel frattempo ci troviamo a dover fronteggiare quanto previsto dalla nuova normativa regionale che di fatto toglie ai comuni molta autonomia nella gestione dell’emergenza abitativa. Non solo il Comune di Milano non sta correndo ai ripari prevedendo strumenti che possano mitigare gli effetti della nuova legge, ma sta predisponendo una struttura d’intervento sempre più caratterizzata dal ruolo dei servizi sociali territoriali, dall’utilizzo di alloggi temporanei, per ora pochissimi, per tamponare parte dell’emergenza e delle solite comunità per madri e minori che viene il dubbio, visto l’elevato costo di questo tipo di interventi, siano funzionali a foraggiare qualche clientela legata al terzo settore.

Per quanto riguarda la questione degli occupanti e la gestione delle esecuzioni di sfratti e assegnazioni siamo ancora fermi su tutto, l’accordo sulle regolarizzazioni non è mai stato applicato e i protocolli sulle esecuzioni, siglati dall’Assessorato precedente ma tuttora in vigore, non vengono rispettati.

Gli unici interventi, sempre ereditati dalla precedente amministrazione, sono ascrivibili al mantenimento dell’agenzia Milano Abitare e ai fondi per le morosità incolpevoli, due interventi esclusivamente di facciata che vanno avanti da anni con lo stesso stanziamento di fondi, bloccati da bandi comunali troppo restrittivi per poter essere utilizzati.

Ancora una volta la retorica di una città in cui c’è stato un cambiamento e in cui oggi si corre col vento in poppa non trova riscontro in quello che vedo ogni giorno nelle periferie di Milano e nelle sedi del mio sindacato; questa retorica genera rabbia e frustrazione soprattutto in chi non corre abbastanza perché non può o semplicemente non vuole. Quello che vedo è una città a più velocità in cui le fratture stanno diventando insanabili, gli esclusi sono ogni giorno di più, una città che in maniera sempre più esplicita vuole eliminare la parte più debole, anche e soprattutto fisicamente, cacciandola dalla metropoli o quantomeno spingendola sempre di più ai suoi margini.

Valerione, attivista sindacale

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