Perché Matteo Salvini alle infrastrutture è un pugno nello stomaco

Una sconfitta pesante, pesantissima, per il leader del Carroccio. Dopo anni in cui ha monopolizzato il dibattito su ogni piattaforma mediatica, dalla TV, ai social, giungendo addirittura su Tik Tok nella ultima campagna elettorale, Salvini ha preso uno schiaffo dalla vita come capita poche volte. Era da tempo che ormai il governo dell’estrema destra si prefigurava in un paese dilaniato da una crisi di rappresentanza che si è manifestato con un -10 punti percentuale di partecipazione al voto. Anni di coalizioni improbabili, crisi orchestrate dai salotti del PD fiorentino, governissimi dalle larghe intese, hanno solo ritardato questo momento. E chi si sarebbe mai potuto immaginare solo qualche mese fa che la Meloni avrebbe triplicato la Lega, dopo anni in cui Salvini lo abbiamo visto onnipresente ovunque, anche nei nostri incubi a notte fonda.
Insomma, sarà stato lo scandalo Morisi, uscite poco condivisibili sul Covid, errori di calcolo, l’amicizia con Putin o il far parte della coalizione Draghi, ma arrivato il momento da lui tanto atteso la Meloni gli ha rubato lo scettro, lasciandolo solo e nel ridicolo, ad una risicata manciata di voti in più rispetto a un redivivo Berlusconi.

Sotto elezioni, pur aspettandoci tutti quanti una vittoria della Meloni, la partita sul suo mandato a Ministro degli Interni sembrava apertissima. Poi il tracollo, e un potere contrattuale davvero poco consistente per pretendere qualcosa. La carica di ministro delle infrastrutture sembra quasi una presa in giro, ma non è così.

Non è neanche passata una settimana dalla fine delle consultazioni con Mattarella che Salvini sta già lavorando ad un piano per riacquisire consenso. Non sarà un mandato senza colpi bassi nella coalizione di maggioranza, e questo lo abbiamo già visto con il recentissimo scandalo tra Berlusconi e Putin. Per quanto la Meloni stia stravincendo, e si trovi in una posizione di forza, la competizione rimane aperta e il Matteo nazionale proverà ogni mossa per prendere un po’ di protagonismo e rivedere il suo faccione in testa ad ogni notiziario, proprio come i bei tempi che furono, prima del Covid, prima della guerra.

Ma perché questo ministero per lui può essere molto utile?

Semplice: #chiudereiporti, un hasthag già popolare in passato, ma che dalla sua nuova posizione di potere può cercare quanto meno di mettere mediaticamente in pratica. Mediaticamente perché, come ben sappiamo, lo spazio di manovra è limitato, ed è anche uno spazio in cui il suo dicastero confligge con il Ministero del Sud e del Mare di Nello Musumeci, in quota Fratelli d’Italia, che potrebbe ottenere per la
prima volta la delega ai porti. Ma abbiamo già visto ai tempi del governo Conte 1 quanto la spettacolarizzazione dei fatti di cronaca superi tranquillamente la realtà. In passato Minniti aveva lasciato ben poco da bloccare nel Mediterraneo al Ministro degli Interni gialloverde, eppure gli è bastato impedire l’attracco al porto più vicino alla Diciotti per cancellare dalla memoria anni di politiche securitarie del PD e intestarsi la difesa delle frontiere, in barba a Minniti e alla sua tenuta democratica dell’Europa. Anche il tecnico Piantedosi (Prefetto di Roma nel giorno dell’assalto alla sede nazionale della CGIL), al Ministero degli Interni, è uomo storicamente vicino al leader della Lega. Insomma, l’incontro che si è svolto ieri tra Salvini e Carlone, il Comandante della Guardia Costiera Italiana, ci mostra chiaramente quale sarà una delle strade che proverà a percorrere la Lega in questo governo. Dopo la palese inutilità dimostrata dal PD prima e dopo le elezioni, è chiaro che l’unica opposizione a questo governo può venire dal basso, dalle piazze, da un nuovo ciclo di lotte che i movimenti devono essere in grado di intestarsi. Quanto si sta designando rappresenta probabilmente uno dei terreni di scontro più imminenti in un Mediterraneo già costellato da tragedie ogni giorno. Prepariamoci allo scontro.

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