Quello che i media raccontano poco e male: le tante vertenze sindacali di questo 2025

Sono diverse le vertenze sindacali che stanno caratterizzando questa primavera del 2025 e che coinvolgono, il più delle volte, grandi marchi molto noti di diversi settori del mondo del commercio e non solo e che, il più delle volte, vengono relegati in qualche trafiletto di qualche articolo ben nascosto all’interno delle edizioni cartacee dei grandi giornali o molto in basso nelle versioni online. Tutto questo nonostante il numero non proprio irrilevante di lavoratori e lavoratrici coinvolti nelle vertenze, generali alti adesioni ai momenti di lotta e l’eterna litania dell’Italia paese dei salari bassi che però non trova riscontro di attenzione e ascolto quando lavoratrici e lavoratori si mobilitano e perdono ore e ore di salario scioperando per rivendicare diritti.

Ecco dunque una carrellata delle vertenze più significative di questa parte iniziale dell’anno citate in semplice ordine alfabetico in base all’azienda coinvolta.

La Decathlon, colosso mondiale dell’abbigliamento e delle attrezzature sportive, ha visto l’ultimo di una lunga serie di scioperi che la riguarda svolgersi il 3 marzo presso il polo logistico di Basiano nel milanese. Qui si è svolto un presidio silenzioso che ha visto la partecipazione di più di un centinaio tra lavoratrici e lavoratori. Oltre all’enorme difficoltà a ottenere un contratto integrativo, le sigle sindacali denunciano un clima interno pessimo fatto di continue pressioni. A questo si aggiunge una percentuale altissima di part-time involontari con contratti a 18 o 24 ore settimanali e richieste di flessibilità molto alte. Tra il 2024 e il 2025 la Decathlon ha visto più di 50 ore di sciopero, ma la situazione sembra rimanere ancora in alto mare.

Il presidio al deposito di Basiano durante lo sciopero Decathlon del 3 marzo 2025 (foto Filcams-CGIL Milano)

Una vertenza che per durata, durezza e potenza della controparte è riuscita, almeno parzialmente, a incrinare il muro di gomma di silenzio che avvolge le specifiche condizioni di vita e le lotte del mondo del lavoro italiano è quella iniziata il 18 aprile e che coinvolge i driver delle aziende cui Esselunga ha appaltato la gestione delle consegne a domicilio degli ordini online. I lavoratori delle ditte Brivio & Viganò, Cap Delivery e Deliverit chiedono un miglioramento delle condizioni di lavoro per quanto riguarda sia i costi della manutenzione dei mezzi che una serie di indennità economiche al momento non garantite. Come spesso capita, si parla di cifre irrisorie di fronte ai giganteschi profitti del colosso fondato da Bernardo Caprotti. Ma si sa che in una paese come l’Italia dove la compressione sistematica del costo del lavoro è quasi l’unica strategia padronale per cercare di mantenere competitività sono necessarie lotte molto dure per ottenere cifre, in apparenza, ridicole. Il sistema diffusissimo degli appalti serve a deresponsabilizzare il grande committente che può sempre cercare di lavarsi le mani dichiarando spesso di “non c’entrare” o di “non saperne nulla”. In questo caso Esselunga ha prima cercato di aizzare la clientela contro gli scioperanti pubblicando annunci a pagamento sui grandi organi d’informazione e poi mettere lavoratori contro lavoratori nella classica guerra tra poveri mettendo in cassa integrazione 200 addetti del centro di smistamento di via Dione Cassio a Milano. Al momento, questa strategia non sembra aver pagato e per oggi è previsto un nuovo tavolo di negoziazione dopo che il primo round era andato male.

Presidio sotto la sede legale di Esselunga (Foto Filt-CGIL Milano).

Un altro sciopero che è riuscito a far parlare di sé sia per il settore che per l’azienda coinvolta è quello delle lavoratrici e lavoratori Feltrinelli del 17 marzo. Le 8 ore di astensione dal lavoro sono state una sorta di bomba a mano lanciata nel mondo dell’editoria, un mondo, in apparenza molto progressista, ma che se ci si ferma a osservare con un minimo di attenzione le condizioni di lavoro dell’intera filiera tanto progressista non è con condizioni salariali, di precarietà e di sfruttamento (e autosfruttamento) in tutto e per tutto simili a quelle di altri settori più famigerati e lontani da quella patina di impegno del lavoro culturale. Lo sciopero Feltrinelli, il primo sciopero aziendale dopo quasi vent’anni è stato dichiarato per il mancato accordo su alcuni punti della discussione in corso sul contratto integrativo aziendale tra cui l’aumento dei buoni pasto, il premio di produzione pagante e l’abolizione complessiva del salario d’ingresso andando però a denunciare un più progressivo scadimento e deterioramento della professionalità del mestiere di libraio e la stanchezza delle maestranze di un comparto per le quali il quindicennio appena trascorso è stato estremamente faticoso e complicato.

Lavoratrici e lavoratori Feltrinelli in corteo a Milano il 17 marzo 2025. (Foto Gianfranco Candida).

Un’altra vertenza significativa che riguarda circa 7.400 lavoratori è quella di Ikea. Il CIA del gruppo è scaduto da ben 7 anni (!) e le trattative per il rinnovo non si sbloccano. L’azienda propone alle parti sindacali quella che è un po’ una costante delle proposte fatte dai grandi gruppi: condizioni peggiorative per i neoassunti rispetto ai lavoratori “storici”. In questo caso ai nuovi assunti non verrebbero riconosciute le maggiorazioni riconosciute alla platea dei lavoratori in azienda da più tempo. In aggiunta a ciò un altro punto di proposta che grida vendetta è l’obbligatorietà del lavoro festivo che va ad aggiungersi alle consuete richieste di deroga rispetto a professionalità e mansionari. Dopo una serie di assemblee molto partecipate il 15 marzo c’è stata una giornata nazionale di sciopero con presidi nei punti vendita di Carugate, Anagnina e Afragola a cui è seguito il 17 dello stesso mese lo sciopero degli addetti alle attività in remoto e gli impiegati della sede. Ultimo passaggio, per ora, il flashmob del 12 aprile nel grande eventificio di Milano durante la Design Week proprio allo stand dell’azienda svedese.

Lo sciopero Ikea del 15 marzo 2025 (foto Filcams-CGIL).

Altro colosso coinvolto da conflitti sul lavoro è McDonald’s. In questo caso la vicenda scatenante, che ha dell’incredibile, è il rifiuto da parte dell’azienda di sedersi al tavolo delle trattative per fornire un contratto integrativo ai lavoratori e alle lavoratrici dei negozi a gestione diretta del brand americano. Bisogna infatti sapere che in Italia, su 740 locali, solo una sessantina (l’8% del totale), con 4.000 dipendenti, sono gestiti direttamente dalla multinazionale di Chicago mentre i restanti 680 (il 92%) sono invece gestiti su licenza con 35.000 dipendenti circa. L’aspetto paradossale dell’intera vicenda, come dicevamo, è che alcuni lavoratori e lavoratrici dei negozi in licenza hanno già un contratto integrativo poiché le alcune aziende licenziatario lo riconoscono mentre la casa madre, che poi è quella che macina i maggiori profitti, non vuole farlo. Per il 7 maggio le sigle sindacali hanno organizzato un flashmob al Palacongressi di Rimini dove è prevista la convention annuale organizzata da McDonald’s Development Italy, alla quale parteciperanno i 170 licenziatari del marchio presenti sul territorio italiano.

Un capitolo a parte lo merita la vicenda della dura vertenza che riguarda il comparto metalmeccanico. Si arriva a fine aprile con già 32 ore di sciopero fatte. Per la maggior parte si tratta di ore di sciopero articolate a livello aziendale in modo da lasciare autonomia alla singole rappresentanze sindacali e maestranze delle varie fabbriche di decidere le giornate migliori per incrociare le braccia. Unica eccezione lo sciopero nazionale del 28 marzo che ha visto una serie di cortei provinciali molto partecipati. Totale, al momento, la chiusura da parte delle parti datoriali. Latitante, al momento, il governo. Possibile, anzi probabile, che per il mese di maggio vengano convocate altre 8 ore di astensione dal lavoro.

Lo sciopero nazionale dei metalmeccanici del 28 marzo. (Foto Fiom-CGIL).

Se la nota positiva che emerge da tutte queste vertenze è una certa combattività da parte del mondo dei lavoratori quello che salta all’occhio immediatamente come grande limite da parte delle strutture sindacali, è la quasi totale incapacità di mettere in rete e valorizzare queste, come si sarebbe detto un tempo, “realtà di lotta” dandogli modo di parlare e parlarsi in ogni momento possibile. Vedremo se questa grande carenza verrà superata nei prossimi mesi.

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