Referendum, quattro giorni dopo. Qualche considerazione

A qualche giorno dal referendum del 4 Dicembre buttiamo sul piatto qualche riflessione. Il nostro non intende essere un ragionamento sistematico né tantomeno un’analisi di fase, ma la condivisione di alcuni spunti emersi nel dibattito di questi giorni.

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”Ha fatto tutto lui!”. Questa è una frase che potrebbe sintetizzare efficacemente quello che sembra essere stato un “suicidio politico” perfetto.
Matteo Renzi è passato dallo stravincere le elezioni europee del 2014 con più del 40% alla batosta di qualche giorno fa. Il tutto in due anni.
Ebbene. Nessuno gli aveva chiesto di riformare la Costituzione. Non c’era alcuna urgenza particolare su questa materia.
E’ stato lui ad insistere nel volere “entrare nella storia” per aver cambiato la carta fondamentale (e la legge elettorale).
E sempre lui ha aperto le danze sulla personalizzazione con la celebre frase: “Se perdo il referendum me ne vado a casa”.
Il PD ha speso moltissime energie per far passare la riforma e in questa lunghissima ed estenuante campagna elettorale. Forse queste energie sarebbero potute essere spese meglio…
Sindrome di onnipotenza conclarata direbbe qualcuno.
Attenzione però a non dare prematuramente per finito il politico fiorentino che, dopo un primo momento di sbandamento, sembra essersi ripreso mettendo in campo l’abilità manovriera che lo contraddistingue.
Renzi ha comunque convogliato sulla sua figura e sulla sua narrazione più di 13 milioni di voti e resterà per un lungo periodo una figura politicamente fondamentale con cui fare i conti.

– Le dimensioni del NO sono state sorprendenti. I più ottimisti pensavano a una sfida che si sarebbe magari risolta con qualche punto di differenza e con un grande peso del voto degli Italiani all’estero. Non è andata così. Il NO ha stravinto col 59,95% dei voti ovvero poco più di 19 milioni di persone (sui 32 milioni andati al voto).
Analizzando i primi flussi elettorali sembra evidente che la vittoria del NO sia stata schiacciante nel voto giovanile e tra le fasce di popolazione in maggiore difficoltà economica.
Renzi e il suo partito hanno puntato tutta la campagna sulla dicotomia giovani contro vecchi e i giovani hanno votato in massa per il NO. Questo la dice lunga su una generazione politica che di politica non capisce niente, che sarà anche brava con le slide e le chiacchiere in TV ma si è scordata di ripassare la lezione gramsciana della connessione sentimentale col Paese reale. Dimostra anche che la narrazione che hanno fatto di una generazione di giovani che guardano al futuro con fiducia e arroganza non descrive neanche lontanamente la realtà di gente che campa di voucher e lavori precari e sottopagati.
Questo settore giovanile è un terreno di intervento potenzialmente molto interessante. Diciamo potenzialmente perché salvo in alcuni territori e in alcuni settori i movimenti fanno oggi molta fatica a intercettare questi soggetti sociali. La componente giovanile, dopo il movimento dell’Onda (2008-2010), si è ridotta a una dimensione estremamente militante.
E’ evidente che in Italia c’è un drammatico problema legato ai redditi e alla precarietà, e se non ci fossero i risparmi delle generazioni precedenti, la povertà sarebbe molto più diffusa.

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Ricordiamoci comunque che si è votato sulla Costituzione (al di là dell’evidentissimo valore politico del voto). Ed è stata bocciata una proposta di riforma che, quella sì, andava in senso più autoritario. Ha un po’ stancato la favola che il PD è l’ultimo margine ai lanzichenecchi. Anche perché, a raccontarla sono spesso e volentieri le élite finanziarie europee e internazionali, che hanno in Renzi un loro referente affidabile e sono, ricordiamolo, tra le massime responsabili della crisi che ha ci ha colpiti dal 2008.

– Cinque Stelle e destra varia cercano, anche legittimamente, di intestarsi la vittoria. Il referendum ha dimostrato che, seppur diviso, in Italia esiste ancora un forte blocco di destra (quello i cui referenti sono stati prima, in modo moderato e mediatore, la Democrazia Cristiana e successivamente, in modo più aggressivo, Silvio Berlusconi). Dimenticare questo elemento sarebbe un errore politico. In Italia la destra c’è, è forte e radicata nella società e, se trovasse un leader capace di sintesi delle varie spinte, tornerebbe ad essere un avversario temibile.
I Cinque Stelle colgono la seconda vittoria del 2016 dopo le amministrative. Il loro elettorato è stato compatto ed ha votato in massa contro Renzi. Il M5S è in questo momento il partito che più sembra capace di adattarsi alla fase con la sua capacità onnivora di declinare temi sia di sinistra che di destra. Con loro al governo si potrebbe paradossalmente passare dal blocco del TAV in Val di Susa, dal ritiro delle missioni militari all’estero, dalla liberalizzazione della cannabis e dal reddito di cittadinanza a politiche restrittive sull’immigrazione e a un duro giustizialismo.
Non dimentichiamoci però che il NO ha stravinto anche in territori dove né i 5 Stelle né tantomeno la Lega di Salvini hanno cittadinanza (soprattutto al Sud, dove il tema generazionale e economico si sente ancora più forte).

Il NO sociale è stata una giusta scommessa che ha portato a casa il risultato.
Probabilmente se vivessimo in una fase di movimento più florida la capacità di incidere sarebbe stata infinitamente maggiore.
Resta il fatto che il referendum sulla riforma costituzionale è stata una gigantesca battaglia che ha visto coinvolte milioni di persone e il fatto di non essersi defilati, restando in qualche modo a guardare, ci sembra importante.
La manifestazione del 27 Novembre a Roma è stata la mobilitazione per il NO più massiccia. Questo è un dato politico non irrilevante anche se totalmente nascosto dalla narrazione mediatica.
Una cosa va detta con obiettività. Mentre Berlusconi avrebbe dovuto cadere dopo la giornata di rivolta del 14 Dicembre 2010 e invece riuscì a prolungare la sua agonia per un altro anno comprandosi i voti di alcuni parlamentari fino al diktat europeo dell’Autunno 2011, Renzi non cade per una spinta che arriva “da sinistra” e dai movimenti sociali bensì per una scommessa azzardata e persa.

– In apparenza si conferma “l’eccezione Milano”. Tanti di noi erano consci che, molto probabilmente nella nostra città avrebbe vinto il SI’. In fondo, con Sala, Milano è stata l’ancora di salvataggio del renzismo dopo le sconfitte di Roma e Torino nelle ultime amministrative. I motivi potevano essere molteplici. Come prima cosa il “partito del fare” è estremamente affine alla mentalità milanese. In secondo luogo a Milano la crisi ha picchiato meno che altrove e continuano a girare tanti soldi.
Se però si osservano i dati con attenzione ci si rende conto che tra i confini della città il contributo determinante alla vittoria del SI’ è stato dato dal centro storico che ha votato in massa per la riforma Renzi-Boschi. Uscendo dalla circonvallazione però la situazione cambia. Più ci si allontana dal centro verso la periferia e più i problemi sociali aumentano e la qualità della vita diminuisce. Non è un caso infatti che nell’hinterland (Cinisello, Sesto San Giovanni, Rozzano, Corsico, San Giuliano…), che poi fa parte della città metropolitana, abbia vinto il NO.

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Per noi le giornate del 26 e del 27 Novembre (la manifestazione nazionale contro la violenza sulle donne e il corteo per il NO) sono state estremamente importanti e fanno intravedere tanti scenari possibili molto interessanti.
E’ evidente che in questo momento servono alleanze sociali nuove.
Alleanze capaci di praticare mutualismo per cercare di uscire dall’atomizzazione e dalla solitudine dominante e alleanze “di scopo” capaci di coalizzarsi su singoli obiettivi e tematiche.
Secondo noi il movimento deve fare di questo tema una priorità, maledicendo la propria coazione a ripetere di pratiche e linguaggi soliti e in qualche modo rassicuranti per lanciarsi nel dialogo e nell’apertura, andando a cercare fuori da sé quello che ci accomuna a tanti altri e tante altre, alla ricerca di proposte concrete per la vita vera delle persone, soprattutto quelle che stanno in maggiore difficoltà.
L’esempio della “battaglia” sulla Caserma Montello in cui razzisti e xenofobi sono stati momentaneamente respinti ci sembra un esempio virtuoso. Nei prossimi mesi ci saranno molte occasioni possibili per ribadire questa pratica.

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