Soprattutto l’immaginazione rivoluzionaria è una prassi
L’intervento del CSA Lambretta all’Assemblea Nazionale della rete No Dl Sicurezza “A pieno regime”.
Pubblichiamo il testo integrale del discorso del CSA Lambretta all’Assemblea Nazionale della rete No Dl Sicurezza “A pieno regime”, avvenuta domenica 4 maggio in via dei Monti di Pietralata 16 a Roma. Il discorso è stato performato con delle variazioni, dovute all’occasione e ai tempi stretti; si può ascoltare al seguente link, è il sesto.
L’assemblea ha lanciato la mobilitazione per la settimana del 26 maggio, con un presidio in occasione della discussione parlamentare del Dl sicurezza e un corteo nazionale il 31 maggio.
- Il Lambretta si è impegnato, con tantissime altre realtà territoriali, a mantenere attiva una rete cittadina contro le misure repressive e la guerra. Questa rete ha costruito la mobilitazione del 7 dicembre, del 22 febbraio (in sincronia con numerose altre città, per la chiamata della rete “A pieno regime”) e del 5 aprile. Quella del 5 aprile è stata una mobilitazione diffusa: abbiamo costruito azioni in Loreto, Stazione Centrale, San Babila e Corvetto per poi convergere in un presidio, che si è spontaneamente mosso in corteo verso la prefettura: lì, siamo stat* fermati con più cariche delle forze dell’ordine.
- La scelta della mobilitazione diffusa era legata all’estensione delle zone rosse, sia sul piano temporale (scadute il 31 marzo, sono state rinnovate fino al 30 settembre) sia sul piano spaziale (via Padova, Colonne di San Lorenzo e Rozzano si aggiungono a Lambrate, Stazione Centrale, Stazione Garibaldi, Duomo, Navigli, Darsena e Corvetto). In pratica, tutte le principali zone del turismo di lusso, della “movida”, dei trasporti ferroviari e, per essere ancor più chiari nelle intenzioni, le zone in cui vivono persone “non-occidentali”.
- Questa estensione non modifica la direzione della politica istituzionale in città, fornisce solo più strumenti giuridici e polizieschi – anzi, direi armi. Come fornisce armi più affinate, più adatte al momento, la forzatura “emergenziale” della decretazione del DDL Sicurezza, lo scorso 4 aprile. Non la modifica, dicevo, perché a Milano, da almeno dieci anni, gli sforzi della politica istituzionale sono tutti volti alla trasformazione della città in un parco tematico, in una vetrina della speculazione immobiliare, per l’attrazione del capitale finanziario. Per fare questo, è necessario avere più “spazio vitale”, de-ghettizzare interi quartieri attraverso il libero mercato.
- Sala è, del resto, il sindaco della gentrificazione. La “Salva-Milano” è solo la punta dell’Iceberg. Lo sono EXPO, lo sono porta Vittoria, la BAM, City Life, lo sono i concorsi truccati, la BEIC, lo è già Milano-Cortina, lo sarà San Siro.
- Come la democrazia liberale si pone a difesa degli interessi della classe capitalista, quando la crisi permanente tipica di questo sistema economico-politico si rende più visibile, rendendo più “manifesta” dunque la coercizione economica della classe lavoratrice; così questa amministrazione locale, priva degli scrupoli e del pudore di un governo nazionale, si è dedicata direttamente a fare gli interessi dei pochi. Le armi del decreto sicurezza e delle zone rosse sono allora ridondanti, per una città che ha usato ampiamente Daspo e fogli di via, come ha usato l’esercito per presidiare infrastrutture e luoghi considerati “strategici”. E per una città che ha da tempo nascosto questa guerra reale alle persone marginalizzate sotto le spoglie di una conquista culturale: le week, le fiere, la politica della sostenibilità. Milano ai loro occhi sarà una città di case vuote, abitate brevemente o usate come investimento sicuro; sarà una città di spazi vuoti, adibiti a luoghi di cultura “alta” o lasciati impolverire in attesa di essere appaltati. Sarà la citta della consulenza. Una città per chi transita, non per chi decide di rimanere. Una città invivibile e non solamentre per la crisi climatica.
- Tre “esempi” della violenza di sistema: l’omicidio di stato di Ramy Elgaml e la violenza di stato su Fares Bouzidi (con tanto di tentativi di depistaggio); la serie ininterrotta di sgomberi della Rete Ci Siamo (da Esterle a Fracastoro a Casa Loca a piazza Leonardo Da Vinci alla Piscina Scarioni e, infine, all’Ex Centro Vaccinale di viale Brenta), che si inserisce perfettamente nella strategia di sgombero degli spazi sociali; la tentata espulsione o reclusione del nostro compagno Ayoub di qualche settimana fa. Solo l’azione diretta (e la violenza verso le cose) della comunità razzializzata di Corvetto ha permesso a una parte di verità di venire a galla; solo la mobilitazione di una rete è riuscita ad attivare un meccanismo di mutuo aiuto con persone lavoratrici migranti che altrimenti avrebbero vissuto per strada; solo la nostra prontezza e la solidarietà della militanza ha permesso all’avvocato di entrare in questura ed evitare, per adesso, il peggio. Di quale sicurezza parlano? Della loro, della certezza dei loro profitti.
- In nessuno dei tre esempi riportati, finora, sono state usate le nuove “armi”. Queste nuove armi, nel loro essere ridondanti, forniscono un alibi, una legittimità politica “altra”, in più. È un surplus: non è un caso che l’oggetto di questo “surplus” è una precisa parte di popolazione. In un momento di crisi economica e politica, il sodalizio tra classe capitalista e stato – che vogliono mantenere lo status quo, cioè preservare la crescita dei profitti – ha bisogno di silenziare il dissenso, certo (ed è qui che entra davvero in gioco il DL Sicurezza). Ma ha anche necessità di fabbricare consenso: la classe lavoratrice deve lavorare e soprattutto avere motivazione nel farlo. La differenza tra classe lavoratrice, anche precaria, e classe in esubero (persone migranti, transitanti, persone senza fissa dimora, ma anche semplicemente chi non è in cerca, o non può esserlo, di un lavoro) è motivazionale. La loro è una strategia pervasiva controrivoluzionaria.
- Nel quadro dell’intolleranza nei confronti di militanza, attivismo, persone razzializzate e marginalizzate: la tolleranza verso le manifestazioni fasciste. Due eventi: la commemorazione, lo scorso 29 aprile, della morte di Sergio Ramelli; il prossimo 17 maggio il Remigration Summit. Qui, voglio sottolineare la necessità di una risposta forte (sul Remigration Summit è attiva un’assemblea cittadina a scopo, sulle parole di contrordine: Make Antifa Great Again) e, contemporaneamente, di uno sforzo di ridimensionamento. È vero che la copertura politica permette ai gruppi neofascisti di mostrarsi impunemente; è anche vero, però, che erano in duemila per il cinquantesimo di un loro martire.
Il nostro obiettivo deve rimanere il fascismo integrato nelle istituzioni politiche ed economiche. - La pacificazione sociale, ovviamente, è la condizione per muovere la guerra. Sia “internamente”: per la riduzione dell’idea di cittadinanza, nell’ottica di garantire un certo benessere; per la crescita dei profitti e, dunque, l’estensione del mercato come estensione della coercizione economica; sia “esternamente”: per conservare il sistema, i paesi europei vogliono investire nel riarmo, convertire le industrie. Porre la questione su un piano geopolitico, per togliere di torno il piano politico. La lotta per l’autodeterminazione dei popoli, come quello palestinese e curdo, è dunque centrale.
- Ai tre esempi che ho fatto si deve aggiungere, allora, la deliberata rottura del corteo nazionale per la Palestina del 12 aprile da parte delle forze dell’ordine. Ancora: è una questione di ridondanza: una “manovra” del genere è sempre stata possibile, semplicemente non aveva terreno politico fertile. È sempre più chiaro sia necessario portare avanti la resistenza con tutti i mezzi possibili. Il loro attacco frontale ci mostra i luoghi, le persone, gli strumenti di cui hanno più paura.
- È importante, nella conduzione di questa lotta, non porsi a difesa della “democrazia” (liberale) contro “i fascismi”: si tratta di una falsa coppia oppositiva. Questi fascismi sono democratici, sono proprio le istituzioni democratiche liberali a fornire tutti gli strumenti per una “chiusura” del campo. Del resto, la democrazia non è mai riuscita ad evitare che venissero costruiti Lager moderni (in Libia, in Turchia; ma anche sul territorio europeo, parlo dei CPR), né una cittadinanza esclusiva e razziale, né l’approvazione di leggi liberticide. Noi vogliamo combattere la deriva securitaria e autoritaria di questo governo per costruire attivamente un’alternativa. Stando bene attenti alla trappola dell’immaginazione: ci diciamo che se è impossibile immaginarlo, quest’altrove, vuol dire che non è percorribile. Falso: soprattutto l’immaginazione rivoluzionaria è una prassi – anche teorica. Vedendo facendo. Ciò che conta è buttar giù questo sistema: violento per vocazione, insopportabile.
- Il Lambretta e la rete milanese contro repressione e guerra confluirà nella mobilitazione nazionale. Occupare le strade e il discorso, estendere la portatsa della lotta, alzare la posta in gioco. Noi siamo pront*.
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