Guantanamo israeliana. Il lento e doloroso martirio dei detenuti e delle detenute palestinesi

Walid Daqqa era un scrittore e rivoluzionario palestinese. Alla sua nascita – avvenuta nel 1961 a Baqa al-Gharbiyye nel distretto di Tulkarem – il suo villaggio e tutta l’area venne occupata e inserita nel più ampio progetto di colonizzazione sionista del territorio.
Si mobilitò, come molti giovani, per resistere alle aggressioni dell’esercito e dei coloni israeliani, e nel 1984 venne arrestato, e condannato a 38 anni di carcere.
E’ morto il 7 aprile 2024 a causa di negligenza medica, e non ha mai potuto abbracciare sua figlia Milad di 4 anni, nata dal contrabbando dello sperma. La sua morte ha scosso l’opinione pubblica non solo in Palestina e non solo perche Walid Daqqa era una figura conosciuta per la sua storia e i suoi libri;
Se negli ultimi anni la condizione dei detenuti e delle detenute nelle carceri israeliane ha trovato poco interesse da parte del mondo occidentale, oggi i/le prigioniere palestinesi sono al centro di una delle questioni più seguite della guerra: i negoziati per un cessate il fuoco a Gaza.
Infatti Hamas continua a porre il rilascio di prigionieri come condizione per il cessate il fuoco e per lo scambio dei restanti  israeliani a Gaza.

Negli unici momenti di scambio di prigionieri, il mondo ha potuto vedere le condizioni in cui alcuni dei detenuti palestinesi sono stati rilasciati. Tuttavia, le braccia o le gambe spezzate mentre si trovavano in condizione detentiva in israele, sono solo la facciata di una situazione di tortura fisica e psicologica al limite della sperimentazione umana.
Il gruppo per i diritti dei prigionieri palestinesi Addameer ha descritto il sistema carcerario israeliano come un “complesso di mostruosi macchinari nella forma, nelle leggi, nelle procedure e nelle politiche progettati per liquidare e uccidere”.
Dall’occupazione dei territori palestinesi e arabi nella guerra del 1967, il  governo israeliano applica un ordine militare (101) che essenzialmente vieta la partecipazione e l’organizzazione di proteste, la stampa e la distribuzione di materiale politico, lo sventolamento di bandiere e altri simboli politici. A giudicare i colpevoli di tali reati, se ne sarebbe occupato il tribunale marziale e non civile, giudicando ogni cittadino palestinese con la legge militare.
Il risultato è che un palestinese su cinque è stato arrestato e accusato in base ai 1.600 ordini militari che controllano ogni aspetto della vita dei palestinesi che vivono sotto l’occupazione militare israeliana. Il tasso di incarcerazione raddoppia per gli uomini palestinesi: due su cinque sono stati arrestati nel corso della loro vita nella Palestina occupata.

Oggi in Israele ci sono 19 prigioni, e una si trova nella Cisgiordania occupata.
Diverse organizzazioni palestinesi per i diritti umani, hanno evocato invano la Quarta Convenzione di Ginevra, per cui è contro il diritto internazionale che una potenza occupante trasferisca una popolazione occupata dal territorio occupato. 
Qualsiasi (timida) richiesta di chiarimento in passato è stata ignorata da israele, così come le (leggermente più forti) domande poste sulla condizione e sul numero di persone palestinesi detenute oggi nelle prigioni.

Il numero dei palestinesi attualmente dietro le sbarre israeliane è approssimativamente di più di 9mila (quasi il doppio rispetto a sei mesi fa), tra cui 33 donne e 170 bambini; 3500 circa di loro sono in detenzione amministrativa, il che significa che sono tenuti dietro le sbarre a tempo indeterminato senza dover affrontare processo o alcuna accusa. Questa pratica, un residuo dell’era del Mandato britannico, può essere estesa indefinitamente sulla base di “prove segrete”, e così un detenuto può trascorrere mesi se non anni in prigione senza essere accusato.
Un numero imprecisato di abitanti di Gaza (tra cui i lavoratori che il 7 ottobre si trovavano in territorio israeliano) sono detenuti in strutture militari sconosciute, se ne ipotizzano 3 nei dintorni di Gaza. Così come non si sa dove si trovino, non si conosce nulla sul loro stato di salute e la loro condizione.

Vista la facilità con cui una persona palestinese può finire incastrata nell’intricato e vendicativo sistema carcerario israeliano, arriviamo infine alle devastanti condizioni in cui le detenute e i detenuti sono costretti a sopravvivere.
Ai bambini e alle bambine detenute viene impedito di incontrare i genitori, spesso impossibilitati a raggiungerli in israele; come gli adulti, vengono tenuti in regime di isolamento per incrementare il senso di abbandono, costretti a fornire informazioni sulla famiglia e la comunità, giudicati dal tribunale militare nel momento in cui viene effettuato il processo (e non sulla base dell’età in cui è stato commesso il presunto reato);
Addameer descrive l’arresto e l’incarcerazione dei bambini come sistemici e parte di una campagna di punizione collettiva.
L’accusa più comune è quella di lancio di pietre, punibile con una pena massima di 20 anni.

Detenuti e detenute di qualsiasi età hanno denunciato violenze quotidiane, persone picchiate anche con bastoni, privazioni ​​di cibo e di sonno; torture psicologiche come il regime di isolamento in stanze buie e musica disturbante a volumi altissimi, caviglie e polsi legati per giorni, bende sugli occhi per settimane intere.
Acqua e servizi igienici non sono accessibili nemmeno a pagamento, e sia uomini che donne vengono sottoposte a trattamenti crudeli e umilianti, come essere denudate per essere sottoposte a fredde temperature.
Da ottobre, sono aumentate anche le uccisioni in carcere, con testimonianze dei familiari che parlano di corpi magri, costole rotte ed ematomi, segni della privazione di cibo e delle botte.

Secondo uno degli ultimi rapporti pubblicati da UNRWA, diversi detenuti hanno denunciato episodi di abusi o molestie sessuali.
Alcuni detenuti maschi hanno affermato di essere stati picchiati sui genitali, denudati e fatti sdraiare su altri uomini nudi fino a formare un mucchio umano; le donne che hanno avuto il coraggio di parlare, hanno affermato di aver subito “toccamenti inappropriati durante le perquisizioni mentre erano bendate”. Hanno aggiunto di essersi dovute spogliare davanti ai soldati maschi durante le perquisizioni e di non essere riuscite a coprirsi per diversi giorni.

Questo è il trattamento degradante e umiliante in cui vengono sottoposte persone palestinesi di tutte le età; lo scopo, come sempre, è quello di provare a spezzare la volontà di un popolo che con estrema fatica resiste alle molteplici e violente armi utilizzate dal regime sionista.
A Gaza come a Baqa al-Gharbiyye, dove l’esercito ha provato ad impedire lo svolgimento del funerare dello scrittore rivoluzionario Walid Daqqa, la resistenza non è una scelta ma una condizione necessaria di fronte alla ferocia e la potenza distruttiva del regime occupante israeliano.

Nassi La Rage

 

 

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