I Trump, le Harris e noi

Ha vinto Trump, ha perso Harris.
Un’ulteriore e pesante conferma di quella tendenza globale che sposta il baricentro politico dell’Occidente e non solo verso opzioni autoritarie, reazionarie, suprematiste ed escludenti.
È la conseguenza della crisi (finale?) delle democrazie liberali, sempre più svuotate di senso e consenso e con un discorso ufficiale, fatto di tante belle parole su democrazia e diritti, che cozza in maniera ormai ostentata contro una realtà che lo nega. Lo fa nell’esplosione delle disuguaglianze sociali, lo fa nelle guerre, lo fa nel genocidio in Palestina.
Nessuno dei due campi, né quello delle destre sovraniste, né quello delle forze liberal di centro-destra-sinistra, mette in discussione le basi, cioè il capitalismo liberista e il comando del capitale, e nessuno dei due in questi anni ha rinunciato allo smantellamento del welfare, alla compressione dei diritti sociali e al rafforzamento dei poteri dei corpi di polizia.
Ma i primi sono senz’altro più attrezzati a gestire l’esistente, perché offrono un nemico, i migranti, contro cui indirizzare paure, frustrazioni e rabbia e un fortino, la nazione, dove asserragliarsi e cercare sicurezza e sicurezze.
I secondi, invece, cosa offrono, se non ipocrisia, richiami alla responsabilità e alla rassegnazione e, questo sì, qualche attenzione in più ai diritti civili (a casa nostra)?
Beninteso, Trump e Harris non sono uguali, così come non sono uguali nazionalisti e liberal.
I primi sono molto peggio, non c’è dubbio alcuno, ma alla fine i secondi portano ai primi, negli States, così come nel nostro vecchio continente. Le destre globali e nazionali sono il frutto avvelenato del liberismo, della prolungata erosione dei rapporti di forza e della dispersione in mille rivoli e individualità delle persone.
Da qui occorre ripartire, da quello che non c’è più, da quello che drammaticamente manca, cioè un’opzione credibile e rilevante che metta in discussione le basi e indichi un orizzonte diverso, alternativo, radicalmente alternativo.
Non lo scimmiottamento di un passato che non c’è più, ma una nuova partenza, a partire dalla realtà sociale così com’è. Questo è il nostro compito, nostro e di tanti altri e tante altre, difficile e ambizioso, ma proprio per questo realista.
Non ho strade da indicare o soluzioni pronte all’uso da consigliare.
Queste andranno costruite insieme, cooperando e osando, ma una cosa è certa, il tempo delle comfort zone è finito e dobbiamo rompere l’apatia.

Luciano Muhlbauer

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Una risposta a “I Trump, le Harris e noi”

  1. Pinuccia Gagliano ha detto:

    Ci pensavo ieri. Rendersi conto del reale, come tu dici rispetto a ciò che è accaduto negli USA. Che significa? Significa tornare ad avere la capacità di vedere e guardare la realtà con una CHIAVE di lettura, ma senza lasciarsi offuscare da essa, avere il coraggio di vedere ciò che sono le fabbriche, i quartieri, le scuole, gli ambulatori ecc.Raccogliere istanze e prospettive fuori dalle comfort zone e ri-partire. Grazie, Pina

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