Giornata internazionale di solidarietà col popolo palestinese: la resistenza declinata al femminile

Per quelle di noi che vivono sul margine
ritte sull’orlo costante della decisione
cruciali e sole…
Per quelle di noi
che sono state marchiate dalla paura
come una ruga leggera al centro delle nostre fronti
imparando ad aver paura con il latte di nostra madre…
Per noi tutte
questo istante e questo trionfo
non era previsto che noi sopravvivessimo…
E quando il sole sorge abbiamo paura che forse non resterà
E quando parliamo abbiamo paura che le nostre parole non verranno udite
Ma quando stiamo zitte anche allora abbiamo paura.
Perciò è meglio parlare
ricordando
che non era previsto che sopravvivessimo.

Litania per la sopravvivenza (Audre Lorde)

Palestinesi tengono una veglia a Nablus per protestare contro l’aggressione israeliana a Gaza. (17/10/2023)

È impossibile immaginare le sofferenze di chi anche solo per un giorno ha dovuto trascorrere del tempo nelle carceri israeliane, ancora di più lo è per chi, come Khalida Jarrar ha subito numerosi arresti, una delle quali coincidente con una grande tragedie nella sua vita, la morte della figlia durante la detenzione del 2021, durante la quale le fu impedito il rilascio anche solo temporaneo per assistere al funerale

Khalida non è mai stata condannata per alcunché, tranne l’unica volta per opposizione politica, ovvero per “appartenenza a un’organizzazione illegale” con l’arresto del dicembre 2015, in cui  la sentenza le contestava 12 capi d’accusa che andavano dall’«appartenenza a organizzazioni illegali», come viene considerato il Fplp, alla «partecipazione a manifestazioni di protesta» in solidarietà con gli altri 16 parlamentari palestinesi detenuti in Israele fino alla «intensa attività di proselitismo per la resistenza» e al «ruolo negativo di leadership che la detenuta esercita» contro l’occupazione.

L’avvocata e parlamentare palestinese è stata sottoposta alla detenzione preventiva fin dal 1989, quasi sempre senza accuse formali o per reati contro la sicurezza legati alla sua attività politica nei Territori. L’ultima detenzione si è conclusa domenica 19 gennaio 2025, dopo l’arresto nel 26 dicembre 2023, a fronte della liberazione di tre giovani donne israeliane che erano tra gli ostaggi nella Striscia di Gaza.

Viene arrestata la prima volta l’8 marzo 1989 durante una manifestazione nella Giornata internazionale della donna. I ripetuti arresti e periodi in detenzione preventiva nelle carceri israeliane hanno portato Khalida Jarrar, dal 1993 al 2005, all’incarico di direttrice di Addameer, organizzazione per il sostegno e la tutela dei diritti dei detenuti palestinesi, con sede a Ramallah. Nel 2006 è stata eletta parlamentare nel Consiglio legislativo palestinese e nominata presidente della Commissione per i detenuti. Le sue vicende personali, la sua risolutezza e la sua attitudine a resistere da sempre la collocano nelle figure più note della resistenza palestinese, rappresentando al contempo la lotta femminista, la resistenza non violenta e i diritti negati dei prigionieri e delle prigioniere palestinesi.

Fra ripetuti arresti e rilasci, solo fra il 2015 e il 2019 l’attivista aveva scontato 59 mesi di detenzione.

Ha’aretz, nelle sue parole di apertura, ha chiesto il suo rilascio cinque volte, ma invano. Jarrar è un’oppositrice del regime, il regime di occupazione, membro del Consiglio Legislativo Palestinese e originariamente avrebbe dovuto godere dell’immunità parlamentare, ed è prigioniera di coscienza in Israele. Quando si parla di prigionieri di coscienza in Myanmar, Russia, Iran o Siria, Khaleda Jarrar dovrebbe essere menzionata, e quando si parla di Israele come paese democratico, è d’obbligo menzionare Khaleda Jarrar

Nella prigione di Damon, come racconta Ghassan, suo marito, c’erano tra i 73 e i 91 prigionieri e detenuti palestinesi. Il marito afferma che Khaleda questa volta ha agito con la massima cautela e non si è comportata da leader delle carceri, come era accaduto in passato. Dal suo arresto, nel dicembre 2023, ovviamente, non l’ha più incontrata né le ha parlato, poiché tutte le visite ai prigionieri palestinesi sono state interrotte e annullate per ordine di Ben Gvir.

Secondo i dati di “Betselem”, circa 60 detenuti palestinesi sono morti e sono stati uccisi nelle prigioni israeliane dall’inizio del genocidio fino ad oggi, un numero molto più alto di quello dei detenuti morti e uccisi nella famigerata prigione di Guantanamo per 20 anni.

Ha’aretz ha posto alcune domande all’ufficio del portavoce ufficiale del Servizio Penitenziario
La risposta del servizio penitenziario a tutte le domande relative alla prigionia di Khalida Jarrar è stata la seguente: “Il servizio penitenziario opera secondo la legge, sotto lo stretto controllo di numerosi osservatori ufficiali. Ogni prigioniero e detenuto ha il diritto di presentare un reclamo nelle sedi designate e le sue richieste saranno esaminate”.

Le donne palestinesi vittime della detenzione amministrativa sono detenute, nella maggior parte dei casi, nelle prigioni di Hasharon e Damon. Entrambe le carceri di trovano all’esterno dei Territori Palestinesi Occupati del 1967, in totale contravvenzione all’Art. 76 della Quarta Convenzione di Ginevra, il quale sancisce per le forze occupanti di detenere residenti dei territori occupati all’interno dei territori occupati.

Khaleda Jarrar è stata liberata quest’anno. Invece di godere dell’immunità parlamentare, è diventata prigioniera di coscienza in Israele. 

DETENZIONE AMMINISTRATIVA

Oggi registriamo il tasso più alto di arresti in 25 anni, dalla Seconda Intifada. Almeno 10.800 Palestinesi si trovano detenuti nelle prigioni d’occupazione israeliane, la maggior parte di loro senza processo o accusa. Migliaia di altre persone risultano ancora disperse: sono state fatte sparire con la forza o sono state trattenute nei campi militari.

Nella Giornata mondiale dell’infanzia, l’occupazione israeliana sta perpetrando distruzioni fisiche e psicologiche contro i bambini prigionieri.

Israele è l’unico Paese al mondo dove i bambini palestinesi – e solo quelli palestinesi – vengono sistematicamente giudicati da tribunali militari, passando per trattamenti disumani.  Ogni anno vengono arrestati e processati in questi tribunali tra i 500 e i 700 minorenni. Ad oggi, sono più di 400 i ragazzi detenuti in condizioni disastrose nelle prigioni israeliane di Ofer e Mejido.

Dall’inizio della guerra genocida, un bambino prigioniero è morto di fame nelle carceri dell’occupazione e più di 1.630 ragazzi e ragazze sono stati arrestati in Cisgiordania, insieme a decine di bambini di Gaza.

A Ramallah In occasione della Giornata mondiale dell’infanzia, il 20 novembre, le istituzioni carcerarie (la Commissione per gli Affari dei Detenuti e degli Ex Detenuti, la Società dei Prigionieri Palestinesi e l’Associazione per il Supporto ai Prigionieri e i Diritti Umani Addameer) hanno dichiarato che il sistema di occupazione israeliano continua a infliggere distruzione fisica e psicologica ai minori detenuti attraverso una serie di politiche sistematiche. Negli ultimi decenni, i bambini palestinesi sono rimasti uno dei gruppi più esposti alle violazioni israeliane, tra cui uccisioni e ferimenti, privazione dell’istruzione, incursioni notturne e arresti che hanno preso di mira decine di migliaia di minori dall’inizio dell’occupazione.

I bambini non sono mai stati risparmiati dalle politiche di repressione. Dallo scoppio della guerra, le organizzazioni per i diritti umani hanno documentato oltre 1.630 arresti di bambini in Cisgiordania, compresa Gerusalemme, in un breve lasso di tempo. Oggi, circa 350 bambini, tra cui due bambine, sono imprigionati nelle carceri occupate, in condizioni che violano completamente tutti gli standard internazionali per la protezione dei minori. Sono sottoposti a tortura, fame, abusi medici, privazioni ed espropriazioni sistematiche, oltre all’isolamento collettivo.

Il caso del bambino prigioniero Walid Khaled Ahmad, della città di Silwad/Ramallah, morto martire nel carcere di “Megiddo” nel marzo 2025 a causa della fame, unitamente a politiche di privazione e abusi, rappresenta uno degli esempi più sconvolgenti. È tra le decine di prigionieri e detenuti uccisi dopo la guerra genocida a seguito di una serie di crimini, in particolare tortura e fame, come nel caso di Walid Ahmad di Silwad.

Con l’avvio di campagne di arresti di massa a Gaza durante la guerra genocida – che, secondo la documentazione disponibile, includevano l’arresto di decine di bambini – il reato di sparizione forzata e le severe restrizioni alle visite dei familiari hanno reso impossibile determinare il numero esatto di bambini detenuti nelle prigioni e nei campi militari occupati.

In un momento in cui il mondo celebra i successi dei bambini in tutti gli ambiti della vita, nonché la loro crescita e il loro sviluppo naturale, i bambini palestinesi si trovano ad affrontare una macchina repressiva che li prende di mira e viola i loro diritti e la loro dignità umana. Vengono arrestati in tenera età, processati da tribunali militari, dove vengono violate anche le più elementari garanzie di un giusto processo, e sottoposti a dure punizioni.

Mentre la guerra genocida contro il popolo palestinese continua nonostante l’annunciato cessate il fuoco, e alla luce delle continue violazioni dei diritti dei bambini palestinesi da parte dello Stato occupante e dei crimini di guerra e contro l’umanità commessi contro di loro, le istituzioni carcerarie invitano gli Stati terzi a costringere la potenza occupante a porre fine al genocidio in tutte le sue forme, a porre immediatamente fine a tutti i crimini commessi contro i bambini, a rispettare e attuare il parere consultivo emesso dalla Corte Internazionale di Giustizia che dichiara illegale l’occupazione israeliana, a boicottare integralmente tale occupazione, a imporle sanzioni e a ritenerla responsabile di tutti i suoi crimini.

Queste parole sono da sempre urlate a gran voce da uno dei prigionieri politici e leader della resistenza all’occupazione tra i più noti, il deputato del Consiglio Legislativo Palestinese e leader di Fatah Marwan Barghouti. Durante la sentenza del 15 aprile 2002, Barghouti sostenne che il tribunale israeliano era illegittimo e illegale, rifiutandosi quindi di assumere un avvocato per difenderlo. Di conseguenza, fu condannato a cinque ergastoli e a 40 anni di carcere. L’occupazione israeliana arrestò anche il Segretario Generale del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina e deputato del Consiglio Legislativo Palestinese, Ahmed Saadat, il 14 marzo 2006, dopo che le forze di occupazione israeliane fecero irruzione nel carcere di Gerico, di proprietà dell’Autorità Nazionale Palestinese, e lo condannarono a 30 anni di carcere due anni dopo il suo arresto.

Pochi giorni fa il settantaduenne leader nazionale palestinese imprigionato, e segretario generale del Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina è stato picchiato dalle guardie carcerarie dell’occupazione mentre veniva trasferito dall’isolamento nella prigione di Megiddo all’isolamento nella prigione di Ganot. Questo è l’ultimo episodio documentato di tortura ai danni dei leader dei prigionieri palestinesi, dopo la denuncia dei ripetuti attacchi contro Abdullah Barghouti e di aggressioni simili contro Hassan Salameh, Ahed Abu Ghoulmeh, Ibrahim Hamed, Muammar Shahrour, Abbas al-Sayyed, Marwan Barghouti, Mohammed Arman, Muhannad Shreim e altri importanti palestinesi imprigionati che il regime di occupazione sionista si rifiuta di rilasciare.

A pochi giorni dalla Giornata internazionale di solidarietà con il popolo palestinese del 29 novembre 2025 vogliamo continuare a portare alta la voce di tutti i prigionieri e le prigioniere ingiustamente detenute nelle carceri di occupazione israeliane.

Vogliamo ricordare la voce di tutte le palestinesi che subiscono l’assedio dell’occupazione e lo vogliamo fare ricordando le parole di Leila Khaled, combattente e figura della resistenza che ci racconta perché resistere nonostante tutto, per lei: “Il senso di privazione e di ingiustizia ti fa prendere una posizione: o lo accetti o lo rifiuti. Io l’ho rifiutato”.

Per Leila la condizione di rifugiata è” spregevole” e “umiliante”. Tra le due opzioni imposte, quella di camminare sottomessa per raccogliere una coperta e quella di imbracciare un kalashnikov, ha scelto la seconda.

In una delle sue ultime interviste dice di Israele “Questo non è un popolo, ma una società eterogenea che si trova sulla nostra terra sotto il nome di “Stato di Israele”. Per questo, il 7 ottobre ha rivelato verità che il mondo ignorava fino a quel momento. Ora, il mondo sa qual è l’origine di questo conflitto e perché persiste. Non si tratta solo di un conflitto con i palestinesi, ma contro tutta la nazione araba”.

NON VI VEDIAMO MA SENTIAMO LE VOSTRE GRIDA DI RABBIA E I VOSTRI SILENZI DI RESISTENZA.

FREE MARWAN, FREE ALL THE ILLEGAL DETEINEES IN OCCUPATION PRISONS.

Lucia Bertini – Gaza Freestyle

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