Quando il neoliberismo ci mostrò il suo vero volto – Luciano Muhlbauer
Genova, 21 luglio 2001, tarda serata
I treni che riportano i manifestanti a casa hanno lasciato la stazione di Brignole. Ora è finita davvero, penso. Sono esausto. Ieri hanno caricato, picchiato e ucciso un ragazzo, Carlo Giuliani, e oggi hanno represso un corteo di centinaia di migliaia di persone, pestando chiunque capitasse a distanza di manganello. Nella mia mente si agita un groviglio di emozioni, rabbia e domande.
Siamo seduti a tavola e cerchiamo di mangiare qualcosa. Manca poco a mezzanotte, il mio cellulare squilla e sento squillare anche al tavolo accanto, dove sono seduti alcuni compagni disobbedienti. I nostri sguardi si incrociano e capiamo che non è finita. Al Media Center del Genoa Social Forum è arrivata in forze la Polizia, non si capisce bene cosa succeda, bisogna andare lì, subito.
Quando arriviamo troviamo via Cesare Battisti blindata, i reparti mobili dei Carabinieri impediscono l’accesso ai due edifici scolastici, quello che ospita il Gsf e quello adibito a dormitorio per manifestanti. C’è confusione, nemmeno i parlamentari presenti riescono a passare, ma capiamo subito che sta accadendo qualcosa di grave, dentro è pieno di agenti e c’è un impressionante via vai di ambulanze. Non ho mai visto tante ambulanze tutte insieme.
La tensione sale, arrivano altri attivisti e attiviste, ma i Carabinieri aprono il passaggio soltanto quando la Polizia si è ormai allontanata. Sappiamo già cos’è successo nel Media Center, l’irruzione è stata trasmessa in diretta da Radio Gap, una rete di otto radio di movimento: la Polizia ha asportato computer e altri materiali. Entriamo quindi nella Diaz e quello che vedo mi lascia attonito. Siamo tutti attoniti, non c’è bisogno di parole, quello che vediamo parla da solo. Indumenti, sacchi a pelo, oggetti vari, tutto sparso in giro come se fosse passato un uragano, ma soprattutto tanto sangue, dappertutto, sui pavimenti, sulle pareti, sui gradini delle scale, sui termosifoni.
Quella notte i dirigenti della Polizia di Stato fabbricheranno prove false e mentiranno spudoratamente, nel tentativo di giustificare ex post due giorni di repressione e violenza.
Diranno che la Diaz era il quartier generale dei black bloc e che si trovava a pochi metri dal quartier generale del Gsf, perché in realtà c’era un accordo e un piano preordinato del movimento per portare la devastazione a Genova.
Quella notte nella Diaz c’erano 93 manifestanti, tra cui molti internazionali, che cercavano solo un posto dove dormire. Quasi nessuno è uscito dalla scuola sulle proprie gambe, tutti sono stati arrestati. 82 di loro riportano ferite, alcune molto gravi, e i ricoverati in ospedale sono 69. Una ventina degli arrestati, tra cui dei feriti, saranno poi trasferiti nella caserma di Bolzaneto, dove si aggiungeranno ad altri 200 manifestanti presi durante la giornata e dove le violenze continueranno.
Anni dopo il Vicequestore Michelangelo Fournier definirà quella notte alla Diaz una “macelleria messicana” e i pm del processo per i fatti di Bolzaneto pronunceranno la parola “tortura”.
Porto Alegre, Brasile, fine gennaio 2001
Siamo seduti in cerchio, dobbiamo prendere una decisione. Abbiamo chiesto che il primo Forum Sociale Mondiale (Fsm) faccia proprio il controvertice al G8 di Genova, ma i soggetti che tengono le redini del forum, cioè le organizzazioni brasiliane e Attac Francia, hanno posto come condizione la costituzione di un referente italiano unitario e credibile a cui dovranno fare capo tutte le iniziative di mobilitazione. Facile a dirsi, ma come superare in poche ore differenze, diffidenze e anni di conflitti?
Ma non ci sono alternative e, poi, siamo venuti a Porto Alegre, sia i radicali che i moderati, perché consapevoli che nel mondo sta succedendo qualcosa di nuovo. Sta emergendo un movimento che si oppone alla globalizzazione liberista, che afferma che un altro mondo è possibile e si esprime con la pratica della contestazione dei grandi vertici internazionali. Seattle nel 1999, Praga e Nizza nel 2000 e il Forum sociale mondiale, che si chiama così proprio in contrapposizione al Forum economico mondiale di Davos. Poi, c’è fermento in Sud America, in Venezuela Hugo Chavez è già presidente e tra un anno in Brasile lo sarà anche l’ex-operaio e sindacalista Lula.
Insomma, alla fine troviamo una quadra e nasce la “delegazione italiana”, primo embrione del futuro Genoa Social Forum (Gsf), e il controvertice al G8 di Genova entra nell’agenda globale del movimento.
Roma, Palazzo della Farnesina, 28 giugno 2001
Siamo in sette in rappresentanza delle diverse sensibilità del Gsf e di fronte a noi sono seduti il Ministro degli Interni, Scajola, il Ministro degli Esteri, Ruggiero, e vari alti funzionari, tra cui il Capo della Polizia, Gianni De Gennaro.
Ma facciamo un passo indietro per capire come siamo arrivati alla Farnesina. Il 4 giugno l’assemblea plenaria del Gsf ha definito e reso pubblico il programma del controvertice: Public Forum dal 15 al 22 luglio, corteo internazionale dei migranti il 19 luglio, isolamento della zona rossa il 20 luglio (“sarà un’iniziativa comune che si svolgerà, attraverso azioni molteplici e diverse, con la contestazione e la disobbedienza, con l’accerchiamento dei corpi e delle parole, con la disobbedienza al divieto di accesso alla zona rossa”) e un “grande corteo di massa” il 21 di luglio. Inoltre, di fronte al continuo innalzamento della tensione da parte governativa e la conseguente preoccupazione circa l’agibilità della piazza, è chiesto un incontro al Governo Berlusconi, non per trattare le iniziative del movimento, considerate non negoziabili, ma per ottenere la garanzia del rispetto della libertà di manifestazione e circolazione.
Alla fine un incontro si fa, appunto alla Farnesina, anche perché di fronte alla crescente mobilitazione e all’allargamento del fronte della contestazione, il Governo tenta di dividere il movimento, giocando la vecchia carta dei buoni e dei cattivi e offrendo improbabili dialoghi sui contenuti. Una mossa che, comunque, fallirà.
Da parte nostra, si è aggiunta nel frattempo una nuova richiesta, cioè il disarmo degli agenti in servizio in piazza nei giorni del controvertice. Una richiesta che non ha nulla di propagandistico, ma che è frutto di una preoccupazione reale circa l’incolumità dei manifestanti. Infatti, non solo la manifestazione di Napoli contro il Global Forum del 17 marzo, quando era ancora in carica il Governo di centrosinistra, era stata repressa in maniera brutale e per alcuni versi atipica, ma soprattutto il 15 giugno la Polizia svedese aveva fatto uso di armi da fuoco contro i manifestanti, ferendone alcuni, in occasione della contestazione del vertice europea di Göteborg. “Questo in Italia non può succedere”, risponde Scajola, respingendo la richiesta, e nei giorni seguenti De Gennaro aggiungerà: “Mai la Polizia italiana sparerà sui manifestanti”.
L’incontro alla Farnesina termina con la dichiarazione governativa che a Genova si potrà manifestare e che non sarà schierato l’esercito, come invece annunciato precedentemente dal Vicepresidente del Consiglio, Gianfranco Fini. Per il resto, l’incontro porterà unicamente a un temporaneo abbassamento della tensione.
Genova, 20 luglio, mattina
Ieri è stata una bella giornata, in un certo senso la prova generale. Al corteo dei migranti hanno partecipato in decine di migliaia, cioè molte più persone del previsto. La Polizia è rimasta ferma, è andato tutto come doveva. Ma oggi, giorno dell’assedio della zona rossa, tutto è diverso e c’è un repentino cambio di scenario, come capiamo subito. Nella notte sono stati posizionati dei container che ostruiscono alcune vie e ai cellulari della Questura non risponde più nessuno.
Arrivo in piazza Paolo da Novi, la “piazza tematica” del Network per i diritti globali, la rete che riunisce i Cobas (SinCobas e Conf. Cobas) e più di cento spazi sociali. Il programma prevede un’assemblea e poi un corteo in direzione zona rossa, contestualmente con le azioni delle altre piazze. Infatti, il DAN (Direct Action Network), l’ambito del Gsf che discute della piazza, aveva concordato che la pluralità di soggetti e pratiche del movimento attuasse l’accerchiamento della zona rossa con delle piazze tematiche.
La piazza non è quella che ci aspettavamo. È presto, manca ancora il grosso dei manifestanti, ma la situazione si è già fatta insostenibile. In un angolo un centinaio di black bloc ha già iniziato ad agire, la piazza è semichiusa dai reparti antisommossa e ci sono i container posizionati sul percorso del corteo. Dopo un rapido consulto decidiamo di uscire immediatamente dalla piazza in direzione est. Il corteo improvvisato subisce le prime cariche ancora prima di partire, si divide in spezzoni e, infine, riusciamo a muoverci in direzione mare.
Le cariche continuano e quando in alcune migliaia siamo con le spalle verso il mare, in piazzale Martin Luther King, rischiamo di fare la fine del topo. Alla fine troviamo una via d’uscita e, passando dalla spiaggia, riusciamo ad allontanarci verso Levante.
Ma Paolo da Novi è solo l’inizio. Anche in piazza Dante, dove ci sono Attac, Arci, Rifondazione e i pink si assaggia il clima della giornata. Poi arriva il pomeriggio, il corteo dei Disobbedienti del Carlini, che subirà le cariche più brutali, peraltro ancora sul percorso autorizzato. Poi, in piazza Alimonda uccideranno Carlo.
Genova, 20 luglio, verso sera
“Dov’è mia figlia, dov’è mia figlia?” mi urla in faccia il compagno di Milano. “Abbiamo paura, non torniamo al campeggio, possiamo dormire qui in piazza?” mi chiede un gruppo di giovanissimi.
Sono al Convergence center di piazzale Kennedy, alla Foce, e continuano ad affluire manifestanti. Chiunque venga in qualche modo identificato come parte dell’organizzazione viene letteralmente preso d’assalto. Si sta diffondendo una voce terribile, la Polizia avrebbe sparato, in più punti, e ci sarebbe un ragazzo morto, anzi no, i morti sono di più, forse due, forse tre. C’è disorientamento, confusione, rabbia e paura.
Cerchiamo di mettere insieme le informazioni, avere il quadro, ma nel frattempo accendiamo l’amplificazione e parte un’assemblea in piazza. Non c’è un ordine del giorno da seguire o una proposta da discutere, c’è solo il drammatico e urgente bisogno di parlare, di parlarsi, di stare vicini e di condividere, emozioni e ragionamenti, per contendere il campo alle paure e al caos.
Ci si parla dappertutto quella sera a Genova, ovunque ci siano manifestanti riuniti.
Ma dobbiamo parlare anche tra referenti delle varie organizzazioni e aree, tra portavoce del Gsf. Domani è prevista la grande manifestazione e bisogna dare delle direttive chiare e bisogna farlo subito. Decine di migliaia di manifestanti sono già a Genova e dalle altre città ci chiamano, vogliono sapere cosa succede, se ci sarà la manifestazione, se i treni speciali, i pullman, le macchine possono e devono partire. Il Governo ha chiesto ai manifestanti di tornare a casa, i settori più moderati vacillano, i DS (Democratici di Sinistra), che hanno annunciato la loro partecipazione solo pochi giorni fa, ora gridano ai quattro venti che non bisogna più manifestare.
Non ci mettiamo molto a consultarci e decidere che la manifestazione è confermata, anzi, a maggiore ragione è confermata, perché occorre dare una risposta politica, di massa alla repressione e all’omicidio di Carlo. Riusciamo a decidere in fretta anche perché due organizzazioni decisive per la tenuta unitaria, Arci e Fiom, dichiarano immediatamente che la manifestazione va fatta e che la responsabilità di quanto accaduto oggi è interamente delle Forze dell’Ordine. E non era una cosa scontata.
Milano, 24 luglio 2001
Chi c’era a Genova, ora è tornato nella sua città. Il Gsf ha lanciato un appello alla mobilitazione e un po’ dappertutto si stanno organizzando iniziative. A Milano l’appuntamento è per stasera in piazza Duomo, è in programma un’assemblea. Non c’è palco, solo un furgone, troppo poco per la gente che affluisce. Anzi, la stessa piazza è troppo poco e così, verso le 22 parte quasi spontaneamente un corteo. Un corteo enorme, 100mila persone ci sono tutte. Quella di Milano è sicuramente la più impressionante, ma ci sono mobilitazioni in tutte le città italiane, e anche all’estero. Nelle settimane successive si diffonderanno, poi, i social forum locali e si narrerà persino di uno nato in pieno agosto in spiaggia.
Dopo la notte della mattanza del 21-22 luglio, le bugie di Stato e l’esibizione delle false prove non si poteva escludere un’ulteriore stretta repressiva contro il movimento. Ma non succederà, anche e soprattutto perché le persone non si sono rinchiuse in casa, ma hanno riempito le piazze delle loro città.
Milano, luglio 2021
Rileggo le righe appena scritte e ho la sensazione che ci sia ancora molto da dire. Succede sempre così quando apri le porte della memoria di eventi e fatti che ti hanno segnato e formato, ma poi ti rendi conto che sei stato fin troppo lungo e che forse tanti e tante non ce l’hanno fatta a seguirti fino a qui. Insomma, bisogna fermarsi, ma non prima di aver affrontato un’ultima, decisiva domanda. Oggi, cos’è rimasto di Genova 2001 e di quel movimento dei movimenti?
O meglio, perché chi ha 15, 20 o 30 anni dovrebbe interessarsi a quello che avvenne due decenni fa e di cui non sembra sia rimasta traccia nel mondo e nei conflitti di oggi? Penso che ci siano due ragioni, una molto concreta e l’altra politica. Quella concreta è che Genova non è una questione chiusa. In quei giorni di luglio del 2001 si consumò una vera e propria sospensione dello stato di diritto, non valevano più le ordinarie regole del gioco. Persone abituate alle marce Perugia-Assisi pestate a sangue, nonostante avessero le mani alzate, armi puntate contro parlamentari, cortei autorizzati caricati a freddo, manifestanti spinti giù dal muretto, mattanze, torture, Carlo. La lista è infinita e chiunque sia stato a Genova ha il suo racconto, ma il punto è che tutto questo non è stato la conseguenza di qualche devianza o di qualche scheggia impazzita, bensì di uno schema repressivo deciso a tavolino e ai piani alti. In quei giorni spiegarono al mondo che il neoliberismo non contemplava il dissenso organizzato.
Nonostante gli abusi, la violazione dei diritti umani e i reati commessi fossero di pubblico dominio e in buona parte persino accertati dalla stessa magistratura, nessuno avrebbe pagato il conto. Durante i processi i magistrati si scontrarono con una sorta di omertà di Stato, cioè una
sistematica non collaborazione da parte delle Forze dell’Ordine e del Ministero degli Interni.
Chiunque fosse al governo, centrodestra o centrosinistra, la musica non cambiava. Alla famiglia di Carlo non fu nemmeno concessa la celebrazione di un processo. Solo pochissimi dirigenti e funzionari di Polizia subirono processi e condanne, ma senza dover mai scontare la pena, grazie e prescrizioni e indulti. Anche loro continuarono le loro carriere, aggiungendosi a tutti gli altri dirigenti della Polizia di Stato che ebbero un ruolo a Genova e che nel corso degli anni sarebbero stati premiati con delle promozioni. È paradigmatica la vicenda dell’allora Capo della Polizia, Gianni De Gennaro, prima Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri nel Governo Monti e poi, dal 2013 al 2020, Presidente del gigante del settore della difesa Leonardo (ex Finmeccanica).
Molto diversa è la storia di quei manifestanti presi a caso nella mischia e processati per “devastazione e saccheggio”, un reato introdotto dal codice penale fascista e mai abrogato. Per alcuni di loro la Cassazione ha confermato nel 2012 lunghe e folli pene detentive e due di loro stanno tuttora scontando la pena in Italia, mentre per un terzo, fermato di recente in Francia, l’Italia ha chiesto l’estradizione. Una vicenda troppo spesso ignorata, anche da parte di molti che furono a Genova, e che è stata seguita con costanza quasi solo da SupportoLegale.
Ogni volta che si garantisce impunità e copertura politica agli abusi e alle violazioni delle Forze dell’Ordine si provocano conseguenze che perdurano nel tempo, perché si comunica dai massimi livelli istituzionali che si può fare, che è possibile e forse persino normale. C’è purtroppo poco da meravigliarsi di fronte a fatti come il pestaggio nel carcere di Santa Maria Capua Vetere, per stare alla cronaca di oggi.
Ma Genova non era solo repressione, era anzitutto e soprattutto movimento, partecipazione, conflitto, speranza. Genova non era un fatto estemporaneo, ma una delle tappe di quel movimento altermondialista che stava aprendo una crepa nella narrazione dominante del neoliberismo. Bisogna sempre ricordare che allora erano ancora vicini fatti epocali come il crollo del Muro di Berlino, l’implosione del campo socialista e che erano in voga tesi come quella della fine della storia. Cioè, non c’era più nulla da fare, il capitalismo aveva vinto e non c’erano alternative. Quel movimento operò una cesura, affermando, invece, che nulla era finito e che, anzi, un altro mondo era possibile.
Era un movimento di massa autentico, radicale, giovane e globale. E non era transnazionale soltanto nei fatti, ma lo era anche nella ricerca soggettiva di connessioni, convergenze e orizzonti comuni. Il Forum sociale mondiale non era un caso e non lo erano neanche i Forumsociali europei, che proprio da Genova avrebbero ricevuto l’energia per marciare. Dopo l’11 settembre 2001 si fece anche movimento contro la guerra globale permanente e fu proprio il movimento che veniva da Genova a promuovere le uniche mobilitazioni contro la guerra in Afghanistan, per poi essere l’anima delle gigantesche mobilitazioni contro la guerra in Iraq.
Dopo il 2003, però, le cose cominciavano a cambiare e il movimento perdeva spinta, energia e prospettive. Anche se il movimento altermondialista sedimentò poco, non lasciando un’impronta nel tempo e nella società paragonabile a quelli del ’68-’69 o del ’77, può dirci ancora molte cose importanti.
Erano i tempi in cui la dimensione sovranazionale e globale del terreno del conflitto si stava definitivamente imponendo, mostrando al contempo l’inadeguatezza delle soggettività, in gran parte ancora rinchiusi in una dimensione nazionale. Ebbene, il movimento rappresentò la prima presa di coscienza a livello di massa di quella dimensione e della conseguente necessità di declinare il conflitto e la cooperazione a quel livello. Permise, per esempio, di costruire una critica alla costruzione europea da un punto di vista antiliberista e anticapitalista, mentre oggi il terreno della critica è in gran parte abbandonato alle incursioni delle destre xenofobe e sovraniste. Ma poi quella dimensione era andata disperdendosi e oggi dalle nostre parti si fatica persino a cooperare a livello nazionale o peggio. Solo negli ultimi anni c’è stato qualche significativo segnale in controtendenza e due movimenti decisivi, Non Una Di Meno e il movimento per la giustizia climatica, stanno riscoprendo e praticando la dimensione globale.
Insomma, vent’anni sono tanti e nel frattempo crisi economiche, guerre e pandemie hanno ridisegnato i nostri mondi e i terreni del conflitto, ma il tempo di chiudere Genova nei libri di storia non è ancora arrivato.
Luciano Muhlbauer
* nel 2001 tra i portavoce del Genoa Social Forum e uno dei referenti dei Cobas (allora SinCobas e Confederazione Cobas erano impegnati in un processo di unificazione).
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