Dieci punti per ritrarre il nemico – a partire da Fasciocapitalismo di Mikkel Bolt Rasmussen
Ogni tanto ci dimentichiamo di studiare. Per combattere, è fondamentale studiare – per esempio per ritrarre a dovere il nemico. Per non mettere in campo strategie che non possono funzionare, perché si rivolgono a un fantasma. Insomma affiancare alla prassi una teoria. Fasciocapitalismo di Mikkel Bolt Rasmussen, pubblicato da Edizioni Malamente con prefazione di Elia Rosati, è un libro centrale per questo proposito. Senza ulteriori indugi, provo una sintesi del saggio e un rilancio (per cui ogni punto comincia con Rasmussen, finisce in commistione), in undici punti:
1.Il fascismo contemporaneo è un’«equivalente funzionale», dice Rasmussen citando Robert Paxton, del fascismo nato tra le due guerre. Non è una ripetizione perché il sistema economico-politico è diverso: siamo nel tardo capitalismo o, come direbbe Bifo, nel capitalismo in agonia, in profonda crisi. Lo stato di salute del capitalismo dipende dalla crescita, dall’espansione della produzione e del mercato, ma la crescita, l’espansione di produzione e mercato sono impossibili, perché le risorse (crisi climatica) sono in esaurimento, la manodopera non può più essere sfruttata. Come dice Rosati nella prefazione, «a ciascuna epoca i propri fascisti».
2.Mussolini ha sempre sottolineato il carattere “flessibile” del fascismo. Che vuol dire? Che si adatta. Per chi ha visto la serie “M – il figlio del secolo”, è una cosa che Marinelli, interpretando Mussolini, rivendica più volte rompendo la quarta parete: il fascismo è camaleontico, pur di giungere al potere può cambiare continuamente. Si nota anche prestando attenzione alle dichiarazioni di Giorgia Meloni, che negli anni si è più volte contraddetta – quando era all’opposizione era antistituzionale e antieuropeista, adesso tutt’altro –, o di Donald Trump – di cui Rasmussen è studioso, in Italia possiamo leggere La controrivoluzione di Trump. Fascismo e democrazia pubblicato da Agenzia X. Donald Trump può contraddirsi anche nel giro di poche ore, l’abbiamo visto con la lettura della guerra in Ucraina: prima sostiene che Zelensky sia un dittatore, poi: «Did I say that? I can’t believe I said that. Next question». La cosa che importa agli elettori di Trump non è la sua coerenza nei contenuti, è la coerenza, al massimo, nei modi o meglio negli obiettivi: pur di mantenere il potere – e dunque riscattare gli americani dall’umiliazione – è capace di qualsiasi cosa. Non sembra che Trump abbia una chiara agenda politica, però insiste sul grande ideologema fascista “grandezza-declino-rinascita”. MAGA: Make America Great Again.
3.Riscatto di che, umiliazione da parte di chi? I fascisti hanno un grande vantaggio rispetto a chi si oppone loro: ammettono l’esistenza del problema. E il problema è la crisi del tardo capitalismo, che ha progressivamente smantellato lo stato sociale. I cambiamenti avvenuti dopo la ristrutturazione neoliberale hanno solo rimandato il crollo e ingigantito le contraddizioni. Il periodo di “pace” postbellica dipendeva dall’accesso dei lavoratori alla rappresentanza politica, alla cultura, all’istruzione e a maggiori benefici economici. Parliamo però del Nord Globale, i gruppi razzializzati e marginalizzati del Nord Globale e il Sud Globale non hanno mai vissuto la “pace”.
4.Il fascismo fa una “contro-rivoluzione”. «Manipola le proteste» reindirizzandole «verso l’idea di una comunità nazionale originaria che può essere ricostruita solo espellendo le persone etichettate come migranti, musulmani e di sinistra». Non contro il sistema economico e i suoi protagonisti che sono direttamente responsabili della crisi. Il fascismo di oggi non è nazional-socialista, ma nazional-liberale. Le proteste contro il sistema avvengono proprio attraverso il razzismo.
5.L’utopia dei fascisti di oggi è «molto meno grandiosa» di quella degli stati totalitari di primo Novecento: sognano «il consumo di massa del dopoguerra» e soprattutto un mondo più semplice, un mondo nel quale “bene” e “male” sono individuabili subito (quindi anche un “noi” e un “loro”), un mondo in cui tornano a essere rispettati dei ruoli sociali: il terrore di un’assenza di limiti – la mobilità dei nuovi “soggetti” del sociale – va in questa direzione. Per i fascismi è inaccettabile la “fluidità” e l’autodeterminazione dei corpi, ma è inaccettabile anche fuoriuscire dall’idea di famiglia.
Perché chiediamo ancora l’«inclusione» in questo sistema fondato sulla violenza? È la domanda che si poneva Brigitte Vasallo in Linguaggio inclusivo ed esclusione di classe (Tamu).
6.I fascisti hanno anche un altro vantaggio: che il fascismo, sconfitto, non è stato rimosso dalle democrazie, ma è stato “integrato” (qui Rasmussen rimanda a George Jackson). Non solo per l’amnistia di cui l’Italia è un tristissimo esempio (basti pensare alla libertà che Indro Montanelli ha avuto di traghettare la cultura fascista in cultura popolare). Ma perché non è mai andato via: continua a vivere nelle carceri (e nel 41-Bis, nonché nelle forme “prevenzione” della criminalità come Daspo e sorveglianza speciale), nei quartieri-ghetto, nei campi per migranti (in Libia, in Turchia; nei CPR in Italia), nei rapporti ancora profondamente coloniali che i paesi europei intraprendono con le ex colonie, negli eserciti e nelle forze di polizia (organizzati in modo strettamente verticale): in altre parole, solo una parte della popolazione ha ottenuto «legge e ordine» e benessere, mentre il resto – «non bianco» – è stato sottoposto all’illegalità dello stato capitalista. Questo perché il tardo capitalismo si fonda proprio sulla esternalizzazione della produzione. In Italia, il benessere e la crescita sono realizzabili solo mantenendo sotto la soglia del visibile il lavoro nero, il caporalato, lo sfruttamento in particolare delle persone razzializzate, nonché tollerando il gettito di capitali finanziari illegali e mafiosi.
7.Il terzo vantaggio dei fascisti è che sono stati proprio i partiti di sinistra, molto spesso, a smantellare il welfare, negli ultimi venti anni, in nome della dottrina neoliberista (austerity per la popolazione, salvaguardia e aiuti per i capitali finanziari). La strategia e la retorica politica del “male minore” non può funzionare, anche perché «la politica del male minore si sta trasformando in ciò che voleva prevenire». Ai fascismi si oppone la difesa dello status quo, cioè proprio delle democrazie neoliberali, cioè, per moltissimi, dell’inferno: chi di noi vuole rimanere davvero allo stato attuale? Penso a ciò che ci continuavano a ripetere in pandemia: forza, che tutto tornerà come prima. Quello che non avete capito è che la Pandemia (lo scrive molto bene Bifo in Disertate (pubblicato da Time0, riprendendo lo pseudo diario Fenomenologia della fine, per NOT) ha evidenziato le contraddizioni del nostro sistema in modo così profondo che, per tornare a non vederle, per non sentire il panico collettivo, è necessaria una psicosi collettiva.
8.Rasmussen disegna un ritratto del “fasciocapitalismo” che ci obbliga a una postura collettiva precisa: se continuiamo a combattere il fascismo storico, perderemo. Per essere antifascisti è necessario essere anche anticapitalisti e antinazionalisti. In modo simile Saito Kohei in Il capitale nell’Antropocene (pubblicato in Italia da Einaudi) per essere ecologisti bisogna immaginare un’alternativa al capitalismo che non sia quella “naturale” del dopo-collasso: fascismo climatico, maoismo, estinzione. Una X, la quarta opzione, che lui chiama “comunismo della decrescita”, rileggendo l’ultimo Marx.
9.Lo stato tardo capitalista, scrive Rasmussen, è chiamato a mediare conflitto di classe, cioè di sorvegliare i cittadini perché non si ribellino contro il sistema economico. Per ottenere questo addomesticamento, ha bisogno di renderci ottusi, di farci credere che non c’è alternativa: è il funzionamento del “realismo capitalista”, come intuiva Fisher. Lauren Berlant in Ottimismo crudele (Time0) fa addirittura un passo oltre: elaborare una teoria dell’attaccamento delle persone alle promesse di buona vita che il capitalismo ha fabbricato per noi. Insomma, vuole studiare i “generi” e gli “stili” del desiderio nel capitalismo: io desidero così tanto la Rivoluzione, io Demetrio Marra, che questo desiderio pervasivo, quest’ossessione, è la ragione del mio ostacolo. È un meccanismo che sposta tutto, di default, sul piano simbolico.
Ovviamente lo Stato deve anche mantenere i cittadini soddisfatti, pur mobilitandone una gran parte per il mercato del lavoro: la soluzione è, ovviamente, ridurre i confini della cittadinanza, così che il poco benessere rimasto possa essere distribuito tra pochi e, soprattutto, affinché una sempre più grande porzione di popolazione possa essere sfruttata. Ah, e deve anche spingere alla partecipazione alle elezioni.
10.I partiti fascisti, dunque, vengono scelti direttamente dal capitale finanziario e industriale come coloro che possono mantenere un qualche equilibrio. L’Italia è sempre stato un buon laboratorio dei fenomeni politici globali: qui l’alleanza tra liberali e fascisti è parlamentare, siamo l’unico paese «dove le tre principali culture delle destre (liberale, sovranista, fascista ndr.) hanno fatto sintesi in una quasi eterna coalizione».
11.Il fascismo da cultura (integrata) si è spettacolarizzato, ed è «reticolare», cioè la sua forza viene anche dalla diffrazione del suo centro, dalla delocalizzazioe e moltiplicazione della propaganda. Ora che il fascismo in molti paesi è al potere (e, dove non è al potere, saranno i partiti che si oppongono ad esso che si comporteranno come surrogati) punta a istaurare forme di Stato di polizia, che significa l’«attuazione di un apparato di sicurezza repressivo “a casa”», cioè la sospensione dei diritti civili, la criminalizzazione degli strumenti storici della protesta; e a rivolgersi, con violenza, fuori, cioè a fare la guerra o a supportare attivamente le guerre altrui. Vi ricorda qualcosa? Quando protestavamo contro il DDL Sicurezza dicevamo esattamente questo: che il suo obiettivo è la costruzione di uno stato di guerra interno ed esterno. Del resto, quando ricomincia a emergere la rabbia sociale, quando le persone si mobilitano contro lo stato, lo stato usa la carta del grande spostamento, della distrazione delle distrazioni: la guerra. Che, due piccioni con una fava, è anche la momentanea soluzione alla crisi economica.
Demetrio Marra
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Eccellente sintesi di un lavoro prezioso. Sempre grazie, Demetrio.