Salute bene comune? Come l’interesse privato sta fagocitando il nostro diritto alla salute
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La Sanità italiana rappresentava un modello invidiato da tanti. Era un esempio di come si potesse realizzare un servizio sanitario socialmente all’avanguardia.
Ormai da tempo questo modello è entrato in crisi profonda, o, meglio, dovrei dire che non esiste più. Le scelte di politica sanitaria che si sono alternate negli ultimi decenni lo hanno lentamente, ma inesorabilmente, sgretolato. Curarsi oggi sta diventando un privilegio; avere la possibilità di accedere alle cure in tempi ragionevoli un’utopia. La sanità privata, un ossimoro assordante, sta trasformando quello che era e dovrebbe essere un diritto acquisito per un Paese civile in un grosso affare: la salute come privilegio. Di questo parla Codice rosso. Come la sanità pubblica è diventata un affare privato, il libro delle giornaliste Milena Gabanelli e Simona Ravizza (Fuoriscena 2024).
Chi può permettersi di comprare la propria salute andando a curarsi nelle strutture sanitarie private pagando cifre improponibili per molti crede di risolvere il problema. Nessuno, però, è al sicuro. Dati alla mano leggerete di situazioni limite dove operatori sanitari (medici o infermieri indifferentemente) vengono reclutati per mansioni a cui non sono stati preparati (è ragionevole trovare come unico medico di pronto soccorso un oculista?); professionisti sottoposti a turni massacranti che rendono il loro operato rischioso; incarichi affidati alle scelte di cooperative gestite spesso da non sanitari. Tutto questo nell’ottica del risparmio: la salute mercificata, la salute gestita da lobby che spingono nella direzione di un sistema assicurativo favorito da scelte politiche sempre più esplicite. Il sistema assicurativo, cardine della sanità privata, induce a scelte che nulla hanno a che fare con le richieste reali di pazienti e territori, portando a indicazioni di interventi chirurgici troppo spesso condizionate dai rimborsi regionali. Un principio vergognoso che vede questa equazione: maggiore rimborso uguale maggiore bisogno.
Nel libro troverete anche ben spiegato perché quello che viene sbandierato dal governo come un diritto allo studio (l’abolizione del numero chiuso alla Facoltà di Medicina) prelude solamente a un futuro lavorativo incerto dovuto a una programmazione distorta: il nodo da sciogliere, infatti, non riguarda gli ingressi all’università, ma piuttosto nelle varie Scuole di specializzazione. Capirete gli intrecci di interessi fra le lobby dei diversi sindacati di categoria, le scelte avvilenti riguardo alla medicina del territorio, la realtà di Scuole di specializzazione “fuorilegge”, l’insopportabile agonia delle liste di attesa, la vergognosa situazione della gestione degli anziani e dei pazienti oncologici e, per finire, una radiografia sulla situazione degli ospedali italiani.
Codice rosso è un libro-inchiesta di cui si sentiva il bisogno. Anche per chi esercita da anni la professione di medico e che ha creduto che la salute fosse un bene trasversale, un diritto acquisito dalla nascita e che quotidianamente si scontra con scelte di politica sanitaria scellerate, la sua lettura è chiarificatrice. La mole di dati che le autrici espongono non lasciano dubbi: il sistema che aveva appassionato molti di noi non esiste più. Siamo di fronte alla vera e propria eutanasia di una professione.
Il libro non vuole essere, però, solamente una denuncia di tutto questo. La volontà dichiarata è quella di fornire agli “utenti” (come tutti noi siamo ora definiti) gli strumenti per comprendere le ragioni di questa realtà e stimolare una coscienza collettiva che si opponga a questo progetto. Prima di raggiungere un punto di non ritorno.
RM
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