Due parole sul Piano Casa

Torniamo sulla questione del problema della casa nella metropoli che, dopo anni e anni sottotraccia è finalmente esploso nelle ultime settimane sulle prime pagine dei media mainstream. Ospitiamo le riflessioni del comitato Abitare via Padova sui risultati del Forum dell’Abitare organizzato dal Comune poche settimane fa.


Ci siamo presi del tempo per studiare la strategia e il nuovo Piano Casa che sono stati presentati al Forum dell’Abitare dal Comune di Milano qualche settimana fa e le loro implicazioni per la questione abitativa nel nostro quartiere e nella città nel suo insieme.

Nel frattempo abbiamo incontrato gli abitanti di via Siusi sgomberati proprio in quei giorni, con i quali abbiamo iniziato un confronto politico profondo, e per i quali chiediamo risposte insieme alla rete solidale Ci Siamo, a partire dalla constatazione che, al momento, non esistono strumenti adeguati che possono rispondere all’emergenza abitativa in cui si trovano le persone coinvolte, pur trattandosi di lavoratori e famiglie in regola, impiegati in servizi essenziali per la città e sul territorio.

Tornando al Forum, ci hanno colpito le sue modalità poco interattive e il livello di partecipazione relativo da parte dei soggetti sociali, che non hanno avuto alcun protagonismo. Abbiamo deciso però di non soffermarci sull’evento in sé, quanto di ragionare nel merito.

Valutiamo quasi sorprendente il cambio di registro avvenuto nell’amministrazione rispetto al disagio abitativo crescente. Solamente qualche mese fa, davanti alla raccolta di un migliaio di firme, da parte del comitato Abitare in via Padova, l’Assessore Maran aveva sostenuto che la questione casa non interessasse a nessuno, perché i milanesi erano in grande maggioranza proprietari. Successivamente il tema invece è esploso e il problema si è imposto nell’agenda della giunta Sala, oltre che di altri comuni italiani, grazie anche all’attenzione mediatica riservata dai principali canali mainstream.

Quello che è emerso dalla kermesse sono state una serie di suggestioni riguardo ad eventuali soluzioni che il Comune vorrebbe applicare per provare a tamponare l’emergenza, tutte più o meno volte nella stessa direzione: non essendoci soldi per rendere abitabili gli alloggi ERP vuoti, anche perché in questi anni si è preferito puntare ad attrarre grandi investitori immobiliari con oneri di urbanizzazione tra i più bassi d’Europa piuttosto di aumentare tali oneri reinvestendoli in edilizia pubblica, ora MM ricerca manifestazioni d’interesse tra i privati ai quali vorrebbe appaltare i costi degli alloggi da ristrutturare. Sulle nuove costruzioni invece la misura principale messa in campo resta quella dell’edilizia convenzionata, dove per prima cosa andrebbero aumentati i vincoli e i controlli per quanto riguarda la compravendita, troppo spesso terreno di abusi.

In questo senso sarebbero da declinare le “case dei lavoratori”: che siano poi delle imprese a sobbarcarsi le spese delle ristrutturazioni (si è parlato per lo più di società partecipate dal Comune come ATM e AMSA) o invece lavoratori privati garantiti da stabilità contrattuale, che avrebbero già accesso all’housing sociale, rappresenta un passaggio non banale o per lo meno discutibile, visto che si rischia in questo modo di escludere proprio chi sta peggio, in favore del ceto medio.

Sicuramente una delle cose che il Comune di Milano potrebbe fare è abbassare la soglia al di sotto della quale è obbligatorio prevedere quote di edilizia sociale nelle nuove realizzazioni immobiliari. Una iniziativa di questo genere, sul modello di Vienna e di altre città, sarebbe di particolare importanza per il nostro quartiere e per altri quartieri come il nostro dove le nuove realizzazioni, piccole e diffuse, non prevedono alcun nuovo alloggio sociale, non dando così risposte ai ceti medi e popolari oggi a rischio di espulsione. O prevedere sulle nuove costruzioni in edilizia convenzionata una quota maggiore di appartamenti a canone agevolato, gestiti da un’agenzia pubblica. L’agenzia potrebbe adempiere al recupero di stabili degradati attraverso l’acquisizione di alloggi abbandonati o all’asta, da affittare a canone calmierato o da adibire a strutture abitative per lavoratori precari e per studenti. Anche questa iniziativa, presente fin dall’inizio nella piattaforma di Abitare in via Padova, sarebbe di grande importanza per il nostro quartiere e per quartieri che vivono difficoltà simili.

L’idea della regolamentazione degli affitti brevi, presentata a Venezia da Ocio il 18 marzo, all’interno della campagna Alta Tensione Abitativa, è fondamentale secondo noi, perché regolare le locazioni turistiche, a partire dalle esigenze specifiche dei comuni, ci sembra cosa urgente e inevitabile. Particolarmente efficaci, da questo punto di vista, si sono dimostrati il modello spagnolo di Barcellona, quello olandese di Amsterdam e il portoghese di Lisbona, che intervengono a limitare realmente la presenza di alloggi turistici attivi nell’area urbana.

Come abbiamo scritto poi nella nostra “Carta dei diritti degli abitanti per una Milano orizzontale”, presentata da Abitare in Via Padova in concomitanza col Forum, a cui hanno aderito diverse realtà sociali, politiche, sindacali e studentesche, il diritto alla casa deve essere riconosciuto a tutte e a tutti, senza lasciare nessuno indietro. La casa è una questione pubblica per questo servono politiche adeguate.

Non esistono ricette precostituite per risolvere un fenomeno complesso e stratificato come la precarietà abitativa, per quanto ci riguarda, ma possono essere attuate con puntualità misure che, attraverso la regolamentazione del mercato libero, il ripensamento dell’housing pubblico e un suo potenziamento, l’introduzione di un sistema progressivo di incentivi-deterrenti, ci permettano di intervenire sul problema, provando realmente a cambiare le cose, come abbiamo indicato nelle “quattro mosse” per una città orizzontale.

Il diritto alla casa è il diritto alla città: si tratta di decidere adesso in che tipo di città intendiamo vivere in futuro se nella Milano solidale, inclusiva, plurale e meticcia insieme o nella città vetrina, asettica, esclusiva ed escludente, da soli, per chi se lo potrà permettere.

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