Nel Rojava non è sbarcata la pace. Sostenere la resistenza curda ora
Nel Rojava, in Siria del Nord, non è sbarcata la pace. I cessate il fuoco che si susseguono, che in realtà non hanno mai fatto cessare il fuoco contro i curdi, le strette di mano tra Putin e Erdogan, gli annunci di Trump di voler togliere le sanzioni contro la Turchia, che poi non erano mai partite, stanno creando una terrificante illusione ottica. Cioè, che in Rojava sia arrivata la pace.
In Rojava non c’è pace. C’è un’occupazione militare e l’inizio della cacciata dei curdi dalle loro terre, dalle loro città, dai loro villaggi e dalle loro case. Su questo punto bisogna essere molto chiari, perché in fondo è l’unico che importa davvero.
Le forze curde e curdo-siriane stanno abbandonando gran parte della cosiddetta “safe zone”, da sempre rivendicata dal regime turco di Erdogan. Con loro centinaia di migliaia di civili lasciano le loro case.
I curdi hanno scelto di fare così, accettando di fatto tutte le condizioni del dittatore turco, perché non avevano più alternative, se volevano impedire il massacro della popolazione per mano degli invasori turchi e delle milizie jihadiste al loro soldo e la distruzione delle proprie forze militari, che in ultima analisi sono l’unica garanzia per poter immaginare un futuro.
Si può essere incredibilmente coraggiosi e combattenti straordinari, ma non si può vincere in solitudine e con il solo armamento leggero il secondo esercito della Nato, che inoltre può contare sul via libera degli Stati Uniti, sulle vuote chiacchiere dell’Europa e sulla voglia di fare affari con Erdogan della Russia.
La storia si ripete nel Rojava. I popoli senza terra pagano da sempre un prezzo sproporzionato e sono le prime vittime da sacrificare quando scatta il gioco delle grandi (e anche meno grandi) potenze. Ne sa qualcosa il popolo palestinese e ne sa qualcosa il popolo curdo. E il fatto che oggi il gioco delle grandi potenze si chiami “comunità internazionale” e che il volume delle parole vuote sia aumentato, non cambia di una virgola questo dato.
I curdi hanno perso una battaglia e forse anche qualcosa di più. Oggi non è facile immaginarsi cosa succederà esattamente, quanto Erdogan riuscirà ad attuare i suoi piani di pulizia etnica e quali saranno gli effetti concreti di medio periodo dell’accordo Russia-Turchia del 22 ottobre. Né possiamo sapere cosa potrà sopravvivere dell’esperienza del confederalismo democratico, autentica antitesi alla situazione di violenza, settarismi e progetti escludenti che predominano nella regione.
Una cosa però la sappiamo, anzi due. Primo, i curdi hanno dovuto fare una scelta molto dolorosa e difficile, ma questo non significa affatto che si arrenderanno. La resistenza e la lotta continueranno. Due, la resistenza curda ha bisogno di rompere la solitudine in cui la “comunità internazionale” l’ha voluta cacciare e noi abbiamo invece il dovere di far vivere la nostra solidarietà e di rompere la solitudine dei curdi e delle curde.
Noi non ci troviamo in un luogo astratto, ci troviamo qui in Italia, in un paese dell’Unione europea e della Nato, alleato con la Turchia, e dobbiamo fare di tutto per sostenere la resistenza curda e pretendere che il governo italiano e l’Europa passino dalle chiacchiere ai fatti, per far cessare l’occupazione turca della Siria del Nord e impedire la pulizia etnica invocata da Erdogan.
Ci saranno tante cose da fare, ovviamente, perché la lotta sarà lunga. Ne parleremo. Ma ora dobbiamo riempire le piazze, le manifestazioni già convocate.
Anzitutto, dobbiamo costruire una grande partecipazione al corteo del Nord Italia in difesa del Rojava di sabato 26 ottobre a Milano, con appuntamento alle h. 14.30 in Palestro. Un corteo che andrà davanti al consolato turco e chiederà al governo italiano di produrre fatti veri, subito, e non inutili annunci su futuri blocchi di futuri contratti.
Qui puoi trovare l’evento fb del corteo del 26 ottobre, con tutte le info.
Poi, il 1 novembre, ci sarà anche il corteo nazionale a Roma.
Partecipate e fate partecipare. Ci vediamo sabato!
Luciano Muhlbauer
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