Due riflessioni sulla situazione in Palestina
Riprendiamo due interessanti spunti sulla situazione in Palestina in questo momento. La prima è un’intervista del Manifesto a Leila Khaled, la seconda una riflessione di Meri Calvelli.
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Leila Khaled: «Trump non può cancellare la Gerusalemme palestinese».
Israele/Palestina. Intervista all’attivista e membro del Pflp Leila Khaled: «È morta l’illusione sulla natura di Israele, progetto coloniale e razzista: la sola via d’uscita è una società laica e democratica. La sicurezza dei popoli si basa sulla lotta al capitalismo che trasforma i conflitti politici in conflitti settari e religiosi per annientare le cause giuste».
«Gerusalemme è e resterà la capitale della Palestina; né Trump né tutta la potenza dell’esercito israeliano e dei coloni violenti e illegali potrà rompere questa connessione o cancellare l’identità araba della Gerusalemme occupata». Leila Khaled, storica attivista palestinese, membro del partito marxista Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina (Pflp), non è spaventata dall’ultima mossa del presidente Trump.
Cosa significa per i palestinesi nell’immediato futuro la dichiarazione di Trump su Gerusalemme capitale di Israele?
La dichiarazione non sorprende, riflette il solito ruolo statunitense in relazione alla Palestina. Sono questo, partner chiave dell’occupazione israeliana in violazione dei diritti del nostro popolo. Gli Usa inviano tre miliardi di dollari l’anno all’esercito israeliano e la proclamazione del guerrafondaio e imperialista Trump sottolinea il ruolo nefasto giocato in Palestina e nella regione. Gerusalemme è e resterà la capitale della Palestina. E l’ondata di rabbia popolare tra i palestinesi e gli arabi in reazione a questa trovata colonialista mostra l’orrenda realtà del cosiddetto “processo di pace” guidato dagli Usa che ha portato solo devastazione al nostro popolo.
In questi giorni avrebbe dovuto essere in Italia ma l’ingresso le è stato impedito a seguito di pressioni politiche, ultima di una serie di censure contro eventi sulla questione palestinese. La Palestina fa paura?
Il rifiuto delle organizzazioni sioniste e dei gruppi di destra riflettono il loro permanente obiettivo di diffondere paura e odio. Non rappresentano la comunità ebraica nella sua interezza. Si tratta di gruppi politici sionisti che lavoravano attivamente per sopprimere l’organizzazione palestinese e diffondere razzismo. Combatterli è parte della più vasta battaglia anti-coloniale perché i colonizzatori cercano sempre di proiettare un’immagine del popolo oppresso come “spaventoso”, “barbaro”, “terrorista”. Noi dipendiamo dalla saggezza e la conoscenza delle masse, compreso il popolo italiano, per vedere oltre le bugie e lottare per la giustizia in Palestina e nel mondo. Le autorità possono impedirci fisicamente di raggiungere la nostra gente e i nostri amici in tutto il mondo, ma per fortuna la mia voce è stata ascoltata negli eventi previsti: ho partecipato con video conferenze alle iniziative di Cagliari, Roma e Napoli. Per noi, questa è vita quotidiana.
La cosa più importante è non accettarla e resistere in ogni possibile spazio che possiamo raggiungere per dire la nostra versione della storia, perché l’obiettivo del separarci dai movimenti di base è esattamente quello di sopprimere la narrativa palestinese e impedire che la nostra voce sia ascoltata. Ringrazio Udap (Unione democratica arabo-palestinese) e tutti per il supporto ricevuto da così tante organizzazioni e partiti politici, al di là delle nostre aspettative, da organizzazioni italiane, scrittori, sindacati e giornalisti.
Quest’anno i palestinesi commemorano due eventi che sono colonna portante dell’occupazione israeliana della Palestina storica: i 100 anni dalla dichiarazione Balfour e i 50 anni di occupazione militare dei Territori. Quel processo coloniale continua senza interferenze e quello che abbiamo di fronte è la creazione de facto di uno Stato unico, in cui un popolo gode di privilegi e diritti e un altro sotto un regime di apartheid. È la fine delle aspirazioni nazionali palestinesi?
È la fine delle illusioni sulla natura dello Stato di Israele e del progetto sionista. L’aspirazione del popolo palestinese a continuare la propria lotta per la libertà non cesserà mai. Negli ultimi decenni, hanno tentato di convincerci che Israele poteva essere un progetto democratico o un “partner” quando in realtà è un regime coloniale di insediamento, razzista e segregazionista. Chi nella “comunità internazionale” chiede ai palestinesi di sostenere la soluzione a due Stati allo stesso tempo non fa nulla per fermare la costruzione di colonie da parte di Israele, la confisca di terre, la demolizione di case, le diverse pratiche di pulizia etnica contro i palestinesi che si trovino a Haifa, Akka o Gerusalemme, senza contare Gaza.
Quello che è morto sono queste illusioni e la sola via d’uscita storica – che il Pflp sostiene – è la liberazione di tutta la Palestina storica e la creazione di una società democratica e laica, dove tutti vivano in eguaglianza, senza distinzione di colore, razza, sesso, religione o lingua. E siccome siamo convinti che uno “Stato” rappresenta una classe, noi siamo per il socialismo e uno Stato delle masse popolari, non uno Stato dei capitalisti, che siano essi palestinesi o israeliani.
Com’è possibile superare la divisione geografica e fisica del popolo palestinese realizzata da Israele? Oggi metà della popolazione palestinese nella Palestina storica ha meno di 20 anni: sono nati e cresciuti dopo gli Accordi di Oslo, con il muro e i checkpoint, impossibilitati a conoscersi. Una divisione che genera diverse forme di resistenza contro la stessa occupazione. Come i giovani possono superare tale divisione e ricostruire il movimento di liberazione nazionale, ucciso da Oslo e dall’indebolimento dell’Olp?
Una domanda molto importante. La nostra società, il nostro popolo è fatto di giovani e questo è un elemento di speranza in sé. I palestinesi hanno vissuto nella loro terra per migliaia di anni come un popolo unico, unito. La catastrofe vissuta nel 1948 – orchestrata e preparata – è stato proprio questo, lo sfollamento dalle terre dei palestinesi e l’impedimento al ritorno. Dopo il 1948 il nostro popolo si è ritrovato nei campi profughi in Libano, Siria, Giordania e in patria. Molti di loro sono migrati nei paesi del Golfo, in America Latina, Europa e Nord America, nel tentativo di vivere e fuggire dalla miseria e l’oppressione dell’esilio. Ci sono oltre 500mila palestinesi in Cile o che 250mila palestinesi sfollati vivono oggi come “internally displaced people” dentro Israele. Questa realtà è stata creata dai poteri coloniali e da Israele e il modo in cui i palestinesi possono unirsi è attraverso la loro rivoluzione e un progetto politico collettivo, un progetto di liberazione che assicuri diritti a tutti. E questi diritti vanno individuati, secondo noi, nel diritto al ritorno e nel diritto all’autodeterminazione sulla nostra terra, da praticare con volontà libera, scelte politiche e il futuro che scegliamo di costruire. Vale ancora oggi.
Creare isole e isolare enclavi di palestinesi è parte della creazione di uno stato di assedio che ogni segmento palestinese affronta. Tale assedio è orchestrato per restringere la loro abilità di combattere mentre cercano di sopravvivere – andare a scuola, mangiare, vivere. Si tratta di questioni esistenziali, individuali e collettive che impediscono ai palestinesi di mobilitarsi e combattere per la propria causa e la loro liberazione. I giovani palestinesi oggi sono alla ricerca di una nuova onda della permanente rivoluzione palestinese contro l’occupazione e per un progetto di liberazione. L’Olp ha bisogno di essere ricostruito interamente con le sue istituzioni – non dipendenti dall’Anp – e di essere guidato dai giovani e dalle donne che reclamano il proprio ruolo. Ricordo la mia energia e il mio entusiasmo da giovane, è lo spirito necessario a ricostruire il movimento di liberazione nazionale e direzionare la bussola palestinese, perché abbiamo bisogno di idee fresche, aria fresca e sangue fresco nelle vene della rivoluzione.
La sinistra palestinese, spina dorsale della resistenza nazionale, vive oggi una crisi? È ancora capace di formulare un’alternativa e di promuoversi tra i palestinesi, dentro la Palestina storica e nella diaspora?
Posso parlare del Pflp. Siamo consapevoli di vivere una crisi, già dal Quinto Congresso del Fronte nel 1993. Ci siamo detti che stavamo entrando in una crisi strutturale che includeva i livelli politico, militare, finanziare, teoretico. Quell’incontro è stato documentato, l’autocritica è disponibile. Non ci sono soluzioni magiche per uscire dalla crisi eccetto attraverso la lotta, su tutti i fronti. Siamo anche consapevoli di non poterci nascondere dietro le masse; al contrario, dobbiamo essere coinvolti con le masse perché il nostro popolo è il principale fattore di rinascita della sinistra palestinese, dobbiamo ascoltare il suo dolore e le sue domande. Ovviamente tale crisi non è separata dalla crisi del movimento di liberazione nazionale in Palestina e nella regione e da quello della sinistra nel mondo. Penso che sia tempo di superare la perdita dell’Unione Sovietica e del blocco socialista; è stato un momento critico ma dobbiamo andare oltre perché un mondo alternativo, per il quale combattiamo ancora, per cui tutta l’umanità combatte ancora, può essere realizzato attraverso il sostegno mutuale e la solidarietà internazionale che combatte ogni forma di oppressione, imperialismo, capitalismo, razzismo e sessismo.
Questo sottolinea il bisogno di un Fronte Popolare internazionale che ci coinvolga tutti. Sappiamo che l’autocritica è uno strumento rivoluzionario vitale, ma dovrebbe sempre essere praticato accanto alla lotta in sé contro le forze di oppressione e sfruttamento. Dobbiamo fare una differenza tra la perdita di un gruppo di Stati che una volta rappresentavano il socialismo e il movimento di persone nel mondo che guardano ad una società alternativa, un mondo più felice. E questo è l’obiettivo finale di tutti i rivoluzionari, dedicare la propria vita alla protezione dei bambini, la difesa dell’ambiente, la lotta al razzismo e al sessismo. Tutto ciò non va separato dalla lotta per la liberazione della Palestina. Sappiamo che costruire un movimento unito della sinistra è un compito complesso che può essere raggiunto solo da movimenti e individui rivoluzionari. Non so, forse abbiamo bisogno di un altro Lenin.
Come vede il processo di riconciliazione tra Hamas e Anp? Sembra manchi ancora una visione nazionale o una strategia comprensiva.
Qualsiasi strategia nazionale deve essere realizzata attraverso la resistenza e in un contesto di dialogo interno alla resistenza. Significa atti e pensieri, pratica e teoria, e non divisioni, scontri e violenza. La nostra posizione classica si basa sul termine “unità nazionale”. Pensiamo che quanto accaduto al Cairo, il dialogo tra diverse fazioni palestinesi, non sia abbastanza. I partiti rappresentano una porzione della società palestinese, ma qui c’è bisogno di un dialogo con tutti i settori e le organizzazioni, comprese quelle delle donne, i gruppi studenteschi e i giovani palestinesi. Come possiamo portare tutto il nostro popolo, di qualsiasi appartenenza, ad essere parte della discussione, parte vitale e importante molto di più delle fazioni?
Registriamo un gap tra il ruolo dei partiti e i bisogni della nostra gente e dobbiamo muoverci oltre per costruire un fronte unito nazionale. Ricordiamoci che Hamas e Fatah sono entrambi la destra del movimento di liberazione nazionale. Noi li vediamo come forze identiche, seppur si differenzino l’uno dall’altro. Dobbiamo rafforzare la sinistra del movimento di liberazione, ovvero il Pflp. Ricordate, un uccello non può volare solo con un’ala.
Israele è riuscito a dipingere la resistenza palestinese come forma di terrorismo islamista o jihadismo, una narrativa che la comunità internazionale ha accettato, accettando con essa il modello securitario israeliano contro specifici gruppi etnici e religiosi (come nel caso dei rifugiati in Europa). Quali sono gli strumenti in mano al movimento di liberazione per distruggere tale narrativa?
Israele ha sempre cercato di sfruttare l’alto livello di ignoranza che esiste oggi intorno all’Islam. Uguaglia l’Isis a organizzazioni come Hezbollah o Hamas, quando in realtà non hanno nulla a che fare e Hezbollah lo combatte sul campo mentre Israele ci condivide certi obiettivi. Tenta di proiettare un’immagine della resistenza come “islamista” e “jihadista”, sapendo dell’esistenza di un terreno fertile in Europa e nel mondo creato dalle forze fasciste e di destra (di cui alcune anche anti-ebraiche). Abbiamo visto crescere alleanze tra Israele e forze fasciste. Chiedo alla gente di leggere di più sui vari gruppi influenzati dall’Islam, perché sono tra loro molto diversi. È una generalizzazione fallace ingrandita da razzismo e colonialismo.
Voglio parlare su tre livelli differenti. Il primo è personale, non per egocentrismo ma perché la mia identità di laica, marxista, femminista in un’organizzazione di sinistra impegnata in azioni di resistenza diretta è un chiaro rifiuto di questo contesto. Gruppi come l’Isis o simili ci odiano quanto ci odia Israele. Oltre a ciò, Israele promuove la creazione e lo sviluppo di gruppi come l’Isis nella regione e condivide con loro obiettivi comuni di caos e distruzione. Israele tenta di fabbricare un’immagine falsa dei palestinesi e di venderla al mondo occidentale per poter dire che non siamo un popolo con una causa, dei diritti e una lotta giusta. Ma mi chiedo se davvero questa strategia funziona. La capacità della gente di verificare i fatti, nonostante tutte le fabbricazioni, la propaganda dei media e il lavaggio del cervello, è qualcosa che esiste ancora e può svelare queste bugie per quel che sono. Diversi mesi fa, c’è stata un’operazione palestinese a Gerusalemme contro i soldati israeliani. Le autorità israeliane sono subito corse a dire che era stato l’Isis, quando in realtà era stata realizzata da giovani che simpatizzavano per un gruppo laico di sinistra. L’Isis non esiste in Palestina e non ha mai attaccato Israele e i suoi interessi. L’Isis ha bruciato la bandiera palestinese.
In secondo luogo, i poteri coloniali cercando sempre un capro espiatorio per la crisi del sistema capitalista. Così ad esempio Trump con la sua campagna razzista contro gli afroamericani, i latini e i musulmani, prova a dire che sono “il problema” negli Stati uniti, mentre allo stesso tempo è partner dell’Arabia saudita, degli Emirati e di altri Stati reazionari che sostengono gruppi reazionari violenti in Siria. La crisi del sistema capitalista in Europa e negli Usa ha sempre cercato questi capri espiatori, come accadde durante l’era nazista e fascista in Europa attraverso l’uso di campagne razziste cominciate con discorsi di odio, articoli e libri che portarono a uccisioni di massa e all’Olocausto. Oggi, Israele tenta di usare i crimini del nazismo come giustificazione ai suoi stessi progetti razzisti di uccisione e esclusione e si appropria falsamente dell’eredità “della difesa del popolo ebraico” quando altro non è che un progetto coloniale razzista per l’espulsione dei palestinesi.
Terzo, i rifugiati sono costretti a venire in Europa per una ragione: le loro storie non cominciano quando arrivano sulle vostre coste. Eventi politici li spingono lì – massacri, interventi militari occidentali, dittature, bombardamenti. Un esempio classico è la storia delle relazioni tra Italia e Libia. I paesi occidentali sono guidati da una classe dirigente feroce che porta avanti una guerra contro il mondo arabo per il petrolio e il profitto. Quando si studia la storia di paesi come l’Iraq e la Siria, si viene a sapere che centinaia di migliaia di iracheni, siriani, afghani sono stati costretti a lasciare il proprio paese da guerre imposte su di loro. La gente non migra perché vive sotto una dittatura: migra per sopravvivere alle guerre. L’Europa ha una grande responsabilità, accanto a quella Usa e dei paesi arabi reazionari, nel creare queste guerre. Quando l’Europa sostiene le politiche di intervento promesse dagli Usa non deve poi aspettarsi altro.
La sicurezza delle persone di tutte le nazionali si fonda sulla lotta al capitalismo. Trasformare i conflitti politici in conflitti religiosi e settari beneficia solo l’imperialismo, perché cancella i diritti delle persone e le loro cause giuste e sposta la discussione su un piano vago, vuoto e superficiale. Questo è quello che vogliono i nostri nemici. I conflitti ci sono a causa di reali interessi – politici, economici e sociali – e non perché si è nati ebrei, musulmani o cristiani. Dovremmo considerare questa la base di un pensiero scientifico e di analisi.
Voglio approfittare di questa occasione per ringraziare il manifesto per avermi intervistato e per aver dato spazio alla nostra voce. Incoraggiamo i lettori a mobilitarsi per costruire un movimento forte e progressista che confronti il capitalismo, l’imperialismo e l’austerità e combatta per un’Italia democratica e socialista. Sappiamo che avete la vostra battaglia e vi sosteniamo.
di Chiara Cruciati
dal Manifesto dell’8/12/2017
Che ci fosse necessità di cambiare direzione sull’infinito conflitto di occupazione israelo-palestinese non ci sono dubbi; la soluzione due popoli due stati, simbolicamente necessaria e politicamente corretta, non è stata praticata; nessuno l’ha voluta, soprattutto Israele che ha caldeggiato solo finti tentativi di processo di pace, non rispettando mai i patti e perpetrando solo una forte ingerenza per prendersi tutto e una spietata occupazione militare sui territori palestinesi. Soprattutto la comunità internazionale, ora così “disgustata” della dichiarazione di Trump, ha mai spinto l’acceleratore per riuscire ad imporre quello che doveva essere risolto già’ molto tempo fa.
La politica dei “due popoli due stati”, era solo un ritornello che rimandava al capitolo successivo, rimanendo lì impalati per decenni come un muro innalzato per bloccare il niente.
Abbiamo visto con quanto entusiasmo la comunità internazionale si sia mossa per bloccare gli insediamenti che nascono ogni giorno sul territorio palestinese, eppure era palese che Gerusalemme sarebbe stata presa tutta e che qualche disgraziato Presidente USA prima o poi l’avrebbe dichiarata la capitale unica di Israele.
Purtroppo tutti si sono rigirati dall’altra parte quando era necessario e hanno preferito punire chi sanzionava Israele attraverso varie forme.
Adesso è scoppiata la rivolta, naturale forma di protesta per i palestinesi che non hanno voce in capitolo da nessuna parte.
Gerusalemme non si tocca e tutti sono concordi. Il sentimento della gente è che così hanno perso il paese; possono sopportare occupazione e detrazioni di terra, ma Gerusalemme, luogo troppo sacro, luogo di speranza, non si tocca.
Se qualcuno ha ricordo dello scoppio della 1° Intifada, 8 Dicembre 1987 esattamente 30 anni fa, ricorderà come lo sciopero generale a Gerusalemme fu la prima arma messa in campo., gli scontri più forti sono nella West Bank e Striscia di Gaza.
Lo sciopero andrà avanti e i danni pure (morti e feriti); forse tra palestinesi riusciranno a ritrovare quell’unità di cui hanno bisogno per affrontare la nuova fase di occupazione, l’unità che manca da tanto tempo e necessaria per un popolo che non vuole sparire e vuole intraprendere un nuovo processo di pace e di giustizia per il proprio paese.
Adesso si parla di Palestina.
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