L’Eid passa, la guerra resta. Testimonianze dal nord di Gaza
L’autore dell’articolo ha chiesto di rimanere anonimo per preservare la sua sicurezza mentre si trova intrappolato a nord di Gaza.
L’articolo è stato pubblicato da Middle East Eye e tradotto in italiano per MIM da GazaFREEstyle.
Dopo sei mesi di guerra, più di 33.000 morti palestinesi e la stragrande maggioranza del territorio assediato lasciato in rovina, la popolazione di Gaza fatica a trovare un po’ di gioia durante l’Eid al-Fitr.
La campagna militare israeliana è continuata durante tutto il mese sacro musulmano del Ramadan, con migliaia di morti in attacchi aerei e sparatorie.
Israele ha anche limitato il flusso di aiuti nel territorio palestinese, lasciando la maggior parte dei suoi residenti grati di ricevere i generi alimentari di base, per non parlare di averne abbastanza per festeggiare nelle feste solitamente associate all’Eid.
“L’Eid è la gioia dei bambini che indossano vestiti nuovi e giocano con i giocattoli, mentre per gli adulti significa ricevere visitatori e familiari”, dice Rawan al-Zard, 53 anni, ricordando le celebrazioni passate.
“Quest’anno i bambini sono stati privati della gioia a causa della paura per i bombardamenti”, aggiunge.
La triste realtà è che quasi tutti a Gaza sono in lutto, in ogni casa c’è un martire o qualcuno ferito.
Come la maggior parte degli abitanti di Gaza, Zard non avrebbe mai immaginato che la guerra sarebbe durata così a lungo, e lo stress nel tentativo di sopravvivere ha reso la celebrazione delle feste religiose l’ultima delle sue preoccupazioni.
Anche se fosse propensa a festeggiare, non saprebbe come farlo. La sua casa è parzialmente distrutta e di conseguenza è costretta a stare con i parenti.
Anche se Zard si mostra coraggiosa nei confronti dei suoi figli, sa che non ci sono spazi ricreativi dove può portarli a giocare.
Nessun parente o amico ha intenzione di venire in visita per l’Eid; ma se lo facessero si chiede dove li ospiterebbe, senza casa.
Quando l’Eid passa, la guerra resta, e Zard dice che la gioia tornerà per lei e per gli altri palestinesi a Gaza solo quando potranno tornare alle loro case e la guerra finirà.
‘Anni per riprendersi’
Zard è una delle tante che non riescono a celebrare l’Eid al-Fitr, una delle due principali festività religiose dell’Islam.
Rula Ajour, madre di cinque figli, trascorreva le ultime due settimane del Ramadan preparandosi per il giorno dell’Eid. Decorava la sua casa, comprava vestiti per i bambini e preparava dolci tradizionali palestinesi.
Quest’anno, l’occasione è solo un ricordo di ciò che è andato perduto, vale a dire 25 membri della sua famiglia allargata.
“Io e la mia famiglia aspettavamo sempre la festa dell’Eid e la nostra casa aveva un’atmosfera di felicità”, ricorda Ajour.
Oggi è bloccata nel nord di Gaza, tra le macerie della campagna di distruzione di Israele, mentre i suoi parenti sono divisi tra coloro che sono morti e coloro che cercano rifugio nel sud.
“La guerra ha distrutto tutto”, dice. “Non mi sento felice o al sicuro. Ho parlato con mia sorella per mandarle gli auguri dell’Eid e volevo dirle che entro il prossimo Eid staremo meglio, ma non sono riuscita parlare e abbiamo iniziato a piangere”.
La consapevolezza che l’Eid non può essere celebrato quest’anno si estende anche ai bambini.
Ajour racconta che suo figlio di sette anni, Yassin, le disse che non poteva essere felice per l’occasione, viste quante persone erano morte. Descrive di aver comprato vestiti per l’Eid per lui e per gli altri usando i soldi che aveva preso in prestito, ma loro si rifiutarono di indossarli.
“Non ci saremmo mai aspettati di convivere con tutto questo dolore, perdita e fame”, aggiunge. “Si rifiutano di lasciarci vivere in pace. Anche se la guerra finisse adesso, avremo bisogno di anni per riprenderci dai traumi che abbiamo vissuto”.
“Un popolo fermo”
Per i musulmani, il giorno dell’Eid al-Fitr rappresenta un ritorno ad un senso di normale routine dopo un mese in cui si è rinunciato a cibo e acqua durante le ore diurne.
Ma per i palestinesi di Gaza, la nuova normalità è molto più ardua di una giornata trascorsa a digiunare. Resta poco del mondo in cui abitavano poco più di sei mesi fa.
Iyad Islim, 66 anni, descrive l’Eid come poco più che una “consolazione” dopo mesi di sofferenza. L’esercito israeliano ha distrutto le case di tre delle sue figlie, che ora vivono insieme in una casa piccola e angusta. Ci sono 22 persone in totale e Islim fatica a prendersi cura della sua famiglia con il suo magro stipendio.
“Non sono in grado di provvedere ai bisogni primari di cibo e vestiti per la mia famiglia”, dice a Middle East Eye.
“Gli aerei dell’esercito di occupazione israeliano continuano a volare a bassa quota, come se ci dicessero che continueranno ad ucciderci anche nei nostri giorni sacri”.
Una particolare fonte di risentimento per gli musulmani è la distruzione di tutti gli indicatori della vita “normale” a Gaza, compresi mercati e luoghi di culto.
“Hanno distrutto anche le moschee in cui celebravamo le preghiere dell’Eid”, dice. “L’occupazione sta cercando di cancellare la nostra memoria sociale, culturale e religiosa, ma loro sono impotenti, perché siamo un popolo determinato”.
Per molti, però, la fermezza si sta trasformando in una disperazione che non ha alcuna soluzione in vista.
MEE ha chiesto a Husni al-Maidana, 67 anni, cosa significasse Eid per lui.
“L’Eid per me è una famiglia”, ha detto, prima di crollare in lacrime e scusarsi dalla conversazione.
Sua moglie ha spiegato che sarebbero andati a trovare la figlia, il marito e il genero, che vivono in un campo per sfollati insieme a migliaia di altre persone. La casa di sua figlia è stata distrutta da un missile israeliano, e la famiglia di suo marito è rimasta sepolta sotto le macerie.
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