Rivolta negli States – Una corrispondenza da New York
Nella giornata del 12 giugno “Zona Rossa” su Radio Zeta AM ha intavolato un’interessante chiacchierata con Andrea, un compagno che vive a New York.
Questo il testo dell’intervista.
-Cosa fai lì a New York?
Io sono qui da 14 anni. Faccio il filmaker. Lavoro soprattutto nei documentari. Come regista e montatore.
-E’ vero che, come spesso si dice, New York rappresenta una realtà a parte rispetto al resto degli States?
Sì, un pochino sì. Gli Stati Uniti sono un paese strano. Una confederazione di stati anche molto diversi tra loro. E anche da città a città o da costa a costa le cose cambia. Di certo New York non rappresenta l’America. Per esempio qui politicamente votano sempre i Democratici. Ma non è la politica l’unica differenza. Non si possono descrivere gli Stati Uniti descrivendo solo New York.
-Tu dove abiti?
Io abito a Brooklyn al confine con Queens. Questi due quartieri famosi. Il mio quartiere si chiama Bushwick. Qui ci sono molti lantinoamericani, ma negli ultimi anni è stato molto gentrificato da gente come me (risata).
-Com’è evoluta la situazione in città negli ultimi giorni?
Oggi credo sia il dodicesimo giorno di manifestazioni e proteste. All’inizio c’è stato un bel casino con scontri e saccheggi a Manhattan. C’è stata una reazione molto dura da parte della Polizia con l’instaurazione del coprifuoco. Non so da quante decine di anni non c’era il coprifuoco in città. Io non ho mai vissuto in un posto col coprifuoco. Dopo le 20 non si poteva più uscire di casa, ma la gente continuava a protestare anche negli orari vietati dando la scusa alla Polizia di arrestare anche i manifestanti pacifici. Il tutto quindi è iniziato con grande tensione. Da un po’ di giorni la tensione è diminuita e gli scontri sono diminuiti. Dopo la quantità di video delle violenze poliziesche immotivate e senza provocazione probabilmente la Polizia si è resa conto che tutto ciò non era una “buona pubblicità” farsi vedere bastonare la gente a caso in ogni occasione. E proteste continuano, senza scontri e hanno tolto il coprifuoco.
-Quando la notizia e soprattutto le immagini dell’omicidio di George Floyd hanno iniziato a diffondersi tu ti aspettavi una reazione giovanile e dal basso così forte?
Questo video ha avuto una potenza incredibile credo. Molto più di altri video usciti in passato e ha mobilitato una grossissima fetta della società civile, di giovani, di attivisti, di neri, ma non solo. Tantissima gente che di solito non scende in piazza, sta scendendo in piazza. E credo che una delle ragioni sia proprio questo video. Ne abbiamo già visti tanti negli anni passati di video in cui la Polizia è violenta o uccide degli afroamericani. Spesso però erano video fuori contesto. Si vedeva l’atto violento, l’atto dell’uccisione. La gente diceva: ‘Sai, magari prima sono stati provocati. C’era tensione. Erano spaventati. Si sentivano aggrediti’. E quindi un po’ giustificando la lora reazion: ‘Insomma, sono umani”. Questo video sono 9 minuti in cui chiaramente non c’è nessuna provocazione. Quest’uomo è a terra ammanettato. Ha tre persone addosso. Quello col ginocchio col collo non si è mosso. Non erano in pericolo. Non ci sono scuse. Qui è evidente un comportamento assassino e ci devono essere delle conseguenze per le loro azioni.
-Che differenze ci sono con le rivolte che diedero vita a Black Lives Metter?
E’ un po’ la continuazione. Ci sono anche gli organizzatori di quelle lotte. Credo che però adesso la protesta si sia allargata. Non è soltato Black Lives Metter e gli attivisti. Tantissima gente sta scendendo in strada. La Polizia ha dispiegato ancora più forze e sta reagendo in modo ancora più violento alle proteste contro le sue abituali violenza. Picchiano anziani, giornalisti, bianchi… Un tempo erano solo i neri. Credo che davvero stia diventando una cosa molto più estesa rispetto al 2013.
-Secondo te possiamo dire che non si tratta più della “solita” rivolta razziale, ma è una cosa più complessa? Possiamo definirla anche una rivolta giovanile?
E’ anche una rivolta giovanile, ma sta diventando qualcosa di più grosso. Non si protesta più solo contro il razzismo sistemico e il suprematismo bianco, ma anche contro la militarizzazione della Polizia americana. Il razzismo che permea la società americana è difficile da sradicare. Mentre invece si può riformare il modo in cui vengono addestrati i poliziotti, in cui vengono processati, in cui gestiscono situazioni di protesta. La Polizia riceve fondi governativi enormi. Anche a N.Y. hanno un budget enorme. C’è un movimento che propone di togliere soldi alla Polizia per indirizzarli alle comunità povere. Ora lo slogan è: ‘Defund the Police”. Questa battaglia è più facile da vincere rispetto a quella contro il razzismo.
-Non ti sembra che si stia palesando nelle strade la “nuova società americana” che sta presentando il conto alla “vecchia” dove è sempre stato sempre il bianco a comandare?
Sì, un po’ sì e direi speriamo! Resta il problema solito che la società americana è molto polarizzata. Restano abissali differenze di valori tra gli Stati del Sud e quelli del Nord. La Guerra Civile non è mai stata ricucita. Il Nord ha vinto, ma non c’è mai stata una vera ricomposizione. Poi c’è una grande differenza tra le zone metropolitane e quelle rurali con le prime molto progressiste e le seconde conservatrici. A novembre ci saranno le elezioni. Spero possano dare un segnale di distanziamento. Ma Trump ha un nocciolo duro di supporter che lo sostengono. Non mi stupirebbe vincesse ancora.
-Come credi si svilupperà questo movimento?
Le proteste credo continueranno fino a quando i poliziotti assassini di George Floyd non verranno condannati. In passato episodi simili hanno visto assoluzioni o condanne ridicole. Non credo che succederà la stessa cosa perché scoppierebbe il finimondo. Credo che continuerà ad esserci una fortissima spinta del movimento per dei cambiamenti profondi nella società americana.
-Qui abbiamo sentito parlare di Guardia Nazionale. Spiegaci come funziona.
Si tratta delle riserve dell’Esercito e dell’Aviazione. I componenti non sono soldati a tempo pieno. Hanno il loro lavoro, ma sono addestrati per intervenire sul suolo americano. Di solito vengono richiamati per fare fronte ai disastri naturali. In questo caso Trump e alcuni governatori li hanno chiamati per reprimere le rivolte. Questo ha dato un pessimo segnale di autoritarismo. Vedere i carri armati per le strade delle città fa impressione e sembra quasi che il governo sia in guerra contro la gente normale. Ora l’hanno ritirata da molti Stati. La tensione sta diminuendo. Per molti giorni ci sono stati soldati e carri armati per le vie delle città.
-Chi sono gli antifa lì? Cosa vuol dire che sono stati dichiarati “terroristi”?
Qui negli Stati Uniti gli antifa sono un movimento di attivisti antifascisti. E’ formato da molti gruppi autonomi. Non c’è gerarchia o struttura centralizzata. Questi attivisti combattono le derive razziste e suprematiste della società americana. Sono anche coinvolti in pratiche di mutualismo. Sono stati accusati di alcune attività violente, ma va detto che non si fidano della Polizia e quindi, se devono difendersi dai suprematisti lo faranno con le loro mani. Detto ciò Trump ha fatto la sua dichiarazione roboante, ma per ora non ci sono prove. Trump aveva solo bisogno di trovare un nemico. Altrimenti era evidente che era in guerra coi suoi cittadini. E’ una delle sue tipiche sparate per trovare un po’ di consensi.
-Ti risulta che i suprematisti si sono infiltrati razzisti nei cortei?
C’è stata qualche occasione in cui gli stessi manifestanti hanno fermato personaggi armati riconducibili alla destra. Casi isolati però. In compesno c’erano molti account Twitter che si spacciavano per antifa e invece erano account di destra che incitavano alla violenza,
-Cosa pensano i newyorkesi di Trump?
Ti do un dato. Nelle elezioni del 2016 la Clinton, che non è molto amata, a Manhattan, dove viveva Trump prima di trasferirsi alla Casa Bianca, ha preso 600.000 voti. Trump 65.000. New York e Trump non vanno molto d’accordo anche se lui è nato nel Queens. Insomma, qui non ci piace. Se posso darvi un consiglio…vi suggerirei di guardare un documentario. Si chiama ‘13° emendamento’. E’ di qualche anno fa ed è stato candidato all’Oscar. Racconta i problemi razziali in America e in particolare si concentra sul fatto che il 13° emendamento della Costituzione americana, che è quello che abolisce la schiavitù, la abolisce tranne in alcuni casi e cioè nei confronti di chi è responsabile di alcuni reati. Il succo è che secondo il documentario la schiavitù ha semplicemente cambiato nome. Il sistema giudiziario e carcerario degli Stati Uniti ha sostituito lo schiavismo ecco perché nelle carceri americane c’è un numero spropositato rispetto alla popolazione di detenuti afroamericani e ispanici.
-C’è da sottolineare che il video dell’omicidio di George Floyd era una diretta. Per la prima volta accade qualcosa di tragico in una cosa che i social hanno inventato come momento cool e di divertimento. E’ forse la prima volta che la morte arriva diretta in in un momento di comunicazione “mercificato”. Come ai tempi del G8 con le prime videocamere a uso e consumo dell’individuo vennero utilizzate come “arma” dagli attivisti per difendersi. Un altra volta stiamo utilizzando uno strumento prodotto dal consumismo per difenderci e contrattaccare.
Sì, ormai tutti abbiamo il telefonino che fa i video. Questo sta cambiando l’opinione pubblica. Ogni giorno escono video di Polizia che esercita violenza senza motivo. E questo sta spostando la bilancia delle opinioni. Ci vuole un radicale cambiamento nel modus operandi della Polizia.
Tag:
george floyd giovani impunità omicidio polizia razzismo rivolta società Stati Uniti trump violenza