Tunisia in tumulto

Negazione dei diritti, arresti arbitrari e proteste a 15 anni dalla Rivoluzione.

Da mesi, in Tunisia, il clima è segnato da ostilità, tensione e proteste diffuse. Ovunque risuona il grido della popolazione tunisina — giovani e adulti — unita in un tumulto di insoddisfazione, devastata dall’instabilità economica, sociale e politica. La rappresentanza istituzionale appare svuotata dal potere decisionale, dopo le riforme costituzionali del 2022 la Repubblica tunisina è stata trasformata in un sistema iper-presidenziale in cui il Presidente Kaïs Saïed concentra i poteri esecutivi e legislativi, accentrando il potere nelle sue mani e indebolendo il parlamento, ed è descritto nel mondo come espressione di una deriva autoritaria.

Per molti tunisini Saïed è ormai percepito come un burattino del potere: non a caso, nell’ottobre 2024, una larga parte dell’elettorato ha scelto di non partecipare a quella che è stata definita un’elezione manipolata. Una scelta di rifiuto verso un sistema che resta indifferente davanti a un popolo che chiede diritti e dignità, ricevendo in cambio solo repressione, controllo e uno Stato di polizia che agisce sempre più spesso senza logica, attraverso violenza arbitraria e abusi di potere quotidiani.

A partire da ottobre si è registrato un forte aumento delle tensioni sociali e politiche, in particolare nella città di Gabes. Qui sorge l’impianto dell’azienda chimica statale, da decenni presentato dal governo tunisino e dal commercio globale come il fulcro della rinascita industriale del Paese. Costruito per trasformare il fosfato grezzo in fertilizzanti e derivati chimici ad alto valore, l’impianto avrebbe dovuto proiettare la Tunisia verso un’era di sviluppo modernista. Il risultato, però, è uno stato di inquinamento ambientale (aria, mare) e sanitario gravissimo, responsabile di soffocamenti, malattie respiratorie e tumori.

25 ottobre 2025. Foto di Hasan Mrad. Nel cartellone “nessuna ritirata finché tutte le unità del complesso chimico non saranno smantellate”

Il 1° dicembre Islem Zrelli scrive su Facebook:
Sono stato arrestato questa mattina per aver documentato casi di soffocamento all’Istituto di Gabes. Il direttore si è lamentato del fatto che filmare all’interno di un istituto è proibito. Non vogliono capire che ciò che è proibito sono i crimini del complesso chimico, non la documentazione delle sue vittime. Quello che è successo oggi non è stato ‘far rispettare la legge’, ma ‘sfruttare la legge’ per mettere a tacere le voci di Gabes, come già accaduto in passato. E se fotografare bambini che soffocano in una scuola è proibito, perché questa legge non si applica a chi soffoca i nostri figli? Continueremo finché questa ‘legge’ non sarà cambiata, tra una vittima condannata e un criminale assolto.

Dalla sua creazione nel 1972 a Gabes, il Groupe Chimique Tunisien (GCT) opera nel raffinamento del fosfato, in particolare nei quartieri di Ghannouch, Chott Essalem e Bouchemma.

All’inizio di ottobre, dopo che decine di studenti hanno sofferto di difficoltà respiratorie a causa dei fumi tossici emessi dalle fabbriche limitrofe, sono esplose le proteste. Numerosi video mostrano l’uso di gas lacrimogeni da parte della polizia tunisina per disperdere i manifestanti, dopo che i residenti avevano preso d’assalto la sede centrale del gruppo chimico statale chiedendone lo smantellamento. Le proteste sono rapidamente degenerate: una filiale della direzione GCT è stata incendiata e diverse strade della città sono state bloccate.

Moez Ben Barka è uno degli attivisti rimasti gravemente feriti dopo essere stato investito da un mezzo della polizia mentre manifestava per chiedere dignità e la fine della distruzione ambientale di Gabes. Moez è morto dopo un intervento chirurgico durato ore.

Foto di Hasan Mrad. 15 ottobre 2025

Il Presidente Saïed, che non ha mai riconosciuto ufficialmente la situazione di Gabes come un’emergenza sanitaria, ha incontrato i ministri dell’Ambiente e dell’Energia chiedendo l’invio di delegazioni per effettuare riparazioni all’unità di acido fosforico del complesso. Nulla è cambiato. Le estrazioni di fosfato e il loro commercio restano una delle principali fonti di export della Tunisia, e questo spiega perché finora non siano state adottate misure strutturali. Al contrario, il governo arresta, censura e nega la libertà di parola a chiunque si opponga alle decisioni istituzionali, silenziando anche chi sta morendo per negligenza e interessi economici.

A Gabes la tensione cresce ogni giorno. Gli slogan sono chiari: “Moriremo comunque, moriamo con onore”.

Le proteste di Gabes si inseriscono in un contesto più ampio di repressione del dissenso e crisi sistemica che il Paese vive da anni sotto il governo Saïed. Le manifestazioni rivelano la pressione crescente della società civile sul governo e sul presidente, accusati di aver portato la Tunisia in una paralizzante crisi economico-finanziaria e di guidare un esecutivo ritenuto non legittimo.

22 novembre 2025. Foto di Hasan Mrad

Negli ultimi due anni si è registrato un numero record di arresti con accuse pretestuose. Il governo Saïed ha intensificato la pressione su organizzazioni locali e internazionali, limitando la libertà di associazione e di espressione e accusandole di servire interessi stranieri. Gruppi come FTDES e ATFD sono stati sospesi, mentre oppositori politici, giudici e giornalisti continuano a essere arrestati, in una deriva autoritaria denunciata da Human Rights Watch e Amnesty International, che coinvolge anche operatori internazionali. Negli ultimi quattro mesi, numerose associazioni e media indipendenti hanno ricevuto ordinanze di sospensione delle attività per 30 giorni, in particolare quelle impegnate su temi migratori.

Il 19 aprile di quest’anno 40 imputati – tra i quali noti oppositori politici, avvocati e difensori dei diritti umani – sono stati condannati a pene da 13 a 66 anni per “cospirazione” al termine di un processo basato su accuse non provate. Da aprile è in carcere anche l’ex magistrato Ahmed Souab, arrestato il 21 aprile a causa di dichiarazioni rilasciate dopo la maxi sentenza, e a posteriori insignito del premio Ebru Timtik nel giugno 2025.
A fine novembre, la Corte d’Appello di Tunisi ha poi confermato le condanne contro altri 34 imputati accusati nuovamente di cospirazione contro la sicurezza dello Stato. Il 2 dicembre è stato arrestato l’avvocato e attivista per i diritti umani Ayachi Hammami, condannato a 5 anni di carcere; il 4 dicembre la stessa sorte è toccata ad Ahmed Nejib Chebbi, figura storica dell’opposizione, condannato a 12 anni.

Non solo oppositori politici: magistrati, avvocati e anche influencer sono stati condannati per contenuti giudicati “immorali”, con pene per questi ultimi che vanno dai 18 mesi a 4 anni e mezzo di carcere.

Cinque organizzazioni tunisine per i diritti umani hanno denunciato quella che definiscono la “criminalizzazione dell’opposizione civile e politica”, chiedendo il rispetto della libertà di espressione e dell’accesso alle informazioni pubbliche. L’allarme è stato lanciato durante una conferenza stampa a Tunisi dal titolo “La realtà dei diritti e delle libertà in Tunisia”, organizzata dai sindacati dei giornalisti e degli avvocati insieme a diverse organizzazioni per i diritti umani.

Da Gabes a Tunisi, fino a Kairouan, gli slogan sono gli stessi:
“Il potere è nelle mani delle autorità, il diritto è dalla nostra parte”;
“Oh cittadino oppresso, la povertà e la fame sono aumentate”;
“Il Paese è in uno Stato di povertà e tirannia”.

Il Presidente Saïed continua a sostenere che la magistratura tunisina sia indipendente, ma l’opposizione lo accusa di usarla come strumento di persecuzione politica.

Emblematico è il caso di Shayma Issa, attivista per i diritti umani condannata nel maggio 2024 a un anno di carcere dal tribunale militare per una dichiarazione radiofonica in cui criticava le autorità. Secondo il Comitato per la Giustizia, il suo trattamento viola l’articolo 19 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani. Pochi giorni fa Issa è stata nuovamente arrestata durante una manifestazione a Tunisi: un video mostra due uomini incappucciati che la trascinano via tra le urla della folla. Nel giorno del suo compleanno, decine di persone si sono radunate fuori dal carcere con torte e regali per esprimerle solidarietà. Shayma Issa è stata condannata a 20 anni di carcere.

Stessa sorte per Sonia Dahmani, avvocata e influencer, arrestata l’11 maggio 2024 negli uffici dell’Ordine degli Avvocati di Tunisi per commenti critici espressi in televisione. Accusata di diffusione di notizie false, è oggi in libertà condizionale.

Da ottobre, le manifestazioni si susseguono ogni settimana in diverse città. Il 21 ottobre a Gabes, il 25 a Tunisi, il 22 novembre di nuovo nella capitale, il 29 novembre e il 4 dicembre, fino al 13 dicembre, quando migliaia di persone sono scese in piazza contro le restrizioni imposte dal regime. L’UGTT ha annunciato per il 21 gennaio una manifestazione nazionale contro il governo.

Intanto a Kairouan si è verificata un’altra tragica morte: quella di Naim Al Bariki, deceduto dopo un inseguimento della polizia. Secondo la famiglia, il giovane, senza patente, è stato ferito gravemente alla testa e morto pochi giorni dopo il rientro a casa dall’ospedale. Il silenzio del governo ha alimentato nuove proteste, rafforzando l’opposizione a quello che molti definiscono ormai uno Stato di polizia.

Queste date riecheggiano nella storia tunisina. Proprio oggi ricorre il quindicesimo anniversario dell’evento che diede inizio alla Rivoluzione: il 17 dicembre 2010, quando Mohamed Bouazizi si auto immolò a Sidi Bouzid in segno di protesta contro condizioni di vita insostenibili. Un gesto che avrebbe portato, poche settimane dopo, alla caduta del regime di Ben Ali.

Oggi, mentre Kaïs Saïed continua a negare ogni accusa di censura e qualunque insinuazione di deriva autoritaria, la Tunisia si prepara a settimane di mobilitazione. Una Tunisia infuocata, ma unita, che torna a gridare: “Popolo della libertà, dignità nazionale”; “La rivoluzione sta arrivando e Kaïs è alla sua fine”.

Lucia Bertini Gaza Freestyle

* in copertina le proteste di fronte all’impianto GCT di Gabes. 15 ottobre 2025, foto di Hasan Mrad


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