È come una storia d’amore
Quando penso al Lambretta penso a una storia d’amore. I ricordi sono tanti, sono quasi dieci anni che esistiamo e trovare un modo per descrivere la comunità che siamo stati e siamo diventati è difficile.
Il Lambretta nasce come collettivo di giovani e giovanissimi nel settembre 2011 in zona Lambrate. All’inizio del 2012 occupa in piazza Ferravilla quattro meravigliose villette liberty, con un bel giardino nel mezzo, chiuse da più di vent’anni e lasciate al degrado. Ricordo che prima di occupare, nella solita cantina in cui ci riunivamo a fare assemblea, ci dicevamo di portare guanti e scarponi per pulire tutte le siringhe che avremmo trovato.
Abbiamo quindi aperto, pulito e dedicato quello spazio a Fausto e Iaio, presentandolo al quartiere. È stata la prima di ben sei occupazioni. Si respirava un’aria strana, come se tutto ciò che stavamo facendo fosse destinato a diventare qualcosa di grande.
“E se salgo sul tetto, olè…”
Uno dei ricordi che forse meglio può descriverci risale al 2012, in piazza Ferravilla durante la prima occupazione. Sapevamo che lo sgombero sarebbero arrivato e passavamo le notti a presidiare lo spazio.
Una sera, che poi si è poi rivelata essere l’ultima prima dello sgombero, stavamo ripassando lo schema, nel caso fossero arrivati.
Siam tutti in cerchio e a un certo punto T. ci dice che aveva pensato a un coro. Ci zittimmo, pendevano tutti dalle sue labbra.
Raga, adesso ve lo canto, e lo impariamo tutti, dobbiamo cantarlo a squarciagola, siete pronti?
Inizia a cantare…
… e se salgo sul tetto, olè
E per giorni resisto, olè
Lo faccio per il Lambretta, lo faccio solo per te,
E se guardo giù in basso, olè
Vedo i compagni che lottano
Lo fanno per il Lambretta, lo fanno solo per te
Tutti quanti sopra al Lambretta
Tutti quanti sopra al Lambretta…
Ci è voluto poco, lo abbiamo ripetuto due volte e poi abbiamo iniziato a cantare tutti insieme, tutti uniti. In quel momento mi sentivo invincibile. Eravamo invincibili, appassionati, innamorati. Eravamo il Lambretta e quella era la nostra casa.
Il giorno dopo sono arrivati. Abbiamo resistito davanti al cancello, i compagni sono saliti sul tetto.
C’è una foto che spesso gira durante la ricorrenza del “nostro” compleanno: si vede la prima palazzina di Ferravilla con sotto sessanta persone con le mani alzate verso i compagni che resistevano sul tetto.
Sì, stavamo cantando quel coro, e a ripensarci mi viene ancora la pelle d’oca.
Quella maledetta cheesecake
Seconda occupazione, sempre delle nostre villette di piazza Ferravilla. Sapevamo che lo sgombero sarebbe probabilmente arrivato d’estate e così ci eravamo organizzati. Sul tetto questa volta saremmo saliti io, T., R., V., G. e F.
Io e F. vivevamo già al Lambretta, che come sempre aveva uno spazio abitativo, mentre gli altri vivevano nella palazzina di fianco alla nostra. Lo scopo era il solito, raggiungere il tetto, chiudersi dentro e resistere. Barricammo quindi tutta la palazzina su strada, lasciando libero un solo accesso. Le barricate erano talmente alte e massicce che, durante e dopo lo sgombero, le lasciarono semplicemente così.
Andammo avanti a presidiare lo spazio tutta l’estate.
Una sera stiamo mangiando una buonissima torta che ci aveva portato la mamma di L.. Io, R. e G. avevamo “cenato” con una schifosissima pasta alle due di notte, poi era arrivata questa cheesecake che io, giuro, non ne ho mai mangiata una così buona.
Non finiamola, è troppo buona, teniamola per colazione!
Bella idea di merda.
Mi sveglio alle cinque con quel suono inconfondibile. Affacciandomi vedo circa duecento celerini che corrono verso il Lambretta e ci circondano.
Mi alzo, sveglio F., intanto sentiamo che stanno già cercando di sfondare la porta.
Corriamo su, stanno entrando!
Riusciamo a salire.
Merda, la scala non si toglie, non viene su!
Fanculo! Buttiamola giù!
Li sentiamo correre per le scale, riusciamo a chiudere la botola al volo.
Chiamo S. e do l’allarme. Neanche il tempo di mettere giù che sento picchiare sulla botola e arrivare minacce per nulla velate. Noi ci sediamo sopra.
Resistiamo, e mentre i celerini iniziano letteralmente a martellare la botola su cui siamo seduti sentiamo le urla degli altri dall’altra palazzina. Protetti dalle barricate, avevano riempito l’esercito di poliziotti di acqua e di qualsiasi cosa fosse a portata di mano. Ora ho capito perché erano tanto incazzati, ma in fondo, ad agosto, un bagnetto non fa mai male!
Passammo tutta la giornata lì, tra tetto e sottotetto, con G. che cantava canzoncine improbabili. Ne abbiamo fatte di ogni sui quei tetti, ma forse è meglio non raccontare tutto.
Tornando alla cheesecake, ce la sogniamo ancora, sappiamo solo che la mattina dopo non l’abbiamo trovata da nessuna parte, ancora non si è capito se ce l’hanno rubata i celerini o se qualche compagno o compagna, recuperando i mobili, se la sua pappata. Posso solo dirvi che a oggi rimane la migliore che io abbia mai mangiato.
Potrei raccontarne mille di storie come queste, ma sarebbe troppo lungo. Posso però aggiungere che ho iniziato a fare politica nel 2008, sono entrata al Lambretta nel 2012 con la sua occupazione e oggi, nel 2021, sono ancora qua.
Sì, ho dato e abbiamo dato gran parte di noi e delle nostre vite per questo progetto. Ho collezionato diverse denunce e processi, e ancora ricordo la voce della Digos che mi sveglia la mattina alle 5, che mi porta via da casa mia, le camere di sicurezza, le foto, il Dna. Ma tutto questo passa in secondo piano, perché il vero ricordo sono i miei compagni e le mie compagne che mi aspettavano al ’Bretta, nonostante fossero le 6 del mattino, quell’abbraccio appena uscita dalla Questura, che non scorderò mai, e gli scontri al corteo del giorno dopo, come a dire: “I nostri non si toccano!”.
Ricordo il batticuore del 14 novembre 2012, con i nostri book bloc tutti colorati e la voglia di vincere. Ricordo i nostri cori e le nostre voci in ogni corteo, in ogni occupazione, in ogni mobilitazione.
Ricordo Argolone, uno dei nostri innumerevoli cani. Ma lui non è uno qualunque, perché è stato il primo. Figlio di B. ma figlio di tutti noi, con i suo sessanta chili durante uno sgombero, convinto di entrare come sempre al Lambretta, ha dato una testata allo scudo di un celerino che presidiava l’entrata, facendolo quasi cadere.
Il ’Bretta ha lasciato il suo segno in questa città, ci chiamavamo bad kids; e oggi siamo sempre noi più tante tante altre anime. Stare insieme in questo progetto ci ha insegnato tante cose, ad alcuni anche i loro mestieri attuali: fonici, elettricisti, organizzatori, fotografi e via dicendo.
Oggi vedo i giovanissimi, nati dopo il Duemila, con la nostra stessa energia e voglia di fare, li vedo prendersi le manganellate contro Pillon e Salvini, li guardo imparare ad autogestire uno spazio sociale, e sorrido. Sorrido perché stanno portando avanti ciò che abbiamo costruito, con la stessa grinta che avevamo noi. E allora forse sì, stiamo ancora facendo le cose come si deve.
Dallo scoppio dell’emergenza sanitaria distribuiamo pacchi alimentari nei complessi popolari, abbiamo associazioni, una Brigata meravigliosa, un altro magazzino occupato oltre al nostro spazio e tantissimi volontari e volontarie. Abbiamo fatto grandi cose partendo da nulla e diventando un centro sociale storico di questa città, la nostra Milano. Ce lo siamo sudati: dalle feste in Leo, ai cortei, agli scontri, alle deviazioni, alle iniziative studentesche, al lavoro nei quartieri, ai pacchi alimentari durante il lockdown e oltre, fino alle occupazioni di spazi e di case.
Il Lambretta è tanto, è un ombrello che protegge tante persone e sotto il quale ne sono passate ancora di più. Alla fine, è un po’ come una casa madre per tutti noi che sappiamo di appartenergli; anche chi non fa più politica o ha scelto altri ritmi e altre strade fa parte di questa grande famiglia e se ne sente un pezzo. Perché il Lambretta non è solo un centro sociale, è un amore che non finisce è una comunità che resiste.
Ilaria F.
* questo racconto fa parte del libro “MiM21, dieci anni dalla parte giusta della barricata”.
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