16 agosto 1989, la resistenza del Leoncavallo

In occasione del 35° anniversario della resistenza allo sgombero del Leoncavallo del 16 agosto 1989 riprendiamo un estratto del libro di Alberto Ibba “Leoncavallo, vent’anni di storia autogestita”. Resistenza, quella del Leo per difendere la sua sede storica al Casoretto, diventata in qualche modo “epica” e che diede il via al ciclo del movimento dei centri sociali degli anni ’90. Per un racconto vivido, ironico e assai poco retorico di quelle 24 ore rimandiamo anche al libro di Bruno Segalini “Fiamme e rock’n’roll”

Dopo quattordici anni di occupazione, il centro sociale Leoncavallo viene sgomberato.
Alle 8,30 del mattino nel consueto primo radio giornale, Fabio Poletti per Radio Popolare così esordisce: “E’ tutto finito, o i veri problemi, per questi giovani, per questa città, iniziano proprio adesso. Dopo una resistenza durata oltre un’ora, i giovani del centro sociale hanno deciso spontaneamente di non continuare lo scontro…”.
I feriti non si contano, il bilancio finale è di 55 ragazzi denunciati e 26 arrestati.
Per questi ultimi – tra cui due minorenni – l’accusa è gravissima: fabbricazione e detenzione di armi da guerra (molotov) oltre a resistenza, violenza e oltraggio a pubblico ufficiale.
Stefania, una delle arrestate ci racconta come andarono i fatti.

Che ricordo hai di quell’estate dell’89?
E’ stata un’un estate molto calda, malgrado Lanzone avesse assicurato alle mamme che sarebbe stata un’estate tranquilla.
Già dall’inverno sapevamo che sul centro incombeva la minaccia di uno sgombero, naturalmente non sapevamo data e ora precisa, ma l’esperienza ci aveva insegnato che l’estate, per l’appunto, poteva essere il periodo migliore.
Però le assicurazioni di Lanzone, devo dire la verità, avevano un po’ allentato la tensione.
Era rimasto comunque quel dubbio e la diffidenza ci aveva portato a decidere di mantenere vivo il centro anche nel periodo estivo.
Col passare dei giorni la sfiducia rispetto alle promesse di Lanzone prendeva sempre più corpo.
Sensazioni, ma anche vere e proprie voci, provenienti da quella borghesia illuminata a stretto contatto con singoli settori dello Stato, confermavano la possibilità da uno sgombero imminente.
Per questo incrementammo le feste all’interno del centro, proprio per tenerlo vivo il più possibile.
Organizzammo volantinaggi nei mercati di zona, annunciando lo sgombero e la volontà di colpire il movimento e i centri sociali, che in quegli anni erano usciti dal loro ghetto aprendosi al sociale e alla città.

Parlami di quel 16 mattina.
La sera del 15 Agosto era stata organizzata una festa.
Se sgombero doveva esserci, si pensava, la data ideale poteva essere proprio quella del 15-16 Agosto, giorni in cui la città è deserta.
Naturalmente anche quella sera avevamo avvisato i presenti che lo sgombero sarebbe potuto accadere la mattina successiva e così un’ottantina di compagni decisero di rimanere per la notte.
Furono poi approntate quelle minime misure di autodifesa che ci sarebbero servite a resistere.
L’obiettivo era quello di non far passare in silenzio lo sgombero.
Era importante, in quegli anni di repressione strisciante, scuotere la gente anche con delle risposte di forza.
E quindi, ci eravamo preparati un minimo, rispetto ad un sicuro sgombero violento.
Quella notte ci organizzammo in turni per permettere a tutti, nel limite del possibile, di dormire un pochetto.
Verso le sette, sette e mezza, di Polizia neppure l’ombra.
Alcuni compagni pensavano già di potere andare a fare colazione. Io ero appena riuscita ad addormentarmi, quando mi svegliai di soprassalto al grido: “La Polizia! La Polizia!”.

Come eravate organizzati in caso di sgombero?
Ci eravamo suddivisi in zone da presidiare.
Così sono corsa sul tetto che dava su via Leoncavallo, mentre atri sono rimasti nel cortile ed altri ancora sono saliti sul tetto più alto che dava su via Mancinelli.
Mi sono accorta subito che tutta la zona era accerchiata, non saprei quantificare le presenza della Polizia, ma sicuramente qualche centinaio di agenti.
Inizialmente, la Polizia disposta su via Leoncavallo non tenta di entrare dal portone e così ci limitiamo a controllare la situazione.
Fino a quando sentiamo da via Mancinelli l’inizio degli scontri.
A quel punto iniziamo anche noi ad allontanare i poliziotti lanciandogli contro quello che c’era sul tetto.
Di risposta, prima da Via Mancinelli ma subito dopo anche da via Leoncavallo, iniziano a sparare i lacrimogeni.
Detto francamente non riesco a capire quanto tempo sia passato. A me è sembrata un’eternità. In realtà tutto è successo nell’arco di mezz’ora.
Ad un certo punto arrivano lacrimogeni sparati dal cortile, lacrimogeni lanciati a mano da poliziotti rasenti il muro per non farsi colpire, lacrimogeni sparati dal terrazzino di un caseggiato di fianco ed alcuni altri sparati dall’elicottero.
Malgrado ci fossimo preparati un secchio pieno di limoni, i lacrimogeni sono molto irritanti, anche per la pelle e non c’è limone che tenga.
Avevamo dei secchi d’acqua per spegnere i lacrimogeni, alcuni glieli tiravamo indietro, ma non era sufficiente.
Nel frattempo salta il collegamento con i compagni sull’altro tetto, così continuiamo la battaglia, convinti che i compagni, su via Mancinelli, stiano ancora resistendo.

Quando decidete di arrendervi?
Ero molto concitata. Devo scendere le scalette per aprire la porta a Y. e Q. che avevano avuto il permesso dal funzionario di entrare nel centro.
Non capisco più nulla e risalgo immediatamente sul tetto.
Il tutto accade talmente velocemente che Y. e Q. neanche si accorgono che io sono sparita e tranquillamente si dirigono verso il capannone, che nel frattempo è già stato “conquistato” dai carabinieri.
Appena il tempo di risalire sul tetto, ed anche io mi accorgo che sull’altro tetto, al posto dei compagni, ora ci sono i celerini.
Abbiamo, allora, perso un’asse e ci siamo riparati dietro in segno di resa.
Pochissimo dopo sono spuntati i fucili dei carabinieri.
Ci dicono di alzare le mani, puntandoci addosso i fucili con aria minacciosa.
Ricordo un ufficiale con la bava alla bocca e gli occhi spiritati urlare come un pazzo.
Si capiva che non avevano chiuso occhio neanche loro, ma che anzi, erano stati aiutati, magari da qualche sostanza, a rimanere svegli.

(…)

Quando siamo usciti (da San Vittore) è stato bellissimo perché fuori c’erano i compagni ad aspettarci e al Leo c’era un corteo per le vie del Casoretto.

Quello è stato il primo momento in cui ho rivisto il Leoncavallo. All’inizio non mi ha fatto grande scena perché la facciata era intatta, era come l’avevo lasciato, poi ho sorpassato il cancello e lì è stata la devastazione più totale. Abbiamo deciso di fare un’assemblea sulle macerie, quella sera. C’eravamo messi un po’ come potevamo, però avevamo ripreso il posto, ci sentivamo, anche sulle macerie, nel “nostro” posto.

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