Non È Femminismo Senza Palestina
Crediamo che come collettiva transfemminista sia necessario esplicitare il nostro posizionamento rispetto ai vergognosi fatti avvenuti alla manifestazione nazionale pro Palestina del 12 aprile e le altrettante reazioni/dichiarazioni che ne sono conseguite.
Non si vedeva una piazza di questo tipo e così partecipata, nonchè eterogenea, probabilmente dal periodo pre-pandemia.
Un corteo plurale di 50mila persone tra organizzazioni palestinesi, sindacati, strutture militanti,tra cui collettive transfemministe queer, e società civile. Un corteo che ha letteralmente bloccato una parte di Milano per diverse ore con l’unico scopo di ribadire con tutta la forza possibile di fermare il genocidio in corso a Gaza, le continue violenze e azioni di pulizia etnica anche in Cisgiordania e l’appoggio alla resistenza palestinese. Queste fondamentali vertenze si collocano nell’orizzonte politico che vede come unica strada verso la pace quella del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese e la necessità di una Palestina libera.
Quello di sabato era un corteo nel mirino dei nostri organi governativi complici del genocidio e dei crimini di guerra grazie all’incessante vendita di armi all’occupazione iraeliiana, un governo, quello italiano, che aveva la necessità di inaugurare il Decreto Sicurezza, o meglio, paura, fatto passare in barba alla democrazia dall’oggi al domani perchè la repressione è l’unico strumento che rimane a chi agisce contro il benessere della popolazione. Ovviamente non dimentichiamo che le politiche securitarie e repressive hanno seguito un trend crescente ed esponenziale da circa un decennio, a partire dal primo Decreto Sicurezza Minniti e che, con il governo Meloni, vedono una vera e propria escalation.
I fatti del 12 aprile e la carica a tenaglia contro l3 manifestant3 sono stati ampiamente mostrati dai video che sono girati. Una gestione di piazza che, oltre a dare un segnale politico come già anticipato, aveva l’obiettivo di prelevare persone specifiche direttamente dal corpo del corteo, travolgendo chiunque si trovasse nel mucchio e spezzando in due la manifestazione.
Compagn3 portate in Questura, blocco del resto delle manifestant3, criminalizzazione del dissenso.
Su questo sono state dette e scritte molte cose.
Vorremmo però soffermarci sul meccanismo per cui in un paese dove la sanità pubblica è inesistente, dove gli stipendi non crescono all’aumentare del costo della vita, dove i costi dell’abitare sono inaccessibili alla maggior parte della popolazione, dove assistiamo inermi a un genocidio in diretta quotidiniamente, c’è chi guarda la vetrina invece che tutto questo (ahinoi, sembra proprio quello che si diceva a Genova, solo che prima il crollo si prevedeva, ora nel crollo ci siamo). Pensiamo all’impazienza del Sindaco di Milano, silente su tutto quello che accade alla popolazione palestinese, silente sulle manifestazioni che avvengono ogni sabato, silente su tutta la società civile della città che governa, che da mesi, se non anni, si batte per la libertà della Palestina, ma che prende parola con impazienza solo per esprimere solidarietà su un frase che appare in corteo contro il Primo Ministro; pensiamo a tutte quelle persone che si scandalizzano per due vetrine, pensiamo alle compagne che, pur senza volerlo, offuscano la grandezza del movimento per la Palestina dando importanza a un singolo episodio non significativo e tacciando l’uso della forza come strumento di lotta come appannaggio di un modo machista.
Non accettiamo il binarismo manifestanti buon3-cattiv3 e non riteniamo ci siano pratiche giuste o sbagliate da portare in piazza. Crediamo invece che esse dipendano dagli obiettivi, dal contesto in cui avvengono, ma soprattutto dalla legittimità che gli viene data attraverso la condivisione delle pratiche stesse, e sappiamo che quando questo non avviene ne risente la lotta, perchè la vera forza sta nel consenso del corpo collettivo che prende spazio e parola. Rimaniamo tuttavia sconvolt3 e furios3 nel leggere affermazioni di sdegno e dissociazione per qualche scritta provocatoria e vetrina rotta come se fosse quella la reale violenza e non la violenza istituzionale dalla quale evidentemente siamo talmente assueffat3 al punto da non saper più riconoscerne la brutalità, e di conseguenza provare a ribaltarla.
Il contesto del corteo di sabato era quello della pretesa del cessate il fuoco permanente e di denuncia di tutte le istituzioni e aziende complici di questo massacro. Non un corteo pacificatorio. La rabbia rappresenta un’emozione propulsiva e di grande forza quando è incanalata per fermare le ingiustizie. Questa rabbia l’abbiamo percepita durante tutto il corteo, una rabbia che ci ha unit3, senza lasciare nessun* indietro.
Non scopriamo oggi che la Polizia è violenta perché in quanto donne e persone non conformi alla norma patriarcale conosciamo molto bene la brutalità delle Forze dell’Ordine. Non vogliamo denunciare una gestione di piazza scellerata perché non abbiamo mai visto gestioni dell’ordine pubblico che possano essere compatibili con il nostro agire nè tantomeno con le nostre idee.
Tuttavia la repressione e criminalizzazione del dissenso sono ormai spudorate e colpiranno sempre di più.
Essere transfemminist3 significa assumere una postura decoloniale, antirazzista, antisionista e anticarceraria. Significa allontanarsi dal femminismo bianco e liberale e considerare come non saremo mai liber3 se non lo saranno anche l3 nostr3 sorell3 in Palestina così come in tutti i terriotori colonizzati, depradati, violati. Come era scritto su un cartello in corteo “No feminist struggle without Gaza”, siamo profondamente convinte che non è femminismo quello legittima la distruzione della Striscia di Gaza e della Cisgiordania. Non è femminismo se coloro che lo agiscono non sono partigiane, se non prendono posizione, se giustificano i crimini dell’occupazione israeliana.
Essere transfemminist3 per noi significa essere contro il potere violento istituzionale, contro la punizione securitaria, contro daspo e i fogli di via. Contro qualsiasi strumento volto a reprimere la protesta.
Liber3 tutt3!
Palestina libera!
Free women* in free Palestine!
DeGenerAzione
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