Genova, amarcord di un avvocato – Intervista con Mirko Mazzali
-Ai tempi del G8 di Genova tu eri avvocato di movimento già da una decina d’anni. Quali sono le vicende che ti avevano impegnato di più sia dal punto di vista professionale che politico?
Io ho iniziato a fare l’avvocato “di movimento” nel collegio difensivo del Leoncavallo. Stiamo parlando di tanti anni fa. Gli inizi degli anni Novanta. Insieme ad altri avvocati come Pelazza, Mottalini, Coccia e Giannangeli. All’epoca i procedimenti contro il Leoncavallo erano veramente tanti. Poi da lì ho cominciato a fare altri processi di alcuni centri sociali che oggi non ci sono più. Mi piace ricordare Pergola che era molto attivo o il centro sociale Garigliano che aveva una produzione di cultura e musica notevole. Erano bei posti, molto frequentati. Purtroppo molto spesso intervenivo a fare i processi che seguivano gli sgomberi. Mi viene in mente quello per l’ostello MetropoliX che se non ricordo male era in piazza Minniti in Isola. Quindi nel 2001, quando sono andato a Genova, avevo già una certa esperienza nella difesa dei centri sociali. Poi, siccome la domanda parla anche del punto di vista professionale posso dire che ho iniziato la mia carriera nello studio dell’avvocato Fuga. Il primo processo che ho seguito quando ero praticante è il processo dove era imputato Cesare Battisti, il processo a carico dei PAC, i Proletari Armati per il Comunismo. Cesare Battisti che oggi è abbastanza conosciuto e la cui situazione è piuttosto attuale. Ero un giovane avvocato, quindi ovviamente facevo tutti i processi che fanno i giovani avvocati: le direttissime, i processi per furto e così via. Ho passato un breve periodo della mia vita in cui ho fatto l’assistente dell’avvocato Cillario. Mi sono trovato a occuparmi di processi che, in qualche misura, hanno avuto un certo risalto nell’opinione pubblica dell’epoca.
-Tu facevi parte del Genoa Legal Forum? Come nasce l’idea? Quali sono i passaggi di strutturazione di quell’esperienza?
Sì, facevo parte del Genoa Legal Forum. L’idea credo sia nata all’interno del movimento nelle riunioni che si svolgevano a Genova in vista della contestazione al G8. In realtà si era valutato, e mai scelta fu purtroppo più giusta, che ci sarebbe stato bisogno di un’assistenza legale in relazione ai giorni del vertice. Quando venne ideato il Legal Team nessuno aveva in mente quello che poi avvenne. Certo, si valutava l’importanza di avere un gruppo di aiuto, paradossalmente non tanto per gli arresti, ma per quello che sarebbe potuto succedere in occasione di qualche fermo, alle difficoltà iniziali di accesso alla città, soprattutto in relazione all’arrivo dei manifestanti stranieri. Mi ricordo, come esempio, una nave greca dove viaggiavano dei manifestanti a cui fu impedito di entrare in Italia, credo ad Ancona. Ci furono una serie di problemi di questo tipo. Poi purtroppo, dico purtroppo perché questo ha determinato quella catastrofe che tutti conosciamo, in realtà si rivelò più indispensabile di quello che uno immaginasse. Il Genoa Legal Forum era composto da avvocati, ma anche da soggetti che aiutavano e che poi hanno aiutato e sono stati fondamentali soprattutto durante i processi. Senza l’aiuto di quei compagni e compagne che si occupavano di tutto l’aspetto dei video, delle foto, dei documenti, della catalogazione, degli audio il processo sarebbe stato molto più complicato di quanto non fu. Poi, essendo a Genova evidentemente c’erano i compagni e compagne avvocati della città che erano la spina dorsale di questa esperienza. Partendo da lì si è strutturato un po’ con il passaparola. In ogni città le realtà di movimento parlarono, come nel mio caso, con gli avvocati che erano quelli che abitualmente facevano le difese. Devo dire che fu un’esperienza molto bella e molto formativa che rifarei.
-Come avvocato hai avuto dei campanelli d’allarme nei mesi precedenti al G8 sul livello di repressione che sarebbe stato messo in campo o tu stesso sei stato stupito?
Nei mesi precedenti no. Che sarebbero stati tre giorni impegnativi, diciamolo così, questo sì, lo si sapeva. Io lo sapevo soprattutto da quello che mi riferivano i compagni che mi venivano a parlare. Nei mesi precedenti la situazione sembrava complicata, ma non come quello che in realtà si sviluppò in quei giorni. Quando cominciarono a girare le voci dello stato d’allerta che in maniera, come dire, scientifica veniva messo in atto. Le voci infondate tipo quella sui palloncini carichi di sangue che i manifestanti avrebbero lanciato, l’arrivo di orde di lanzichenecchi dall’estero… Poi, e queste non erano voci, ricordo quando seppi che la Celere aveva organizzato una specie di ritiro in cui si allenavano a caricare, insomma, in qualche maniera la preoccupazione aumentò. Aumentò anche quando si capì che sarebbe stata istituita la zona rossa che è il miglior modo per creare tensioni. Certo che nessuno però poteva immaginare quello che accadde alla Diaz, a Bolzaneto, le cariche indiscriminate, la caccia all’uomo in strada… Immagino che nessuno avesse sentore che sarebbe successa una cosa del genere. C’era uno stato di preoccupazione che lentamente aumentò, ma che non credo potesse mai arrivare a ipotizzare quello che poi si è verificato.
-Quando sei arrivato a Genova?
Andammo in macchina con degli altri avvocati che facevano parte di quella specie di collegio difensivo che c’era a Milano. Uno di questi era di Genova, nonostante si fosse trasferito da anni a Milano, e aveva una casa in città dove dormimmo. Arrivammo giù nel pomeriggio di giovedì 19 luglio se non ricordo male. E lì mi ricordo che facemmo una riunione preliminare per conoscerci alla sede del Genoa Legal Forum e lì dividemmo la città in zone da “presidiare”. Quindi non partecipai al primo corteo che sapevo sarebbe stato tranquillo, quello dei migranti.
Come hai passato le giornate decisive caratterizzate dalle cariche sistematiche a tutte le piazze tematiche del 20 luglio e alla morte di Carlo Giuliani per finire con l’aggressione al corteo internazionale del 21 sul lungomare?
Io, che non conoscevo Genova, andai in corso Torino dalla prima mattinata dove, a un certo punto vidi arrivare dal fondo, il ricordo è ancora nitido, questo gruppo di manifestanti tutti vestiti di nero. Strutturati in maniera molto militante, per file allineate. E c’era un gruppo che suonava dei tamburi che facevano un rumore terribile che si sentiva da lontanissimo. Vidi questo gruppo di manifestanti che non faceva parte di alcun corteo e rimasi un po’ perplesso. Lì, in realtà, cortei non ne arrivarono e quindi mi spostai dove c’era la manifestazione che scendeva dal Carlini, quello della Disobbedienza. Mi incamminai con qualche altro avvocato con la maglietta gialla che contraddistingueva gli appartenenti al Genoa Legal Forum. C’era sicuramente Martina che non era un avvocato, ma che faceva parte del Supporto Legale. Andai in corso Gastaldi che è quella via che scende dal Carlini e arriva in via Tolemaide…questo lo scoprii poi nei processi. Lì non si scendeva perché c’erano già gli incidenti che causarono la morte del povero Carlo. C’era quindi una specie di “stop and go”. Il corteo andava avanti e tornava indietro. I telefoni cellulari non funzionavano bene. Quindi decisi di provare a scendere da una via laterale per capire cosa stava succedendo. Anche perché lì, dopo due o tre ore, non solo non ero utile, ma non si capiva nulla. A quel punto già si rincorrevano le voci più assurde. Si parlava di un morto, di due morti, di un giovane compagno spagnolo ammazzato durante una carica da un blindato. La situazione, come potrete intuire, era abbastanza drammatica. L’idea che ho avuto io e che ho sempre detto è che sembrava di vivere in un videogame. Per strada c’erano solo manifestanti e Forze dell’Ordine. La gente di Genova era alla finestra o era chiusa in casa. La situazione era completamente fuori controllo, almeno per la parte che ho visto io. Mi ricordo che mi ero portato una sciarpa della Fiorentina che mi è stata molto utile perché in alcune parti della città i lacrimogeni avevano talmente appestato l’aria da renderla irrespirabile. Il giorno dopo, a seguito di una riunione serale, si era deciso di stabilire un presidio delle tende del Genoa Legal Forum in piazzale Kennedy dove stavano affluendo le persone che volevano denunciare quello che era avvenuto il giorno prima: le botte prese, le aggressioni poliziesche… Quindi andai lì. Mi ricordo che stetti lì tutta la mattina, poi non so come, a un certo punto, a piazzale Kennedy, che è una zona delimitata da cancelli che sbuca sul mare, arrivavano notizie di quel che si sarebbe visto molto bene successivamente: cariche indiscriminate delle Forze dell’Ordine. A un certo punto mi trovai lì solo con avvocati che non conoscevo in una situazione molto caotica. Pensai: “Qui non sono più utile. Se arriva una carica mi buttano a mare e non so neanche nuotare!”. Sentii una sensazione mista d’inutilità e pericolo. Cercai di entrare nel corteo, ma non si capiva più quale fosse il corteo! C’erano una serie di cortei e ognuno andava in una direzione differente. Io devo dire che sono stato fortunato e prudente e non mi sono mai trovato in questi due giorni di fronte a cariche delle Forze dell’Ordine. Magari li vedevi da lontano, ma nulla di più. Mi trovai quindi in uno di questi cortei con una situazione totalmente fuori controllo. Il ruolo del Genoa Legal Forum in quel momento difficilmente poteva avere utilità. C’era anche qualche avvocato che in quelle ore era disperso! Molti di loro avevano subito delle cariche e si erano persi. A quel punto cercai di tornare alla casa che ci ospitava. Potevano essere le 17,30. Arrivai a Brignole. Ma all’epoca non avevo idea di dove mi trovassi! Ora, dopo gli anni di processi, Genova la conosco quasi come Milano! Lì passò, forse un segno del destino, un taxi, salii su quel taxi e mi feci portare a casa. Da lì, con una cartina, aiutavo i vari avvocati che mi chiamavano per cercare di capire dov’erano. Alcuni erano stati respinti verso le colline dalle cariche! Quindi cercavo di aiutarli a rientrare. A cercare di tornare dove erano alloggiati.
-Come ti è arrivata la notizia del blitz alla Diaz?
Era sera. Non mi ricordo che ore fossero. Mi sembra di ricordare che stessimo andando a dormire. Ho questo ricordo. Eravamo molto stanchi. Era stata una giornata veramente faticosa. A un certo punto mi chiamò Laura che era una delle avvocatesse del Genoa Legal Forum che avevo conosciuto in quei giorni che con voce rotta mi disse: “Stanno massacrando dei ragazzi alla scuola Diaz!”. Dalla voce si capiva che la situazione era seria. Era la voce di una persona preoccupata e molto in ansia. Mi disse solo: “Accorrete! Accorrete!” e mise giù. Allora parlai con gli altri avvocati che erano con me nella casa e decidemmo di andare a questa scuola che nessuno di noi sapeva dove fosse. Prendemmo probabilmente la macchina e arrivammo molto presto. Nel senso che arrivammo tanto presto da riuscire a passare perché poco dopo la Polizia mise un cordone che impediva l’accesso delle persone. Quello che ricordo è che a un certo punto c’era un doppio cordone di Forze dell’Ordine che impediva l’accesso alla scuola. C’era, di fronte alla Diaz, la scuola Pertini, se non ricordo male, dove c’erano una parte degli attivisti di Indymedia e una parte di quelli che erano del Supporto Legale. C’erano parlamentari, c’erano giornalisti e c’erano dei manifestanti che erano scesi in strada. Alla scuola Diaz non sono mai più tornato. L’impressione che ho avuto io è che fosse in una via molto stretta. Noi come avvocati, ma anche i parlamentari un po’ ci mettemmo, ci sono diverse foto che lo documentano, non so neanche come raccontarlo… Eravamo tra i manifestanti e le Forze dell’Ordine per impedire che lì partisse una carica, che se fosse scattata, sarebbe stato un massacro perché c’era molta gente, molta tensione in una via molto stretta. Quello che ricordo è che dall’alto c’erano degli elicotteri che giravano su questa via facendo un rumore infernale. Io ho avuto la netta sensazione…mi sembrava di essere in Cile nel periodo di Pinochet. Non so perché, ma ho avuto nettamente questa sensazione. Nel contempo vedevamo uscire dalla scuola in barella i ragazzi e le ragazze ferite. Alcuni grondavano sangue. Questo me lo ricordo. Non posso dimenticarmelo. I ragazzi e i loro amici erano giustamente molto arrabbiati. Non si poteva accedere. Noi avevamo in mano, chi i tesserini parlamentari, c’era Agnoletto, c’era Malabarba, c’era Graziella Mascia che purtroppo ci ha lasciati, chi quelli da avvocato. Ma non si riusciva a entrare. Era sospesa la democrazia. C’era un luogo dove né parlamentari né avvocati potevano accedere. A un certo punto Malabarba, ex-operaio dell’Alfa per chi non lo conosce, spazientito, in qualche misura insieme ad altri riuscì a trovare un accesso all’edificio. Io me la ricordo così. Ormai erano state portate via tutte le persone e in qualche modo il cordone si aprì.
-E’ vero che sei stato uno dei primi ad entrare nella scuola?
Sì sono stato uno dei primi semplicemente perché ero lì ed è stato naturale entrare…vabbé, non è che devo descrivere quello che ho visto e che poi molti hanno visto in filmati e fotografie. Io ho il ricordo di molto sangue sui muri, occhiali per terra, zaini e quaderni buttati in giro… Poi salii ai piani superiori. C’era sangue anche sulle scale, sui muri, nei bagni. Insomma una scena che uno non può dimenticare. E che rappresenta bene la vergogna di quello che successe all’interno della scuola Diaz che poi è stato oggetto di un processo.
Come la definì il funzionario di Polizia Fournier, una “macelleria messicana”.
-Cosa hai fatto i giorni successivi?
La domenica rientrammo a Milano sempre in macchina. Eravamo stravolti. Almeno io personalmente ero stravolto. Umanamente e professionalmente è stata un’esperienza molto faticosa. Più che dal punto di vista fisico dal punto di vista mentale. Tornammo a Milano e da lunedì iniziammo a cercare di capire cosa si poteva fare. E le cose da fare erano veramente tante! Si era capito a questo punto che la situazione era pesante. Non fui coinvolto nelle prime difese perché se ne occuparono gli avvocati di Genova. Ma questa cosa non la ricordo con precisione. Facemmo una riunione tra noi avvocati di Milano che eravamo andati a Genova. Poi lunedì sera due di noi scesero a Genova e partecipammo a una prima riunione. C’erano una cinquantina d’avvocati da tutta Italia per capire cosa si poteva fare.
-Tu sei stato uno degli avvocati della difesa nei processi per i fatti di piazza del G8 che hanno visto condanne durissime a pochi capri espiatori.
Sì, io ho fatto il processo ai manifestanti. Il cosiddetto “processo ai 25”. Aiutato da Fabio Taddei, un bravissimo avvocato di Genova. E avevo una posizione nel processo Diaz, ma quel processo l’ha seguito quasi tutto Fabio. Già fare il processo a carico dei manifestanti è stata un’esperienza molto complicata. Come ricorderete dopo un po’ di mesi vennero arrestati (le 23 misure cautelari sono del 4 dicembre 2002 – Ndr). Io ne difendevo prima una e poi un altro. Furono arrestati, rimasero un po’ in carcere e poi, dopo lunghi mesi di domiciliari, vennero fatti uscire. E’ stato un processo molto lungo che è durato una vita. E’ durato due o tre anni. A me sono sembrati venti. E’ stato un processo molto difficile. Tutti i processi un po’ mediatici sono sempre complicati. Al dibattimento vennero proiettate per ore video e foto. Fu una delle prime manifestazione seguite così tanto mediaticamente anche dal punto di vista processuale.
Com’è stato confrontarsi col reato di devastazione e saccheggio?
Non avevo mai fatto un processo per un reato del genere a Milano perché non era mai stata utilizzata quel genere di contestazione.
Iniziai a fare una ricerca giurisprudenziale e mi ricordo che c’erano pochissime sentenze inerenti questo articolo del Codice Penale, che risaliva ai tempi del codice Rocco. Fortunatamente non era uno dei reati più usati. Devo dire che poi da lì venne contestato anche nel 2006 per i fatti di corso Buenos Aires a Milano. E anche altre volte. Insomma, prese piede in qualche procura l’utilizzo dell’articolo 419 c.p., che prevede pene edittali altissime.
Una soddisfazione che condivido con tutti gli altri avvocati fu quella di riuscire a fare assolvere i manifestanti del corteo di via Tolemaide che vennero assolti per aver reagito ad atto arbitrario delle Forze dell’Ordine. Una delle poche sentenze di questo tipo in Italia che fa ancora giurisprudenza. La carica fatta dai Carabinieri al corteo autorizzato del Carlini fu ritenuta illegittima. E questa fu un’esperienza importante.
Che scelte non rifaresti se ce ne sono?
Processualmente rifarei tutto quello che ho fatto. Mi sono anche “divertito” cercando di citare Fini come testimone per chiedergli perché si trovasse nella Caserma dei Carabinieri di Forte San Giuliano. Abbiamo avuto un grosso aiuto da Supporto Legale e Indymedia, senza di loro sarebbe stato molto complicato. Come dicevo all’inizio il processo venne seguito abbastanza bene dal movimento con una discreta partecipazione di gente. Già con l’Appello e la Cassazione l’interesse scemò. Quel movimento ha fatto la fine che tutti noi conosciamo. Ecco, se io fossi stato un imputato, non so se… Però queste sono le valutazioni del dopo. Vedendo come è andata a finire dopo 10 anni è facile dire cosa uno avrebbe fatto. Ci sono questi compagni imputati che hanno pagato pene alte e hanno pregiudicato la loro vita. Alla fine sono stati come capri espiatori che hanno pagato duramente. Se avessero scelto di fare il rito abbreviato avrebbero preso pene inferiori. Ma queste sono riflessioni ex-post e si sa che la storia non si fa col senno del poi. Tra l’altro, per una delle imputate, che può sembrare paradossale, l’iter giudiziario si è concluso due mesi fa quando siamo riusciti a farle togliere la sorveglianza speciale. Dopo un periodo di carcere iniziato nel 2012, di lavoro esterno, di affidamento ha finito. E, ma questo è abbastanza normale e non voglio accusare nessuno, durante le ultime udienze eravamo solo io e lei. Sono passati vent’anni ed è fisiologico che l’interesse sia scemato. Quello che io dico sempre, anche se non c’è nella domanda, è che a Genova hanno pagato molto di più coloro che sono stati accusati di aver rotto delle vetrine rispetto a coloro che sono stati accusati di aver rotto delle teste. Questo per riassumere in modo esemplificativo l’ingiustizia di Genova.
-Cosa ti ha lasciato, a vent’anni di distanza, l’esperienza delle giornate di Genova?
E’ una bella domanda, ma non so se ho una risposta. Perché ha lasciato tanto e nulla. Quello che è avvenuto a Genova dal punto di vista repressivo e della gestione dell’ordine pubblico è assolutamente grave, terribile. Quello che accadde a Bolzaneto è incommentabile. Ma se devo esser sincero non è che fossi particolarmente sorpreso. Cioè…sono rimasto sorpreso dal fatto che si è oltrepassato un limite. Che durante delle cariche nei cortei avvenissero episodi di violenza gratuita si era già visto. Questa volta c’è stato un passaggio oltre. Un massacro sistematico di persone inermi all’interno di una scuola. Quello altrettanto grave è la predisposizione di false prove per incriminare persone innocenti. Molotov portate da fuori, il falso accoltellamento di un agente della Polizia… E ovviamente quello che avvenne a persone che erano in stato di fermo nelle mani dello Stato nella Caserma di Bolzaneto.
E’ chiaro che il movimento di Genova che aveva la particolarità di tenere insieme tante realtà e sensibilità: c’era la Rete Lilliput, i centri sociali, i partiti…è stato, non solo per la repressione, spazzato via. E questo un po’ di cose me le ha insegnate. Mi ha fatto fare una riflessione. Se devo esplicitarlo in breve direi che l’insegnamento è che cercare di fare politica all’interno dei processi sia complicato, se non proprio inutile. Insomma, il modello del “processo politico”, alla prova dei fatti, non regge più. Quando si fanno i processi bisogna prima di tutto cercare di portare a casa la pelle degli imputati. E poi si discute della politica o comunque della situazione esterna. Perché in gioco c’è la vita delle persone. E con questo direi che è tutto, salvo dire: Juve mer.a!
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