Ucraina – Dall’accoglienza del simile all’accoglienza per tutt*

Abbiamo viaggiato per due giorni con i mezzi organizzati da Mutuo Soccorso Milano, l’Associazione Corte delle Madri e la ONG Associazione Cooperazione Solidarietà.
In sole due settimane dal momento in cui abbiamo deciso di collaborare, abbiamo raccolto 70m cubi di derrate alimentari e duemila euro di medicinali, oltre a 9.000 euro di donazioni da parte dei nostri solidali.

Poi siamo partiti: 20 persone che si sono ritrovate alle 4 del mattino al Lambretta, lo stesso luogo da cui è nata due anni fa la Brigata di Solidarietà Lena-Modotti in supporto alle famiglie e alle persone in difficoltà economica e sociale nella nostra città.
Con lo stesso spirito di mutuo aiuto e solidarietà, abbiamo deciso di partire per la Romania per aiutare le persone in fuga dalla guerra che da un mese sta creando morte e distruzione in alcune zone dell’Ucraina.
Una Brigata Internazionalista – la nostra – composta da student*, lavoratrici precarie, un medico in pensione, fotografi per passione, attivist* per i diritti umani e, in generale, persone unite dalla necessità di voler fare qualcosa a partire dall’autorganizzazione dal basso, dalla creazione di reti internazionali e dalla centralità della solidarietà tra popoli.
Abbiamo scelto la Romania perché su quel territorio sboccano 7 corridoi umanitari, e l’arrivo di aiuti e supporto logistico è minore rispetto alla Polonia. La strada è stata lunga per arrivare a Suceava, dove abbiamo preso i contatti con le persone attive nell’accoglienza dei rifugiati ucraini all’hotel Mandachi, un hotel a cinque stelle che ha aperto le porte a chi scappa dalla guerra.
Mentre ci trovavamo lì, abbiamo visto delle persone uscire in accappatoio per dirigersi verso la propria macchina, una Mustang nera; quel giorno metà dell’hotel era stato affittato per un matrimonio, mentre nell’altra metà i volontari rumeni accorsi per l’emergenza si fumavano una sigaretta assieme a noi in un momento di pausa dagli scarichi.

Siamo poi ripartiti verso Saveni, dove abbiamo raggiunto il luogo dove avremmo dormito sia noi che le persone sfollate: una scuola in costruzione con 103 letti, una bellissima aula magna e una chiesa ortodossa rumena di fronte. Il confine con l’Ucraina stava a 80 km da noi, ma nella scuola non abbiamo trovato nessuno al nostro arrivo.
Le motivazioni, che abbiamo poi compreso nei giorni seguenti, erano principalmente due: da una parte, il meccanismo di accoglienza che si è creato tra le persone rumene ha fatto sì che le persone ucraine in fuga dalla guerra – principalmente donne e bambine – trovassero una risposta rapida a qualsiasi loro esigenza: una casa a tempo anche indeterminato, un passaggio, un pasto caldo. Il lavoro di organizzazioni e associazioni grosse e rinomate arriva solo dopo la solidarietà che si è creata tra la popolazione rumena e la popolazione ucraina. Il secondo motivo è che le persone ucraine hanno legami familiari in altri paesi, e hanno oggi davanti a sé una grossa offerta di trasporti organizzati da ONG, organizzazioni e governi. Una possibilità rara per coloro che in passato sono fuggiti da guerre, ma approfondiamola dopo con i racconti in frontiera.

Appena arrivati a Saveni abbiamo incontrato il professor Alexandru Cohal che, mentre ci trovavamo ancora in Italia, ci ha aiutato moltissimo a prendere contatti con diverse associazioni locali bisognose di supporto per aiutare la popolazione. Alex parla italiano perché ha studiato diversi anni in Italia, e ha avuto modo di conoscere gli ambienti universitari in profondità, come facciamo anche noi, alla riscoperta di meccanismi di autorganizzazione. Parla sempre con un tono di voce basso, ha uno sguardo neutro ma sorride spesso, soprattutto quando si ride della politica istituzionale. Ha due bambini piccoli e una moglie nata in Albania, per cui la sua famiglia unisce insieme tre paesi che Alexandru ha la capacità di analizzare in maniera lucida e obiettiva:
“Noi rumeni ci siamo riscoperti un popolo capace di accogliere, e non era scontato. E’ successo perché dalla guerra possono scappare adesso solo le donne e i bambini, ma se queste persone fossero afghane non sarebbe stato lo stesso. Con un altro paese è già successo: Romania e Polonia sono i paesi che hanno accolto meno profughi siriani”.
Ma la sua non rimane una critica campata per aria, dove tra l’altro include sempre anche se stesso e il lavoro eccezionale che fa con altre persone. Ci ha detto anche:
“Forse questa accoglienza del simile è un nuovo inizio della solidarietà più estesa tra persone che scappano dalla guerra. I rumeni e il governo rumeno si stanno dimostrando molto più aperti di quanto immaginassi, e vorrà dire che ci sarà più margine di azione per chi come noi vuole aiutare anche quando scoppierà la prossima guerra, ovunque essa sia”.
E personalmente ho pensato alle sue parole quando abbiamo fatto il nostro primo turno al confine rumeno-ucraino di Siret. Ci siamo trovati di fronte a tante bandiere di paesi con governi nemici della tranquillità tra i popoli: c’era lo stand con la bandiera israeliana e il freewifi per tutti (la password era 19481948…), c’erano diversi food truck con la bandiera turca che distribuivano cibo… Ma oltre questa rappresentanza discutibile per chi svolge realmente un ruolo di difensore dei diritti umani, c’erano anche organizzazione piccole o medie rumene, in supporto alle persone sordo-mute o agli animali, così come in generale alle donne, alle anziane e alle bambine che ancora riuscivano a svalicare la frontiera per raggiungere la Romania.

La prima persona che ho visto arrivare e crollare tra le braccia di un volontario, e in questo caso era uno del nostro gruppo, è stata una donna anziana sola con solo una borsa e il suo bastone, talmente fragile da chiedersi inevitabilmente come avesse fatto a camminare per 60 km a piedi per arrivare dove eravamo. Dietro di lei altre donne e bambine con sguardi confusi e tristi.
Una volta uscite hanno la possibilità di restare lì a dormire nelle tende allestite dalla Croce Rossa, la possibilità di rifocillarsi, di avere un passaggio interno alla Romania oppure un trasporto internazionale; in quest’ultimo caso, se hanno animali possono vaccinarli e ottenere il passaporto veterinario in poche ore già direttamente al confine, e se le persone non hanno il passaporto biometrico possono avviare le pratiche fin da subito, per poter raggiungere (in alcuni casi, gratuitamente) Francia, Spagna, Italia, Polonia, Slovenia e altri paesi.
Molte delle persone che abbiamo visto arrivare ai border di Siret, Iasi, Botosani e Stanca – dove abbiamo svolto le nostre attività di supporto – non hanno voluto fermarsi alle tende. Molte di loro hanno parenti, amici e conoscenti disposte ad aiutarle, o accettano l’ospitalità delle famiglie rumene.
Anche nella scuola di Saveni lasciataci in gestione per l’accoglienza delle profughe, sono state ospitate per non più di 24 ore circa 50 persone in 12 giorni di missione: molte sono passate per riposare prima che prenotassimo il biglietto aereo e altre si sono fermate per la notte prima della partenza dei nostri van. Nessuno si è stabilizzato perché era privo di contatti.
In questa emergenza umanitaria pare che per la prima volta i governi abbiamo lasciato la possibilità alle persone di aiutare altre persone senza temere ripercussioni di ogni sorta.

Mentre noi abbiamo potuto aiutare concretamente donne e bambin* ucraine fino a poterle trasportare con documenti non-europei dalla Romania all’Ungheria, Slovenia fino ad arrivare in Italia, in un paese che ha presentato la candidatura per entrare in UE – la Bosnia – delle attiviste che svolgevano il nostro stesso lavoro sono state denunciate per attività umanitaria illegale ed espulse dal territorio. Aiutavano dei profughi afghani e siriani ad un confine dove la gente muore a causa della mancanza di aiuti umanitari.
Non solo. Con la creazione di FRONTEX e i soldi investiti nel rafforzare i confini europei, la guerra più feroce intrapresa dall’Unione Europea è stata proprio quella contro i migranti: dal Mediterraneo ai boschi in Polonia, da Ventimiglia alla rotta balcanica.
Ecco perché l’idea dell’ “accoglienza del simile” che può aiutare all’ “accoglienza di tutt*” – a partire dalla volontà dei popoli e non dalle scelte dei governi – ha accompagnato questa missione umanitaria in territorio rumeno.

In 12 giorni abbiamo coordinato 150 trasporti verso l’Italia, abbiamo fatto rete con le associazioni rumene come la Civic Group di Botosani, Sos Remar, e con persone singole volenterose di dare una mano. Abbiamo concluso tre missioni interne all’Ucraina, a Chernivtsi, dove abbiamo consegnato i medicinali raccolti a Milano dalle donazioni dei nostri solidali. Abbiamo potuto vedere e partecipare ai meccanismi di solidarietà dal basso organizzato dai rumeni, che ci hanno riconfermato l’importanza di coltivare legami con il proprio quartiere, la propria città per rispondere prontamente ai bisogni in momenti di emergenza. Anche in caso di guerra.
Abbiamo conosciuto tantissimi volontari e volontarie e siamo tornati in Italia con un’eccezionale crescita e consapevolezza.

Mentre nelle sedi del nostro governo si discuteva sull’aumento di spese militari per raggiungere gli standard voluti dalla NATO, tante persone italiane si sono recate a titolo volontario per aiutare chi scappa da una guerra che bussa alle porte dell’Europa. Non solo noi, che ci siamo mossi in passato anche per esprimere la nostra solidarietà a popoli in Medioriente, in Nordafrica e in Sudamerica, ma anche proprietari di aziende di pullman a Napoli, o giovani di una chiesa a Sesto San Giovanni, o cooperanti organizzati con grosse associazioni.

Siamo in tanti a chiedere Pace, a volere il Disarmo di tutti i governi e a chiedere che vengano assicurati corridoi umanitari sicuri e trattamento dignitoso per tutte le persone che scappano dalle guerre volute dagli stati-nazione.

Nassi LaRage

* foto di Paolo Trainito

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Una risposta a “Ucraina – Dall’accoglienza del simile all’accoglienza per tutt*”

  1. Gianmarco ha detto:

    In questa cronaca mi sono rivisto quando la sera del 26 febbraio 2022 sono arrivato con mia moglie, mia nuora e la nipotina di due anni a Isaccea in Romania dopo aver attraversato in traghetto il Danubio partito da Orlovka in Ucraina proveniendo da Odessa. Anch’io ho trovato il “mio Alex” che ci ha presi in carico e non ci ha più mollati. Auto, albergo, poi a Bucarst, albergo, casa, non ha mai voluto un soldo, sempre disponibile lui e sua moglie. Poi un bus gratuito per tutti fino a insbruk e poi con un amico in auto fino a Milano. A Bucarest il “mio Alex” ha impegnato altri suoi parenti e conoscenti nel fornirci tutto l’aiuto di cui necessitavamo. In farmacia ho chiesto dei medicinali e articoli igienici, non me li hanno fatti pagare, la Polizia mi ha scarrozzato con la loro auto per cercare un cambiavalute, un giovane mi ha regalato due euro. All’arrivo a Isaccea sembrava la Notte di Natale: coperte, giocattoli, acqua, cibo per tutti, offerte di aiuto come se piovesse e mentre eravamo in coda alla frontiera, tanti uomini innalzavano al nostro fianco grandi tendoni che crescevano come fossero funghi. E’ stata un’esperienza molto pesante ma che mi ha ridato fiducia nell’Uomo. Grazie popolo Rumeno, non vi dimenticherò mai. Un ultimo pensiero va a quella giovanissima soldatessa Ucraina che con la sua arma, regolava il passaggio per l’imbarco alla frontiera ucraina di Orlovka, non so chi sei e se mai più ti incontrerò ma sappi che ti ho voluto bene! Ciao.

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