Le deboli aspettative sui colloqui a Doha e l’urgente necessità di una tregua a Gaza

A Gaza molte persone questa notte non hanno dormito. Aerei militari israeliani hanno colpito gli edifici residenziali a Khan Younis, nella Striscia di Gaza meridionale, dopo che decine di persone hanno perso la vita negli attacchi delle ultime 24 ore. Ma qualcos’altro oltre le bombe e l’artiglieria israeliana ha tenuto sveglie diverse persone, questa notte:

la flebile speranza che tutti questi massacri indiscriminati e incessanti, possano finire, dar loro tregua.

Dopo più di 10 mesi e decine si sfollamenti, centinaia di migliaia di morti e nessuna soluzione politica, ciò che rimane è la speranza. Lo racconta Mohamed Majdalawi, che questa notte non ha chiuso occhio pensando ai colloqui che si terranno oggi a Doha. Alle sei, si è alzato dalla sua branda, ha salutato i suoi bambini e sua moglie, e si è mosso per andare a prenotare l’acqua da distribuire alle famiglie sfollate. Non si è mai interrotto il suo lavoro di supporto umanitario, neanche nei momenti più difficili, nemmeno quando è stato costretto a sfollare.

"Buongiorno, oggi alle sei del mattino ho prenotato l'acqua filtrata e, a dire il vero, stanotte non ho dormito, pensando a oggi e a cosa potrebbe venire fuori dalla trattativa di oggi. Siamo stanchi e tutto ciò che vogliamo è per la guerra da finire.Tutti gli occhi puntati sull'incontro di oggi. Auguro a voi e a noi sempre il meglio"

“Buongiorno, oggi alle sei del mattino ho prenotato l’acqua filtrata e, a dire il vero, stanotte non ho dormito, pensando a oggi e a cosa potrebbe venire fuori dalla trattativa di oggi. Siamo stanchi e tutto ciò che vogliamo è per la guerra da finire.
Tutti gli occhi puntati sull’incontro di oggi. Auguro a voi e a noi sempre il meglio”

Le parti coinvolte in questi colloqui sono gli Stati Uniti, con una delegazione guidata dal capo della CIA Bill Burns; israele, con una delegazione guidata dal capo del Mossad David Barnea, l’Egitto, guidato dal capo dell’intelligence e il Qatar, rappresentato dal primo ministro Sheikh Mohammed bin Abdulrahman Al Thani.
La domanda è quanto sarà coinvolta Hamas nelle prossime ore. Hamas ha rilasciato una dichiarazione in cui afferma di non voler avviare nuove trattative, ma vorrebbe che gli venisse presentata una risposta sull’accordo che afferma di aver accettato all’inizio di luglio, presentato dal presidente degli stati uniti Biden a fine maggio; l’accordo in questione prevedeva un piano graduale che inizierebbe con un “cessate il fuoco completo” di sei settimane, il rilascio di alcuni ostaggi trattenuti a Gaza e un aumento degli aiuti umanitari nel territorio assediato, mentre le parti in conflitto negoziano “una fine permanente delle ostilità”. Questo affermava Biden all’epoca, ma la sua proposta – presentata in maniera confusa – non trovò sponda da parte del governo di ultradestra nazionalista israeliano.

Nei giorni scorsi, il Segretario di Stato americano Antony Blinken ha informato diversi omologhi mediorientali che “questo accordo di cessate il fuoco è di vitale importanza, che dobbiamo fare tutto il possibile per realizzarlo e che l’escalation non è nell’interesse di nessuno”.
Nonostante i paesi in Medioriente siano da tempo in un vortice violento alimentato dall’arroganza militare di israele, ancora oggi viene sostenuto che la soglia di una “guerra regionale” non è stata ancora varcata. Gli attori in lotta, insistono gli esperti, stanno ancora giocando una partita rischiosa ma calibrata per ristabilire una “deterrenza” reciproca, consentendo certi livelli di violenza che possono ancora essere interpretati come un modo per evitare il caos totale.
Tuttavia, questo è un trucco discorsivo che minimizza la straziante verità sul campo: siamo già nel pieno di quella guerra regionale da mesi. La prova è nei corpi e nei detriti che si accumulano a Gaza e nel Libano meridionale, e nell’attivazione dell’alleanza guidata dall’Occidente e dell’Asse della Resistenza su più fronti: dalle navi da guerra statunitensi nel Mediterraneo alle milizie Houthi nel Mar Rosso, dagli attacchi aerei israeliani in Libano al bombardamento missilistico dall’Iran.
Per i governi occidentali, il pericolo principale di fronte a un non-raggiungimento di un accordo oggi non è l’incalcolabile numero di arabi o iraniani che potrebbero essere uccisi in un’escalation delle ostilità. Se non altro, gli ultimi 10 mesi hanno dimostrato che finché i palestinesi sono stati le vittime principali, una guerra prolungata è stata una situazione tollerabile, seppur deplorevole.

Ci sono molte domande su come esattamente i colloqui di oggi si svolgeranno. L’atmosfera attorno a questi colloqui è di posta in gioco alta ma basse aspettative. Ma c’è uno sforzo molto concertato da parte dei mediatori per assicurarsi che qualcosa di produttivo possa essere realizzato nelle prossime ore.
Nel frattempo, per sicurezza e per non farsi mancare nulla, gli Stati Uniti hanno schierato nella regione un gruppo d’attacco di portaerei e un sottomarino lanciamissili a supporto di israele. L’attacco dell’Iran è l’unica cosa certa da scongiurare, mentre israele continua ad attaccare militarmente e impunemente i paesi vicini, e mentre i suoi cittadini stanno lasciando a migliaia il paese.
Più di mezzo milione di israeliani, secondo una stima fornita dallo scrittore Ilan Pappè, hanno lasciato le loro case e spostato la residenza nei loro paesi di origine, troppo impauriti dall’instabile situazione del territorio.
Un privilegio non concesso alle persone palestinesi, che nel “migliore” dei casi sono costretti in casa rischiando attacchi armati da parte dei coloni protetti dall’esercito.

 

 

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Una risposta a “Le deboli aspettative sui colloqui a Doha e l’urgente necessità di una tregua a Gaza”

  1. Maria Grazia Surbone ha detto:

    Che cosa possiamo fare?
    Per smuovere almeno il nostro governo e l’indifferenza di gran parte dei nostri connazionali…

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