23 marzo 2002 – I tre milioni per l’articolo 18
Vent’anni fa una delle più grandi manifestazioni della storia repubblicana
Se l’anno scorso è ricorso il ventesimo anniversario delle giornate di sangue del G8 di Genova, questo marzo è la volta dei vent’anni di una data meno ricordata, ma a suo modo “storica”: la mobilitazione che il 23 marzo 2002 ha visto riunirsi tre milioni di persone al Circo Massimo di Roma contro l’abolizione dell’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori. Quello che, per intenderci, tutelava i lavoratori e le lavoratrici del licenziamento senza giusta causa.
Facciamo un passo indietro, anzi diversi. L’Italia del 2002 vede al governo per la seconda volta un Silvio Berlusconi uscito vincitore dalle elezioni politiche del 13 maggio 2001. La destra ha prevalso alla sfida elettorale grazie all’accordo che ha visto “tornare all’ovile” la Lega di Bossi dopo anni di solitudine secessionista. Era stata proprio l’uscita della Lega, contraria alla riforma delle pensioni, dalla maggioranza a far cadere il primo governo Berlusconi a fine 1994. Già in quell’occasione le piazze si erano riempite in modo imponente per opporsi a una riforma che, tanto per cambiare, avrebbe poi portato a casa il tecnico Dini nel 1995. La seconda metà degli anni Novanta era stata invece caratterizzata dai governi di centro-sinistra: prima Prodi, poi D’Alema e infine Amato. Ci si trovava in piena sbornia neo-liberista da “fine della storia”, e la sinistra della “terza via” (?) – tra cui possiamo annoverare i Clinton, i Blair, ma anche gli ex comunisti italiani che, folgorati sulla via di Wall Street, avevano buttato via Marx saltando sul carro del vincitore – cercava di convincerci di quanto fosse bella la flessibilità e quanto avventurosa la sfida del cambiamento. Nel 1997 veniva approvato il famigerato Pacchetto Treu (con scarsa o nulla opposizione dei sindacati confederali) che, a parole, voleva sbloccare l’ingessato mercato del lavoro italiano, ma in realtà introduceva le prime grandi dosi di precarietà, con un’iniezione di contratti atipici che negli anni successivi sarebbero dilagati e il cui abuso avrebbe fatto la fortuna di molti, troppi imprenditori. I frutti avvelenati delle menzogne di quel periodo le raccogliamo ancora oggi, venticinque anni dopo, con un mercato del lavoro disastrato fatto di precarietà, sfruttamento e salari bassi.
La sinistra moderata esce dunque tramortita dalla batosta delle elezioni del 2001 e, a fronte di forze istituzionali immobili e tremebonde, all’interno della società ribollono energie fortissime. Una grande dimostrazione è appunto la mobilitazione di popolo delle giornate del luglio genovese (anticipate a marzo dalle giornate di Napoli). C’è quindi grande effervescenza nella società e grande disponibilità a mettersi in gioco e scendere in piazza. Chi lo capisce, in quel momento, è la CGIL guidata da Sergio Cofferati (il quale, dopo i fasti di quei giorni, sarebbe diventato il “Sindaco sceriffo” di Bologna), che sarà protagonista delle mobilitazioni dei mesi successivi. Lo scontro inizia già a fine anno, quando l’allora Ministro del Welfare Maroni annuncia l’intenzione di voler rivedere l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori rendendo più facili i licenziamenti. Vengono dichiarate alcune ore di sciopero per gennaio e l’alta partecipazione sorprende gli stessi sindacati confederali. A quel punto, il governo tenta di spaccare il fronte, e ovviamente CISL e UIL non se lo fanno dire due volte, tanto che la mobilitazione del 23 marzo viene promossa dalla sola CGIL. Ad appesantire il clima già acceso è l’omicidio del giuslavorista Marco Biagi (collaboratori di Maroni) avvenuto a Bologna il 19 marzo e rivendicato dalla Brigate Rosse (si tratta del secondo omicidio dopo quello di Massimo D’Antona il 20 maggio 1999).
Nonostante tutto, che la partecipazione alla manifestazione nazionale sarebbe stata incredibile lo si capiva già dai giorni precedenti l’evento, visto che non c’era luogo del lavoro e della formazione dove non si parlasse di quella giornata. Ulteriore conferma arriva tra la sera di venerdì 22 e la mattina di sabato 23, quando da tutta Italia partono decine e decine di treni e centinaia di pullman che vanno ad affollare già da diverse ore prima dell’ora x i tre concentramenti del corteo. Chi scrive ricorda un gigantesco spezzone dei movimenti sociali non riuscire neppure ad arrivare al Circo Massimo tanto era l’affollamento, dovendosi fermare all’altezza del Colosseo. Le foto e i filmati della giornata sono impressionanti e sarà impossibile sia per i livorosi media filo-confindustriali che per la destra sminuire la riuscita della giornata che, come partecipazione, verrà forse battuta solo dalla grande manifestazione contro la guerra in Iraq dell’anno successivo.
Sentendo che il vento di opposizione è ormai impetuoso, CISL e UIL si riaccodano a CGIL ed è indetto uno sciopero generale per il 16 aprile 2002, probabilmente l’ultimo vero sciopero generale che questo Paese ricordi, con adesioni elevatissime e piazze piene anche sotto il diluvio, come a Milano. Berlusconi, Maroni e soci batteranno in ritirata.
Quello in cui aveva fallito la destra riuscirà, dodici anni dopo, a Matteo Renzi, uscito trionfatore dalle elezioni europee del 2014 e in pieno complesso di onnipotenza. Purtroppo, visto che all’epoca molti a sinistra erano ammaliati dal “rottamatore”, l’opposizione sociale, seppur forte, non sarà all’altezza del momento e l’articolo 18 sarà irrimediabilmente cambiato e sostituito dal cosiddetto “contratto a tutele crescenti”. A quasi dieci anni da allora, di quelle tutele non si vede neanche l’ombra…
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