Le verità su piazzale Loreto
Gian Antonio Bravin, 36 anni
Giulio Casiraghi, 44 anni
Renzo Del Riccio, 20 anni
Andrea Esposito, 45 anni
Domenico Fiorani, 31 anni
Umberto Fogagnolo, 42 anni
Tullio Galimberti, 21 anni
Vittorio Gasparini, 31 anni
Emidio Mastrodomenico, 21 anni
Angelo Poletti, 32 anni
Salvatore Principato, 51 anni
Andrea Ragni, 22 anni
Eraldo Soncini, 43 anni
Libero Temolo, 37 anni
Vitale Vertemati, 26 anni
In questi anni ci è capitato spesso di scrivere dell’eccidio di piazzale Loreto del 10 agosto 1944, delle cui vittime potete leggere i nomi riportati a inizio articolo.
Lo abbiamo fatto quasi ogni agosto, in occasione del susseguirsi dei vari annversari della strage. E lo abbiamo fatto l’ultima volta quest’anno, in occasione dell’iniziativa “Partigian* in ogni strada” proposta da MiM per celebrare la memoria dei caduti milanesi della Resistenza in un 25 aprile molto particolare che, per la prima volta dal 1945, non avrebbe visto le consuete mobilitazioni di piazza a causa delle restrizioni per l’emergenza Covid.
Ebbene, lo facciamo nuovamente oggi per parlare del libro “Piazzale Loreto – Milano, l’eccidio e il ‘contrappasso'” opera di Massimo Castoldi, docente di Filologia italiana all’Università degli Studi di Pavia.
Uscito nelle librerie questo autunno con un buon riscontro in termini di vendite, potremmo definire questo libro una sorta di contrappeso a quelli dei vari Vespa e Pansa, che tanto vendono e tanti danni producono sia a livello di serietà della ricerca storiografica che di autocoscienza di questo Paese.
Il libro di Castoldi offre invece un’accuratissima ricostruzione degli eventi che hanno portato alla fucilazione di 15 antifascisti all’alba del 10 agosto 1944 e del successivo sviluppo dei fatti, fino ad arrivare alle celebri giornate dell’aprile ’45.
È un racconto corale, quello costruito dall’autore, dove si intrecciano sia i racconti dei tanti testimoni che i documenti frutto di un’accurata ricerca storiografica.
I pretesti ufficiali del massacro furono lo strano attentato di viale Abruzzi dell’8 agosto e l’uccisione da parte dei partigiani del capitano della Guardia Nazionale Repubblicana Marcello Mariani il 9 dello stesso mese.
Per quanto riguarda l’attentato di viale Abruzzi, dove due bombe esplosero sotto un autocarro tedesco lasciato sostanzialmente incustodito provocando il ferimento lieve del caporale tedesco Heinz Kuhn (l’unico tedesco presente sul posto al momento dello scoppio) e di 10 italiani morti sia nell’esplosione che nei giorni successivi, molto si è detto e molto si è scritto, spesso a sproposito, soprattutto a destra.
L’attentato non fu mai rivendicato. I responsabili dell’azione non furono mai scoperti né i gappisti milanesi si assunsero mai la responsabilità di un’azione che, per modalità, non rientrava nel loro modus operandi. I morti dell’attentato furono tutti italiani, quindi non è chiaro per quale motivo i tedeschi avrebbero dovuto ordinare una rappresaglia.
Molto più lineare l’azione gappista che portò all’uccisione in piazzale Tonoli (attuale piazza Ascoli) del capitano della GNR Mariani e al ferimento del milite della Brigata Nera “Aldo Rasega” Luigi Leoni. Mariani era il delatore che aveva portato alla fucilazione, il 15 luglio, di tre ferrovieri antifascisti presso lo Scalo Greco.
Un altro elemento che emerge è come sia difficile ricostruire e attribuire la responsabilità primaria della strage.
A livello giudiziario è stata chiarita la responsabilità del capitano delle SS Theodor Saevecke, condannato all’ergastolo nel 1999 dal Tribunale militare di Torino. Quello che emerge, però, è che il potere nazista, per sua caratteristica strutturale, era un potere policentrico con strutture spesso in competizione tra loro. Emergono quindi i nomi di ufficiali di grado più elevato rispetto a Saevecke, come per esempio Willy Tensfeld o il famigerato Walter Rauff, ma non si riesce a ricostruire con esattezza chi diede l’ordine diretto della fucilazione.
Anche la fucilazione, avvenuta all’alba del 10 agosto, è ricostruita in modo dettagliato. Si comprende che, sostanzialmente decisa dai tedeschi ed eseguita dagli italiani, l’esecuzione avvenne in modo scomposto, tanto che Eraldo Soncini, operaio della Pirelli e militante socialista, riuscì a fuggire; fu inseguito da militi fascisti e finito in via Palestrina.
Poco si sa del plotone di esecuzione e della sua composizione, tranne il fatto che alcuni dei carnefici troveranno la morte nei mesi successivi per mano dei partigiani.
Si scopre che i corpi rimangono esposti come monito alla popolazione, sotto il sole di agosto, dall’alba fino alle 18. E che l’afflusso di una folla silenziosa e commossa sul luogo della strage diventa sempre più imponente con il passare delle ore.
Sono ricordati i due comunicati che annunciano la fucilazione e come il “Corriere della Sera”, diretto dal collaborazionista Ermanno Amicucci, l’11 agosto uscì nelle edicole con il titolo infame “Delittuose azioni di sicari esemplarmente punite”.
Il libro di Castoldi prosegue poi nell’accurata ricostruzione delle esistenze delle quindici vittime, uno degli aspetti meno raccontati di questa drammatica vicenda. Ripercorrendo le loro vite, si cammina anche nelle strade della Milano del tempo riconoscendo, molte decine di anni dopo, alcuni luoghi che ancora esistono.
L’autore ricostruisce, per quanto possibile poiché si trattava di lotta clandestina e pericolosissima, il loro ruolo nella Resistenza, così come, nel dettaglio, la catena di arresti che portò al tragico epilogo del 10 agosto. Arresti quasi tutti eseguiti dai fascisti, spesso aiutati dalle “spiate” di qualche delatore.
E si arriva poi all’inevitabile “contrappasso”. Ovvero alla decisione, presa non dal CLN ma da alcuni partigiani, di portare in piazzale Loreto, all’epoca ribattezzata Piazza dei Quindici Martiri, il corpo di Mussolini, della Petacci e dei gerarchi fucilati a Dongo cui si aggiungerà Starace, fucilato proprio nella piazza.
Qui ci viene raccontato di come, in realtà, quella che è raccontata come la vicenda di “piazzale Loreto” fu in realtà una catena di eventi sviluppatasi su tre giorni, che chiama in causa tre piazza, umori e sentimenti diversi.
Il 28 aprile ci furono i festeggiamenti per la Liberazione. Il 29 aprile, in mattinata (perché il libro ci racconta che, in realtà, i corpi di Mussolini, della Petacci e di altri gerarchi, a differenza dei fucilati dell’anno prima, furono esposti solo per poche ore), ci fu la celebre vicenda dei corpi dei fascisti appesi di fronte a una folla enorme. Una folla i cui sentimenti, in molti casi, misero in imbarazzo anche chi si era battuto direttamente e in prima persona contro il regime.
E poi c’è la piazza dolente del 30 aprile, nella quale sono celebrati i martiri del 10 agosto ’44.
In ultima analisi un libro importante, frutto di un accurata ricerca e del quale consigliamo la lettura a tutti coloro che sono interessati alla storia della Resistenza a Milano e ad andare oltre ai più banali luoghi comuni di una memoria che, lo ribadiamo per l’ennesima volta, non può essere in alcun modo pacificata.
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