Non giudicare se non sai Pt.2
Barbari e bifolchi.
Chi penserà di aver capito tutto di questo libro guardando solo la copertina, rimarrà estremamente deluso.
Maranza di tutto il mondo, unitevi!, la traduzione in italiano di Beaufs et Barbares, è l’opera di Houria Bouteldja che sta spaccando la retorica intorno al tema delle periferie, delle cosiddette seconde generazioni e delle nostre alleanze.
La scrittrice Franco-algerina ha presentato il suo libro in un tour italiano curato dalla casa editrice DeriveApprodi, e il 24 marzo è stata al Csa Lambretta.
Partiamo dal titolo, quello originale. Utilizzando i termini del razzismo e del disprezzo di classe, Houria identifica due soggetti rivoluzionari: i bifolchi, e cioè i proletari bianchi relegati nelle periferie della città, e i barbari, quindi i soggetti razzializzati, non governabili, gli indigeni delle periferie.
I due termini sono di fatto intraducibili, e per questo motivo anche diversamente interpretabili se non vengono raccontati. Proprio come il termine maranza, che include al suo interno punti di vista opposti: l’insulto vs l’autorappresentazione, la discriminazione vs il riconoscimento. L’attacco e la difesa.
Quello che chiede la scrittrice già nelle prime pagine del suo libro è uno sforzo teorico, anche coraggioso, per immaginare un’alleanza di classe tra il proletariato bianco e gli indigeni delle periferie che vada al di là delle analisi dei salottini e che si sviluppi in maniera concreta e materiale.
Il beaufs sono i bianchi disprezzati, declassati, relegati nelle periferie; vivono la loro condizione come un’ingiustizia, un’anomalia, un affronto, e sono costretti ad avere dei barbares come vicini. I barbares sono i soggetti discriminati, che vivono uno stato di non-appartenenza oggettiva e soggettiva allo Stato, nati e cresciuti in blocchi popolari che ridefiniscono e risignificano.
Un’alleanza interrazziale quasi impossibile, visto che il risultato di secoli di propaganda razzista ha messo in contrapposizione questi due soggetti che oggi tendono a neutralizzarsi. Ancora più improbabile se si pensa che il “noi” è stato sostituito da tempo dal “me/io”, relegando in tanti piccoli gruppi anche chi proviene da condizioni sociali ed economiche simili. Ma non è questo a scoraggiare l’autrice.
Bouteldja parte dal presupposto che il razzismo non è un sentimento, ma un sistema necessario agli Stati-Nazione moderni che hanno bisogno di classificare e gerarchizzare la società.
Lo Stato genera la razza, e “si può dire che la razza è lo Stato primitivo della classe come la conosciamo dal XIX secolo in avanti. Alla sua base c’è la tratta degli schiavi”, ed è “sul lavoro forzato di milioni di africani e sul commercio delle piantagioni che si costruiranno fortune colossali gettando le basi per lo sviluppo del capitalismo”.
Lo Stato moderno, e su questo è difficile argomentare al contrario, non è nient’altro che uno Stato razziale che ha fatto del razzismo un fondamento strutturante.
Di più. L’era moderna viene inaugurata da un genocidio e la sua giustificazione, dando vita a un progetto politico di divisione sociale a scopo di lucro per contenere e arginare la lotta dei “dannati della terra”.
Con un’articolato excursus storico sulla nascita dello Stato razziale, il ragionamento di Bouteldja tocca l’era moderna con l’analisi di quello che lei chiama lo Stato razziale integrale.
Quest’ultimo non è uno Stato totalitario ma anzi, è “democratico, liberale, sociale, repubblicano e laico”.
Non c’è schiavitù diretta ma sfruttamento di forza-lavoro scarsamente retribuita che vive male.
Il consenso – o il silenzio – delle masse bianche è acquisito dalla loro “integrazione nel circuito di redistribuzione della ricchezza, un legame autentico con la nazione che dà loro sicurezza e senso di appartenenza, a cui devono in cambio lealtà e patriottismo”. Un consenso conquistato elevandoli al rango di “cittadini” obbligati ma dotati di diritti inalienabili.
È ciò che Bouteldja chiama “patto razziale della bianchezza”, ed è qui uno dei punti più nodali del libro: siamo in grado di ripensare a una strategia globale che possa mettere insieme le classi popolari sfruttate? I beaufs dovrebbero interrompere il patto razziale, i barbares dovrebbero scendere a compromessi con chi lo fa.
La sinistra è in grado di liberarsi del suo silenzio all’insegna della purezza? Quella sinistra che “ha lasciato alla destra il diritto esclusivo di interpretare gli indigeni”, incapace di “sapersi sporcare le mani, immergerle nella merda, perché non si fa politica senza sporcarsi”.
All’incapacità di lettura e reazione della sinistra, la scrittrice franco-algerina riserva un ampio spazio, partendo dal mancato sostegno ai movimenti di liberazione nati in Algeria o Marocco, alla totale incapacità di lettura della società oggi.
È la sinistra, con le sue mancanze, a fare la miglior campagna elettorale alle destre oggi al potere.
Una parte importante del libro, e forse la più criticata, è quella della proposta di uscita dall’Unione Europea, la Frexit decoloniale.
Secondo l’autrice, il rafforzamento del razzismo e dell’estrema destra nella UE non avviene nonostante le politiche dell’Unione, ma proprio a causa di esse. C’è una fortezza che separa l’UE dagli effetti delle sue politiche, l’esclusione razziale è al centro del progetto europeo che prosegue con lo sfruttamento del Sud globale attraverso accordi commerciali di sua competenza esclusiva.
La scrittrice parla dell’UE come “blocco di sfruttamento” responsabile dell’impoverimento del Sud e del mantenimento della gerarchizzazione sociale interna.
Per Bouteldja, occorre “riportare il potere in patria e tenerlo sotto controllo”, e su questo punto dedica gran parte del capitolo finale.
Houria, il cui nome tradotto in italiano è Libertà, è nata negli anni in cui l’Algeria si liberava dell’occupante francese, e ci tiene a far pesare il suo bagaglio storico decoloniale.
La sua storia di figlia sradicata dalla sua terra d’origine si scioglie in un’identità comune, dove con coraggio immagina nuove strategie per creare un “blocco storico” rivoluzionario capace di rompere i meccanismi di sfruttamento di pochi su molti.
Chi ha bisogno di un cambiamento subito non ha bisogno di teorizzare l’impossibile, ma lei ci prova perché è una militante, e perché immaginare un mondo diverso si può solo rinunciando alle comodità di un pensiero pulito, lineare e purissimo.
“È una scommessa. Una scommessa non vinta in partenza. Ma nessuna scommessa è mai vinta in partenza”.
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