Il venerdì della rabbia contro la violenza israeliana e l’insensatezza di Abu Mazen

E’ stata una notte di provocazioni, violenza e arresti quella di Gerusalemme, al campo profughi palestinese di Shuafat.
Le truppe israeliane hanno fatto irruzione nelle case della famiglia Tamimi, accusata di aver organizzato l’uccisione di un soldato israeliano al posto di blocco sabato notte; hanno lanciato gas lacrimogeni all’interno delle case, soffocando e ferendo le persone al loro interno e proseguendo con l’arresto di tre membri della famiglia.
Circa 140.000 palestinesi vivono a Shuafat, l’unico campo profughi entro il confine municipale di Gerusalemme. Sebbene si trovi vicino alla città vecchia, il campo è separato dal resto di Gerusalemme dall’imponente muro di separazione di israele.

Sempre ieri sera, il deputato di estrema destra Itamar Ben-Gvir ha visitato Sheikh Jarrah.
“Amici, se lanciano sassi, sparate loro!” ha detto in un video ampiamente condiviso mentre brandiva una pistola e rivolgendosi ai coloni israeliani che affrontavano gli abitanti palestinesi del quartiere.
Sotto la protezione dei soldati israeliani, le famiglie palestinesi di Sheikh Jarrah hanno subito le aggressioni dei fanatici sionisti per tutta la notte.

 

Negli ultimi mesi la situazione in Palestina la situazione è molto tesa, soprattutto nei vari campi profughi della Palestina occupata.
Il punto caldo è Jenin, per cui dobbiamo nominare l’uccisione della giornalista Shireen Abu Akleh che si trovava lì per raccontare proprio queste tensioni e la violenza dei soldati israeliani, gli stessi che l’hanno assassinata con tre colpi alla gola.

C’è una vera e propria polveriera anche a Nablus, a Ramallah e nei campi profughi nella zona di Betlemme così come a Gerusalemme.
Sul campo sono presenti le diverse fazioni della politica palestinese, che superano in qualche maniera l’immobilismo dell’autorità palestinese unendosi in una resistenza armata alle incursioni e alla violenza dei soldati.
Più di 1500 persone palestinesi sono state arrestate in queste settimane, e 120 palestinesi sono stati uccisi dall’inizio di quest’anno.
E’ troppo per continuare ad aspettare la politica.

Le autorità israeliane hanno affermato che i raid nei territori occupati “sono necessari per smantellare le reti dei militanti in un momento in cui l’Autorità Palestinese non è in grado di contenere l’escalation”.
Ha senso riportare questa dichiarazione solo per evidenziare un ulteriore dato: la crescente adesione dei giovani palestinesi a gruppi armati “misti”, formati sia da forze islamiste che laiche sconnesse dall’ANP.
Quello che possiamo evidenziare con certezza è l’indebolimento irreversibile della leadership palestinese, a partire dal presidente dell’Autorità nazionale, Mahmoud Abbas che giusto ieri è volato ad Astana dove ha visto il presidente Putin e l’ha invitato, tra le righe, a farsi mediatore perché “non ci fidiamo dell’America, non può essere l’unica a risolvere il problema”.
Un incontro che rispecchia ben poco il fervore giovanile e il rifiuto della politica di mediazione che sta infuocando i territori palestinesi.
Il sistema articolato per controllare, reprimere e perseguire le persone palestinesi in Cisgiordania e nei Territori occupati, si sta sbriciolando non solo da parte del regime che occupa i territori ma anche di chi lo supporta.

Oggi in Palestina, per rispondere alle aggressioni subite dai palestinesi di Gerusalemme, è stato lanciato il “venerdì della rabbia”.

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