Genova, 20 luglio 2001
I fatti del G8, un ricordo indelebile.
Due anni fa, con un lungo articolo, cercavamo di inserire i fatti di Genova del luglio 2001 nel quadro di un mondo in rapidissima trasformazione. Il 2001, un po’ come il 1989, era letto come vero e proprio anno spartiacque nella storia degli ultimi decenni.
Quest’anno, tenteremo di fare un breve riassunto dei principali “fatti di piazza” di quei giorni di gigantesca mobilitazione internazionale contro gli otto grandi e contro la globalizzazione neo-liberista. Una rivolta, quella no-global, esplosa nel novembre ’99 in una città, Seattle, tornata recentemente all’onore delle cronache e poi dilagata, come in un effetto domino, in tutto il globo trovando probabilmente nelle giornate di Genova il suo punto più alto di conflitto e repressione, per poi andarsi a scontrare, solo due anni dopo, con l’impossibilità di impedire l’invasione americana dell’Iraq.
Ma torniamo alle giornate genovesi del luglio 2001. La prima mobilitazione di massa è costituita dal corteo del migranti del 19 luglio.
In città sfilano tra le 50.000 e le 70.000 persone, mobilitandosi su una questione che, nei due decenni successivi, sarebbe diventata fondamentale, ma che già all’epoca spaccava l’opinione pubblica. Basti ricordare due elementi: la mitologica “invasione albanese” dell’Italia (che ora nessuno ricorda più, ma sulla quale la destra ha costruito grandi fortune elettorali) di metà anni Novanta e l’introduzione nel nostro paese dei CPT, voluta, tanto per cambiare, da un governo di centro-sinistra con la legge Turco-Napolitano del 1998.
Per chi non se lo ricordasse o non lo sapesse, in quei giorni la città di Genova era stata divisa in settori. Una zona rossa con un rigidissimo divieto d’accesso per tutti i non residenti e una zona gialla ad accesso limitato. La zona rossa ricordava molto da vicino la situazione dei Territori palestinesi occupati o dell’Irlanda del Nord negli anni dei Troubles: gigantesche recinzioni in cemento e acciaio con alcuni varchi d’ingresso e uscita pesantemente presidiati dalle Forze dell’Ordine.
Nella notte tra il 19 e il 20 luglio, mentre un diluvio colpiva la città facendo letteralmente affondare nel fango i luoghi di ritrovo delle decine di migliaia di manifestanti giunti a Genova, i vertici dell’ordine pubblico rafforzavano le difese piazzando in diversi punti strategici veri e propri muri di container. A questo va aggiunto che, in quei giorni, la Fiera del Mare era diventata una piazza d’armi, con la presenza di migliaia di uomini (si dice 18.000) di praticamente tutti i corpi di sicurezza (non solo) italiani.
A rendere chiaro anche ai più ottimisti che lo scenario per il 20 luglio sarebbe stato pesantissimo, oltre alla campagna di terrorismo mediatico in corso da diverse settimane (alimentata dalla costruzione scientifica di quelle che oggi chiameremmo fake news) allo scopo di giustificare il massacro, c’era lo scorazzare continuo per le vie del capoluogo ligure di colonne mobili di Forze dell’Ordine munite dei mezzi più incredibili. Indimenticabile, per chi scrive, lo sferragliare nel silenzio surreale di viale Brigate Partigiane degli M113 del Reggimento Tuscania, dei veri e propri carri armati che riportavano alla memoria i lugubri ricordi di Cossiga e Bologna ’77.
La strategia dei manifestanti prevedeva diverse piazze costruite a seconda delle tante sensibilità politiche presenti in quei giorni. Per capire la ricchezza e l’ampiezza delle mobilitazione ecco l’elenco delle piazza tematiche di quel venerdì 20 luglio.
- Corteo dei lavoratori nel ponente genovese ideato dalla CUB;
- Corteo della Rete Lilliput e altri da piazza Manin a piazza Corvetto;
- Corteo del Network per i Diritti Globali e dei Cobas da piazza Paolo Da Novi;
- Corteo della Disobbedienza Civile dallo stadio Carlini a piazza Verdi;
- Corteo degli internazionali di Global Resistance in zona Foce;
- Corteo di Rifondazione Comunista, FIOM, Arci, Attac e altri da piazza Carignano;
- Mobilitazione in piazza Dante da parte di alcune realtà libertarie del movimento.
Il dato sostanziale della giornata è che tutte le piazza ebbero problemi con le Forze dell’Ordine tranne forse quella che sfilava a Sampierdarena e quindi nel ponente. La maggior parte delle piazze subì cariche più o meno violente con uso di idranti, fitto lancio di lacrimogeni e pestaggi indiscriminati.
La mobilitazione del Network, alla quale si era presentata anche la componente che negli anni successivi sarebbe stata identificata dai media come “Blocco Nero”, fu caricata quasi immediatamente senza neppure darle il tempo di strutturarsi come corteo, anche a opera di quello che sarebbe diventato il famigerato VII Nucleo Sperimentale del Reparto Mobile di Roma guidato da Vincenzo Canterini, condannato in via definitiva per i fatti del G8.
La piazza fu dunque spezzata in due, con una parte dei manifestanti che si diresse verso il piazzale antistante il mare dove venivano ospitati gran parte dei dibattiti e dei concerti organizzati dal Genova Social Forum e un’altra che iniziò a risalire verso la zona Nord della città. Entrambi gli spezzoni costantemente inseguiti dalle Forze dell’Ordine.
Cariche feroci avvennero anche contro i manifestanti pacifici della Rete Lilliput in Piazza Manin.
L’iniziativa che fece esplodere e degenerare totalmente la situazione fu, però, la carica illegale al corteo autorizzato della Disobbedienza Civile che scendeva lungo via Tolemaide per raggiungere la zona della Stazione Brignole.
Si trattava di un corteo con più di 20.000 partecipanti, che fu caricato immotivatamente da un reparto del Battaglione Lombardia dei Carabinieri all’angolo tra via Tolemaide e corso Torino, centinaia di metri prima di dove scadeva l’autorizzazione.
La carica dei Carabinieri diede via a ore di violenti scontri (qui la ricostruzione dei primi minuti degli scontri 1 – 2– 3) che dilagarono in tutta la zona Foce e culminarono con l’uccisione di Carlo Giuliani in piazza Alimonda alle 17,27, durante l’ennesimo tentativo fallito da parte dei Carabinieri di spezzare il corteo da una via laterale (tentativo che provocò una delle tante reazioni e controcariche di quella sanguinosa giornata).
Mentre la notizia dell’uccisione di Carlo si diffondeva rapidamente tra i manifestanti, le Forze dell’Ordine furono costrette a far intervenire su via Tolemaide, insieme agli idranti, anche un veicolo corazzato, per aprirsi la strada tra le barricate e dare poi via a una carica che avrebbe inseguito il corteo fin quasi fino al Carlini. Una carica, questa, caratterizzata da pestaggi selvaggi sotto i portici di corso Gastaldi documentati da alcuni filmati.
In quelle ore convulse si susseguirono le notizie più disparate. Da una parte si parlava insistentemente di più di un morto durante gli scontri, dall’altra (notizia che si diffuse come uno tsunami) della cancellazione del vertice. Ancora, si millantava un carabiniere in fin di vita in ospedale.
In questa situazione drammatica ci si trovò a dover prendere una decisione difficilissima. Se confermare o meno la mobilitazione per il giorno successivo con il grande corteo internazionale. Alla fine, si decise di scendere in piazza lo stesso e va detto chiaramente che la feroce repressione del venerdì, che sarebbe impallidita di fronte a quella delle ore successive, non scoraggiò le persone dal recarsi a Genova e scendere in piazza. Il giorno successivo sfilarono infatti, secondo i dati ufficiali, circa 300.000 persone.
Dopo alcune ore di fronteggiamento con i manifestanti davanti alla Fiera del Mare, un muro di Polizia attaccò il corteo spezzandolo in due tronconi.
Uno fu inseguito fino a Marassi, a Nord. L’altro fu massacrato sul lungomare di corso Italia, con l’utilizzo di blindati e lacrimogeni sparati dagli elicotteri in uno scenario dal sapore sudamericano.
I due giorni di repressione di strada avevano però scontentato i vertici degli apparati di sicurezza, per i quali si era data una dimostrazione di debolezza e, testuale, “c’erano stati troppo pochi fermati”. Da lì la sciagurata idea del blitz alla scuola Diaz, uno degli episodi più vergognosi della storia repubblicana.
Scuola Diaz che, senza temere il ridicolo, fu definita nella conferenza stampa in Questura di domenica 22 luglio (una conferenza stampa dove le domande erano vietate) “quartier generale del Black Bloc”. Conferenza dove furono esibite come trofeo due bottiglie molotov che, si scoprirà negli anni, erano state portate dagli stessi poliziotti all’interno della scuola. Il tutto per giustificare una mattanza. Va ricordato che dei 93 arrestati all’interno dello stabile, ben 63 furono portati in ospedale. Alcuni, come il giornalista inglese Mark Covell, in condizioni gravissime.
Alla vergogna della Diaz seguirà la scoperta delle torture della caserma di Bolzaneto.
Una nota importante è quella che, nella settimana successiva al G8, decine di migliaia di persone scesero in piazza in tutta Italia, senza paura e per denunciare quello che era successo. Senza timore di smentita possiamo dire la parte migliore e più coraggiosa di questo Paese.
Un’eccezionale puntata di Blob sui fatti del G8
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