L’«urgenza» è lo stato d’eccezione bellico: sulla decretazione delle nuove leggi sulla sicurezza

Dopo molti mesi di opposizione nelle piazze (con il corteo nazionale del 14 dicembre a Roma e le manifestazioni parallele in tutte le città d’Italia il 22 febbraio) e in Senato (con i tantissimi emendamenti, firmati AVS, M5S e PD), dopo la correzione di un errore materiale da principianti (il testo del DDL faceva riferimento al bilancio del 2024) e soprattutto dopo il parere negativo del Quirinale (che avrebbe fatto capire di non avere intenzione di firmare un pacchetto del genere), il governo ha comunque calendarizzato la discussione del DDL Sicurezza (ex DDL 1660, approvato nel novembre 2023; adesso atto del Senato 1236) il prossimo 15 aprile. Contestualmente la rete “A pieno regime – No DDL sicurezza” ha lanciato due giorni di mobilitazione. Similmente, hanno fatto la rete “Liberi/e di lottare” e tante altre realtà in autonomia.

Ieri, però, sui maggiori quotidiani nazionali è uscita la notizia che il Governo avrebbe deciso di proporre un Decreto Legge sulla sicurezza, che possa essere operativo immediatamente, presentato alla Camera e al Senato e, entro sessanta giorni, discusso, eventualmente modificato e infine approvato (se non approvato, decadrebbe come se non fosse mai esistito). Va da sé che il Governo, in entrambe le camere, ha un’ampia maggioranza – l’opposizione al DDL sicurezza si era concentrata nelle Commissioni.

Significherebbe, ovviamente, bypassare la discussione parlamentare e portare il DDL Sicurezza su un binario morto, fino allo stralcio: Fratelli d’Italia e la Lega potrebbero rivendicare la dimostrazione di forza (“Le leggi le fa la politica”, su Repubblica), Forza Italia invece l’essere riuscita ad ammorbidire un pacchetto di leggi che non convinceva fino in fondo. Il Consiglio dei Ministri che ratificherà questo DL Sicurezza è previsto per oggi pomeriggio, venerdì 4 aprile, alle 18.

Secondo il Sole 24 Ore (qui le anticipazioni), il decreto recepirà i suggerimenti di correzione del Presidente della Repubblica, in particolare: tornerebbe il rinvio facoltativo alla pena per le detenute madri; salterebbe l’obbligo alla collaborazione con l’Intelligence per le Università e le Società; salterebbe anche l’inclusione della resistenza passiva nel reato di rivolta nelle carceri e nei CPR; verrebbe espunto il divieto d’acquisto di una SIM a persone senza cittadinanza comunitaria. Però, rimarrebbero tutti i nuovi reati o le nuove fattispecie che puniscono molti degli strumenti storici della lotta e del conflitto sociale, nonché l’introduzione di una qualche forma di “scudo penale” per le forze dell’ordine, anche se mitigato (qui un piccolo approfondimento del Fatto Quotidiano).

La risposta a questo colpo di coda è stata dura: la Rete “A pieno regime – No DDL Sicurezza”, denunciando il «golpe burocratico» (qui una nota Instagram), ha lanciato presidi in tutta Italia in corrispondenza del CdM, in particolare a Roma (al Pantheon), a Bologna (in Piazza Roosevelt) e a Napoli (in Largo Berlinguer). La rete Liberi/e di lottare ha annunciato mobilitazioni (qui una nota Instagram). Scenderanno in piazza anche AVS, la CGIL (qui il comunicato), il M5S (che aveva da tempo lanciato un presidio domani contro il riarmo) e il PD; insomma tutte le opposizioni parlamentari. A Milano, l’assemblea cittadina contro la repressione sarà impegnata domani sabato 5 aprile in una mobilitazione diffusa contro DDL Sicurezza, Guerra e Zone Rosse, recentemente estese dalla Procura fino a settembre (Zone Rosse che hanno rappresentato un’anticipazione amministrativa di una parte del DDL Sicurezza a livello locale, quindi che rientrano perfettamente nella strategia di forzatura burocratica).

La domanda che dovremmo porci è: se la decretazione del pacchetto di leggi sulla sicurezza può essere fatta, come ogni decreto, in «casi straordinari di necessità e d’urgenza», come recita l’articolo 77 della Costituzione Italiana, qui di quale urgenza stiamo realmente parlando? Certo, non è nuovo l’utilizzo dello strumento del decreto per far passare leggi che attraverso un iter legis standard rischierebbero di essere trasformate nella sostanza, ritardate e persino bloccate: pensiamo al Decreto Rave, al Decreto Cutro, al Decreto Caivano. Ma la domanda non è mal posta: se è vero che siamo sempre spinti a pensarci in uno stato d’eccezione, emergenziale, la verità è che la risposta è chiara. Questo Governo, in linea con tutte le “democrazie” del Nord Globale, si sta preparando alla guerra: sia interna, dal momento che sta riemergendo una coscienza di classe precaria, e una conseguente attivazione politica, che non accetta più lo smantellamento progressivo dello stato sociale (senza dimenticare il nuovo conflitto economico annunciato da Donald Trump); sia esterna, poiché l’Europa sta riarmandosi – con la “scusa” della guerra russo-ucraina – per riconvertire molte industrie pesanti e limitarne la crisi, pensando seriamente all’apertura di nuovi fronti. Senza mai smettere di supportare politicamente e strategicamente la guerra di occupazione e genocida contro il popolo palestinese da parte di Israele.

In altre parole, il Governo Meloni sta puntando, perfettamente inserito in un meccanismo globale, alla transizione verso una democrazia autoritaria (che non è un ossimoro, purtroppo: sulla solidarietà tra fascismo e capitalismo, ne parlo qui), che possa conservare lo status quo (il sistema di produzione tardo capitalista, il neoliberismo sfrenato in campo economico) e dunque prevenire le rivoluzioni (dunque in funzione controrivoluzionaria), o almeno le proposte di ritorno a una limitazione del libero mercato, di accumulazione di ricchezza da parte di pochi, e di ricostruzione del welfare, di autodeterminazione dei popoli. Per questa ragione non resta molto da fare: bisogna mobilitarsi.

Demetrio Marra

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