Un anno di Genocidio, continuiamo a Resistere

Mi sento un totale schifo oggi, lo stomaco si mangia da solo e fa sembrare fame una sensazione che non lo è. Quante volte ho ripetuto e sentito ripetere “7 ottobre” quest’anno. Sembrava una data lontana e invece è tornata. È passato un anno. Un anno di mostruosità in diretta accessibili a tutto il mondo. Ci siamo svegliati nei nostri letti comodi prima di uscire al freddo per andare a lavorare di corsa prendendo un tram o una metro in cui nessuno sembrava sapere o fregargliene un cazzo. Ci siamo svegliati nei nostri letti comodi, dicevo, con le immagini di brandelli di mani, di braccia, urla che ti penetrano nelle ossa, fiamme, montagne di macerie da cui spuntava un peluche coloratissimo, bambini in coda per un pezzo di pane, cibo lanciato dal cielo che giovani palestinesi stremati dovevano andarsi a prendere a bracciate in mezzo al mare, rischiando di essere uccisi dalla marina israeliana, a volte questi doni dall’alto uccidevano anche qualche persona finendo in zone di tende affollate, abbiamo visto un cratere di nove metri che si è inghiottito persone che dormivano in un accampamento, carovane di centinaia di migliaia di palestinesi muoversi su e giù per la Striscia cercando un posto sicuro che non è mai esistito, madri con bambine trasportate su una valigia, anziani a piedi scalzi percorrere chilometri senza mangiare da giorni, abbiamo visto corpi di neonati dentro fagotti minuscoli di lenzuola bianche macchiate di sangue, abbiamo visto corpi di bambini senza testa fatti vedere al mondo, bambine che portano con sé il sogno di essere una principessa Disney in una tendopoli, infezioni terribili sulla pelle, bambini senza mani, braccia, gambe, occhi allucinati, enormi di terrore, gattini portati con sé in un esodo senza fine come parte della propria famiglia, asini bianchi schiacciati dalle macerie con un sangue rosso acceso che non poteva non darti una stretta al cuore, abbiamo visto giornalisti e giornaliste palestinesi raccontarci tutto quello che vivono, senza mai mostrare la paura, i loro volti parlano di stanchezza impossibile da sanare, tristezza profondissima che in alcuni momenti tocca la disperazione, ma comunque il giorno dopo tornano sul campo a raccontare il genocidio del proprio popolo, delle proprie famiglie, giornalisti che sono target deliberato di Israele, subiscono minacce costanti e vedono i propri colleghi e amici uccisi, ogni giorno, ci siamo affezionati a loro, ci svegliamo al mattino per controllare se sono ancora vivi, abbiamo visto poi l’invedibile sui social e tv israeliane, soldati indossare la lingerie di donne palestinesi appena uccise e facendo foto ricordo, esplosioni di abitazioni civili dedicate alla propria fidanzata, soldatesse che sembrano modelle ballare sulle macerie, abbiamo visto un anziano rabbino benedire uno dei soldati che è stato ripreso violentare insieme ad altri due con spranghe di ferro rovente un palestinese nel carcere di Sde Teiman, abbiamo visto un giovane uomo di Gaza con la sindrome di down sbranato da un cane delle IDF e lasciato morire di stenti allontanato dalla famiglia, abbiamo visto torturare e uccidere disabili, umiliare donne, arrestare bambini, ministri inneggiare al genocidio e il mondo (non tutto perché il mondo non è solo l’Occidente) negare che fosse genocidio, abbiamo visto superstiti di un genocidio scandalizzarsi pubblicamente per l’uso “improprio” di questo termine al posto di scandalizzarsi per le immagini che ci inseguono nei nostri sogni di notte ma che sono più reali di questo computer su cui scrivo ora, abbiamo sentito la voce disperata di una bambina di 6 anni intrappolata in un’auto con tutti i suoi familiari uccisi da una bomba israeliana mentre chiamava un’ambulanza i cui paramedici verranno in seguito uccisi e anche lei, Hind, dai proiettili di qualche soldato israeliano, abbiamo sentito parlare di bambini della luce e bambini del buio, di animali umani, di esercito morale e terroristi sgozza-bambini, abbiamo sentito dire che è giusto radere al suolo tutti gli ospedali di Gaza e nell’unico oncologico ci abbiamo visto banchettare dentro soldati e soldatesse dell’IDF dopo averlo reso una base militare, abbiamo quasi riso quando ci è stato mostrato alla CNN un foglio a quadretti A4 appeso a un muro di un ospedale e un ufficiale israeliano “spiegava” che era una lista di nomi di “terroristi” di Hamas quando invece si trattava di un calendario con i giorni della settimana scritti a mano, abbiamo visto coloni in Cisgiordania armarsi fino ai denti e occupare villaggi palestinesi senza più nessun pudore, ragazzini arrestati e incarcerati per mesi senza un motivo, ma per “prevenzione”, giovani in America darsi fuoco contro questa ingiustizia maledetta, abbiamo visto la polizia a Berlino e negli USA massacrare manifestanti pacifici, abbiamo visto sionisti come i fasci pestare brutalmente chi indossa una kefiah, siamo scesi in piazza, nelle vie, spesso periferiche e nascoste, abbiamo trascorso le stagioni camminando ogni sabato, ce ne siamo accort* perché i nostri vestiti cambiavano e alla giacca si sostituivano i sandali, all’ombrello gli occhiali da sole, eravamo lì anche se non c’era più nessuno e anche se dal carro spesso dicevano cose che non ci appartenevano, con toni che non ci piacevano, ad un certo punto sono spuntati bandiere e cartelli che non dovrebbero esserci, nel frattempo il nostro governo sta stringendo la morsa repressiva sempre di più e noi siamo qui a scazzare sui social perché c’è chi vuole diventare unico detentore della causa palestinese in Italia e non transige su modalità diverse dalle sue, o perché, uno che sicuramente conosce poco le dinamiche di militanza, ma che da mesi fa un’informazione importantissima mettendoci tutta la sua anima, accusa chi ha lanciato bottiglie e bombe carta sulla polizia di essere infiltrati e dall’altra parte ci si scaglia su di lui dicendo quanto è sfigato chi pensa che fossero infiltrati, o quanto il corteo sia stato organizzato male… È passato un anno e mi sembra che l’unica cosa con un minimo di senso che abbia fatto è stata inviare dei soldi a qualche famiglia a Gaza e convincere le persone vicine a me a farlo anche loro. Se ci penso un attimo in più, però, credo che anche molto altro ha avuto senso, ma credo sia il momento di riflettere, fare autocritica, ricentrarsi, rendersi conto più che mai che siamo granelli di sabbia che non valgono niente se da soli ma magari insieme possiamo fare qualcosa, non dividiamoci cazzo, non ha senso e riflettiamo sulle dinamiche che stiamo vivendo, i social credo siano una grandissima parte del problema, sì, li si può usare ma dobbiamo essere consapevoli delle dinamiche che possono innescare. Anche se probabilmente era sbagliato lanciare il corteo nazionale del 5 come la celebrazione del 7 ottobre, credo comunque che sia stata una data importante, di svolta, e non so come si sarebbe potuto fare altrimenti. Credo però che ci sia e ci debba essere la possibilità e la libertà di credere nella resistenza del popolo palestinese senza inneggiare all’Iran e comunque cercando di essere sempre critici e ascoltarci a vicenda. Credo anche che quello che credo io come ognuno di noi in Italia conti ben poco e ciò che è più importante è cercare di essere concreti rivolgendoci di più al nostro governo complice dello Stato terrorista di Israele rispetto a voler fare geopolitica e sentendoci parte di una resistenza radicale che non ci appartiene e che in fondo non sappiamo neanche cosa significhi. Infine, credo che sia difficilissimo restare umani ma che forse sia l’unica chiave affinché la storia cambi rotta. Non vuol dire no alla violenza della resistenza, quella è sacrosanta e comunque non spetta a noi giudicarla, ma vuol dire provare a credere che un unico stato in cui si possa convivere come lo si faceva prima del ’48 tra musulmani, cristiani ed ebrei sia ancora possibile e questo, come dice Ilan Pappè, sarà possibile proprio perché il progetto e l’ideologia sionista imploderanno dato che l’esistenza di uno stato non si può basare per sempre solo sulla perpetrazione della violenza oppressiva. Questo probabilmente succederà anche senza il supporto della comunità internazionale, ma se esso ci fosse il processo di transizione sarebbe molto più breve e molto meno doloroso e credo sia il nostro compito fare pressione sui nostri governi per applicare sanzioni ad Israele e non inviare più armi. Lottando per una Palestina libera from the river to the sea.

Violetta Banasfeg

* foto di Carlo Manzo

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