10 momenti indimenticabili del Movimento No Expo, 10 anni dopo

Molto più di una lotta a debito, cemento e precarietà.

Mentre tutto intorno continua la grande farsa
Mentre vicino a me amici non importanti
Mentre poco fa attimi di gioia esplosiva
Mentre fra poco ancora parole e risate
Ma adesso solo buio
Adesso tutto dentro
Tutto cosi’ lontano
Tutto dentro, amore e dolore, tutto dentro
Tutto dentro, Negazione

La contestazione al mega-evento che per sei mesi ha allestito il suo tendone circense a Milano ha avuto non uno, non due, almeno tre pregi: aver generato l’ultima rete trasversale di movimento dipanatasi a Milano, aver figliato una piccola-grande vittoria la cui eredità di relazioni e fiducia è ancora percepibile nel far-west metropolitano, aver individuato e denunciato pubblicamente alcuni dei trend di governo del territorio più significativi (weekification, privatizzazione degli scali, uso e abuso della logica commissariale) per la città, e a cascata per il Paese. A un certo punto, dopo anni di exploit momentanei e tanto lavorio sotterraneo, anche nel 2015 si è presentato il 1 maggio. In quella giornata precipitano l’inaugurazione dello show e la tradizionale parade techno-precaria, ma soprattutto precipita, intorno alle 16.37, l’intera Attitudine No Expo. Siamo andat* a sbattere come in un incidente alla moviola: il tempo dilatato della ripresa ti da occasione di aprire gli occhi, ma non concede i secondi necessari per mettersi al riparo dall’inevitabile crash. Ci arriviamo tra 8392 battute spazi inclusi. Prima vi invito ad esplorare una personalissima playlist multimediale dei migliori dieci episodi che forse vi siete pers*, o semplicemente sono caduti nell’oblio, e che hanno dato senso e dissenso a quella vorticosa stagione. Se la classifica non vale la pena di una scorsa, non la varrà per certo nemmeno il commento che chiude questo memoir di un militante no expo.

10° posto: Torre PTB
Alla base della piramide troviamo il pomeriggio del 30 settembre 2012. La contestazione alla trimurti TEEM-BreBeMi-Pedemontana ci porta in corteo a Desio. I dissidenti pianificano una piantumazione all’ingresso di una nota filiale bancaria del centro, ma un reparto della finanza è inopinatamente posizionato proprio sul luogo del (mancato) misfatto. Il piano B prevede l’ingresso nel cantiere esanime di un grattacielo di una ventina di piani, che da vent’anni troneggia su quell’angolo di Brianza, ben visibile una volta presa la via della Statale 36 in direzione del profondo nord. Tra cesate e pannelli di legno pressato osb si corre su per le scale un piano dopo l’altro (così mi dicono) fino a salutare l’arrivo del corteo con lo striscione “Questo è il vostro modello di sviluppo: NO Pedemontana”.
P.s. 13 anni dopo il grattacielo non è mai stato completato, la Pedemontana nemmeno, le previsioni di traffico sono crollate, i costi invece sono lievitati enormemente.

9° posto: calcetto in BreBeMi
Cambiamo anno e territorio, ma restiamo in tema di grandi opere. Piccole canaglie orobiche sfidano l’inutilità dell’autostrada che non parte da Brescia, non passa da Bergamo e non arriva a Milano improvvisando un allenamento di pallone in uno scenario di allucinata, assolata, solitudine. Semplicemente geniale il Pacì!
P.s. Nonostante le tariffe fuori mercato nel 2023 la BreBeMi ha chiuso il suo dodicesimo bilancio consecutivo in passivo.

8° posto: Comitato No Expo
Back to the origins tutto ha inizio a cavallo tra SOS Fornace e Cascina Autogestita Torchiera Senz’Acqua nel 2007: il primo dossier consegnato al BIE nell’inverno 2008, il primo Festival nell’estate 2010, la strenua difesa dei cancelli di via San Martino a Rho un anno più tardi. Il volto che più mi ricorda questa stagione è quello rassicurante di Alfredone e delle sue tirate sul PGT di Cinisello Balsamo. Il compagno che tant* ricorderanno per l’impegno sindacale nei Cobas o per l’epopea del vecchio Leoncavallo è anche l’uomo con cui ho condiviso settimane di passione nella nostra onirica convivenza in via dei Transiti.
P.s. Dai tempi di Garbagnate la Fornace ha dovuto cambiare tante case e superare cento traversie. In queste settimane ha festeggiato 20 anni di autogestione alle porte della metropoli.

7° posto: Ravenna
Dalla saldatura col frangente torinese del Movimento NoTav nasce la rete Dalla parte della terra, che ci porta a Bussoleno, alla libera repubblica della Maddalena, e nell’autunno 2012 fa tappa a Ravenna fin davanti ai cancelli della CMC. Un viaggio indimenticabile ritmato dai cori di Peppino e Jack, un mio tentativo (del tutto fallito) di issare la bandiera NoTav sul tetto della stazione FS già occupata da un nido della digos.
P.s. Interessanti anche gli approfondimenti sulle tradizioni enogastronomiche, a rinforzare la saldatura tra lotte della Valle e della bassa.

Cupola Geodetica

 

6° posto: Climate camp
Per la prima volta a Milano e forse in Italia portiamo un campeggio di azione climatica sui terreni di Cascina Merlata, no man’s land tra pertinenze cimiteriali, scampoli di allevamento ovino e nuova urbanizzazione. Alle nostre spalle si lavora di gran lena per edificare il villaggio Expo mentre la nostra tribù cresce e si cimenta con critical mass, ortismo urbano e autocostruzione con materiali di recupero. Nel video il test di una delle cupole geodetiche realizzate con canaline elettriche, che accoglieranno gli intervenuti al campeggio e saranno poi riconvertite in tendone collettivo nell’estate di Venaus.
P.s. la tre giorni porta con sé l’unico ferito sul campo in anni di mobilitazione, lì abbiamo seppellito il ginocchio di Antonio.

5° posto: Expopolis
Non voglio ricordare tanto il libro quanto il carattere cangiante del gioco da tavolo con cui andiamo a detournare il classicismo monopoli. Diviene presto un dispositivo ludico da personalizzare e performare nelle piazze di Rho e Torino, e da cui germinano nuove spontanee edizioni da Gratosoglio a Sesto San Giovanni, da Mantova a Venezia.
P.s. D. ne aveva fatta un’edizione customizzabile online, ma ci dimenticammo di rinnovare il dominio. A lui associo almeno un’altra goliardata che ha rischiato di farci passare due guai, non condivisibile nemmeno a dieci anni di distanza.

4° posto: Con gli Ottoni a scoppio in Triennale
Concomitante al progetto di S. Boeri Municipi dell’abitare (che immaginava nell’antica Cascina pubblica occupata dal ‘92 delle boe di accoglienza per ospiti e turisti) arriva il primo di tre tentativi successivi di valorizzazione (leggi privatizzazione uso sgombero) della più nota cascina senz’acqua della città. Dopo un’azione mattutina alla BNP Paribas decidiamo per il raddoppio in Triennale dove sindaca e AD di Expo 2015 (all’epoca L. Stanca) raccontano alla stampa l’evento che verrà. Sarà per la banda, sarà per l’improvvisata, riusciamo a prendere parola in una sala attonita e divertita.
P.s. Dopo 33 anni di autogestione di cui la gran parte segnati dalla negazione del diritto universale all’acqua, e dopo ben tre tentativi di sottrarla alla cittadinanza per offrirla al mercato, la Torchiera è ancora ben salda al civico 18 del noto piazzale.

3° posto: Monza
Il 7 luglio 2013 me lo ricordo come una giornata di sole e rara creatività, costellata di azioni comunicative, striscioni su palazzi e cavalcavia, attacchinaggi sportivi, barricate mobili a ingentilire rotonde drammaticamente spoglie. Un giovane Danielino viene proiettato con tanto di bici letteralmente all’interno di un cespuglio da un placcaggio mezzo riuscito della polizia a soli duecento metri dalla Villa Reale, dove riusciamo comunque ad arrivare alla faccia del generoso dispositivo di contenimento dei manifestanti.
P.s. Questa data segna un’altra sorellanza senza tempo: quella con una FOA Boccaccio inedita rispetto ai tempi di no human no cry e diversa da quella di oggi, ma sempre speciale.

2° posto: Piano Terra
Proprio quando il quartiere culla delle occupazioni abitative e delle controculture (Centro sociale Isola, Pergola, Garigliano, Metropolix, V33, Stecca..) era dato definitivamente (prematuramente?) per perso si apre il Piano Terra al civico 3 di via F. Confalonieri: in faccia ai cantieri del Bosco verticale e del Rasoio. Il Comitato No Expo è una delle quattro realtà che tentano l’arrocco con i lavoratori Autoconvocati, il lab. Off Topic che è uno dei centri nevralgici dell’attitude e ancora la crew del Santo Precario.
P.s. Il nuovo centro civico, il modam, la riqualificazione del Bussa, per farla breve ogni singola promessa di utilizzo civico degli oneri di Porta Nuova è stata sostanzialmente smentita. Eppure, lungo la faglia che separa quel che resta dell’Isola dal distretto instagrammabile, il “PT” permane, persiste, insiste dal marzo 2012, opponendo alla logica dei boschi verticali quella dell’orizzontalità, della biodiversità, dell’ostinazione.

1° posto: No canal
La potenza di questa lotta l’abbiamo compresa solo dopo la sua fine. Si fa un gran parlare di legacy, ecco questa cosa nata piccola con un protagonismo di periferia, ha archiviato a cantieri aperti un’opera da 90 milioni di euro e convinto il consiglio comunale a stornare i quattrini rimasti sulle fragilità del sistema idrografico della città. I presidi alle sei di mattina in un Parco Trenno più che nebbioso, le assemblee popolari (a Trenno, Gallaratese, Baggio), le olimpiadi no canal, le fiaccolate serali, le scritte fatte con le cesate di cantiere “addormentate” a terra. Il giorno in cui i due cortei si incontrano al ponte di via Novara per occupare i cantieri con lo spaventa-ruspe da queste parti è rimasto ben impresso come esempio di confluenza e determinazione.
P.s. è finita che i soldi sono stati nuovamente spostati sugli extracosti del Padiglione Italia dell’Esposizione, ma le relazioni sedimentate hanno dato fiato alle resistenze di Piazza d’armi, del Parco delle cave, del Bosco di via Falck e ancora danno filo da torcere quando è il caso nel far-west ribelle.

Ci sono altre cento cose forse più importanti, per certo divertenti nella loro goffaggine, tra cui un tentativo di cementare una struttura sotto la pioggia battente in Martesana e innumerevoli arrampicate sulle porte di Expo allestite in Cairoli, il NoExpo Pride, il permesso negato per ben due volte agli accessi, Genuino clandestino, il microfono scippato (ma subito ripreso) da un certo Toninelli non ancora ministro in una manifestazione in provincia, l’ingresso al cantiere del 12 dicembre, e ancora la taz The ned, per citarne giusto alcune in ordine sparso. Non le ricordo però con gli stessi colori di queste dieci, un fatto del tutto personale.

Andiamo a concludere col fatidico primo maggio. Il percorso decennale della MayDay parade, qualcosa che meriterebbe un’attenzione forse maggiore di tutto quanto detto fin qui, era sostanzialmente concluso. La accompagniamo fino al giorno dell’inaugurazione di Expo, o meglio ci lasciano fare. Le proposte degli anni successivi non troveranno lo smalto della benedizione, persa pure quella, di San Precario. In mattinata un’azione saluta l’apertura dei cancelli, l’atmosfera è quella di un’attesa carica di tensione. I numeri ci sono, gli argomenti sono noti e tutto sommato ben accolti, sono le spalle che mancano. Il tour di presentazione non si è espresso univocamente e la stagione delle strutture di movimento (verso cui Milano ha dimostrato storicamente una certa insofferenza) è comunque tramontata. Non è un problema di opportunità pubblica quanto di opzione politica: l’assemblea parla con una voce, ma in piazza si scherza col fuoco. La manifestazione è davvero imponente, eppure destinata a scomporsi sotto il rombo del mostro evocato, l’elettricità del primo pomeriggio si accartoccia in una scarica di incomprensioni. Destinata non è corretto, va così. E comunque, per quel che vale, il serpentone tiene fino alla fine, trascinato a forza dai cordoni di apertura mentre dal cuore del corteo si sprigiona una nube di fumo e lacrimogeni. Arriveranno le spugnette, le dissociazioni, i j’accuse. Fatico sempre a cambiare idea e resto quindi dell’opinione che i processi si lasciano ai giudici e i commenti ai giornalisti. L’importante per noi altri era non sprecare tutto quanto accumulato in fuochi fatui, allo scopo di sprigionarlo nei sei mesi successivi. L’importante non fa notizia, e non ha nessun hype, un po’ come la proposta di portare la manifestazione verso il sito espositivo, che era l’opzione su cui ci eravamo baloccati per troppo tempo. Qualunque sguardo laterale espone il fianco così abbiamo tenuto ancora il giorno successivo, un terzo, poi la rete è collassata nei distinguo. Siamo andat* ostinatamente avanti tra inutili chiarimenti ex-post, accuse malcelate di ingenuità o all’opposto di laissez-faire. All’epoca stavo in Off Topic che da quelle ceneri ha tirato fuori progetti quali Pieghevole, Scandaglio e Diserzione, ad un ritmo incessante, come a coprire l’affanno spostando tutta la squadra in avanti.

Non si doveva andar avanti nonostante tutto, ma si poteva. Qualcosa si è spezzato? Certo i riot lontano da casa sono sempre più belli sia visti dal vivo, che visti dal vivo su youtube. Cosa nota. Il problema però non può essere morale, oltre i tediosi appunti di tropp* sulla non violenza, la conflittualità va saldamente ancorata all’opzione politica. La sfida lanciata dai No Expo aveva un’ambizione processuale, l’esito è stato una discreta fiammata di un’oretta e quindici minuti. Non vi ho riconosciuto nulla del disegno, non certo senza sbavature, che aveva ispirato il decennale di Dax. Un po’ poco per tutto quell’investimento, un po’ tanto per reggerne il peso nel semestre a venire. Non ho ritrovato la stessa fiducia nei processi collettivi dopo quella ustione, mi sono in buona sostanza fatto da parte dagli ambiti nazionali e internazionali per questo, e quando vedo un certo divertentismo indifferente sputare su mesi di assemblee sento ancora il bruciore sulla cicatrice di quel giorno. C’è stata poi la coda repressiva, che non può e non deve esser messa nel conto pena l’immobilismo, ma con cui in poch* abbiamo fatto poi i conti a suon di benefit e raccolte fondi. Oltre ogni retorica reducista l’attitudine NoExpo è stata anzitutto una palestra di vita politica, immaginario e relazioni, di mescolanza di generazioni e culture politiche, rigenerativa al di là dell’inciampo che ci ha seriamente segnato il volto, senza per questo renderci meno bell*. Qualcosa che giornalisti, società civile, politica e alleat* non ci hanno strappato e nemmeno soggettivamente siamo stat* in grado di lacerare nonostante l’impegno profuso. In quell’alchimia abbiamo evocato un piano di confronto trasversale su lavoro, territori, economia, città, alimentazione e fare di tutto questo controprogetto. Far precipitare il giudizio di questi 10+6 anni in un pomeriggio non fa per me. Anche dieci anni dopo preferirei tenermi tutto il pacchetto completo, senza esclusioni, senza effimere ucronie, tutto dentro, come i Negazione.

Alberto (abo) Di Monte


scrivo cose su bibliotecaria.noblogs.org e amonte.noblogs.org

Tag:

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *