Cronache dall’abisso. Gli ultimi aggiornamenti dal Medioriente
A Gaza l’esercito israeliano ha abbandonato l’ospedale Kamal Adwan di Bei Lathia dopo aver arrestato il personale sanitario ed evacuato malati e feriti.
I soldati hanno barbaramente distrutto tutto, comprese le aule con le incubatrici per i neonati. Non hanno trovato né armi, né combattenti.
Un numero indefinito di uomini, donne e bambini palestinesi sono stati arrestati, denudati e deportati in luoghi sconosciuti.
La notte di sabato i caccia israeliani hanno compiuto un’altra strage a Beit Lahia. Sono stati bombardati cinque palazzi pieni di sfollati uccidendo 34 persone.
Molte delle vittime si trovano ancora sotto le macerie a causa dell’annientamento della capacità lavorativa dei soccorritori tra uccisi e arrestati.
The Lancet, rinomata rivista scientifica, stima che a Gaza siano state uccise più di 180mila persone.
Nel frattempo, in Libano, sono state uccise 20 persone negli incessanti bombardamenti israeliani a Beirut e nel Sud del paese.
Il Ministro della Guerra israeliano ha affermato che qualsiasi trattativa andrà fatta sotto la pressione delle armi.
Questo atteggiamento israeliano è sostenuto da Washington che, nello stesso tempo, fa finta di mediare, mandando a Beirut un suo emissario, ex soldato dell’esercito israeliano. Una missione fallita perché le richieste statunitensi sono l’applicazione delle condizioni di Tel Aviv.
Sul fronte di terra l’esercito israeliano è in difficoltà. Tutti i giorni elicotteri israeliano riportano indietro soldati morti o feristi. Il portavoce di IDF riconosce queste perdite soltanto dopo alcuni giorni dai fatti, per ridurre il loro impatto mediatico.
Ad un mese dall’inizio dell’invasione di terra l’esercito israeliano è penetrato in territorio libanese per pochi chilometri e non ha conquistato nessuna città o villaggio in mondo completo. Occupa di giorno e poi si ritira di notte.
Il ricorso alle demolizioni di interi quartieri o villaggi con la dinamite permanente delle zone. Tel Aviv vuole probabilmente impedire il ritorno dei cittadini libanesi nelle loro case. Ieri è stata anche la giornata con il maggior numero di missili e droni lanciati da Hezbollah dall’inizio dell’invasione. I combattenti libanesi sono passati a una fase offensiva in profondità del territorio israeliano. In precedenza i razzi libanesi colpivano colonie situate in territori libanesi o siriani occupati nel 1967 mentre ora i missili raggiungono Haifa e la periferia di Tel Aviv. Invece che riportare gli sfollati alle loro case Netanyahu ha provocato la fuga di altri verso Sud.
L’Iran ha invece dichiarato che nei bombardamenti israeliani del 26 ottobre sono stati uccisi 4 soldati. “Ci riserviamo il diritto di rispondere”, ha detto il portavoce dell’esercito iraniano. Il governo ha chiesto la convocazione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU. In Israele, invece, il dibattito verte sulla debolezza della risposta rispetto alle minacce iniziali. Alcuni membri dell’opposizione sono più estremisti del governo. Il ministro Ben Gvir ha stigmatizzato quelle che ha definito “carezze di facciata”. Per il ministro estremista andava data a Teheran “una lezione esemplare colpendo impianti petroliferi e centrali nucleari”. A livello internazionale, i paesi della NATO sono tutti concordi nel chiedere a Teheran di non rispondere “per non allargare il conflitto a tutta la regione”. Stranamente questo invito non viene diretto mai a Netanyahu. La politica dei doppi standard.
Ieri a Doha si sono incontrati i capi della CIA e del Mossad per discutere della proposta egiziana. “Disponibilità allo scambio di prigionieri a condizione di garanzie del ritiro israeliano e fine dell’occupazione”, sostiene il canale Il Cairo Ikhbaria (Cairo News). Lo stallo rimane.
A Tel Aviv, le famiglie degli ostaggi e loro sostenitori accusano Netanyahu di non voler arrivare a una soluzione negoziata del problema per propri interessi personali e calcoli politici, interni e internazionali. Nei loro cartelli lo scrivono chiaramente: “Vuole evitare i processi per corruzione”. Gli analisti delle tv israeliane sono quasi unanimi nel ritenere che prima del 5 novembre non ci sarà nessun accordo per non favorire Harris e danneggiare Trump. Inoltre l’escalation militare in Libano e contro l’Iran ha rafforzato elettoralmente i partiti di destra, il Likud in primis.
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