Olimpiadi sì, Olimpiadi no. Olimpiadi COME?

Milano-Cortina 2026: opportunità o ennesima occasione persa? Dipende, forse, anche da noi.

Quando due giorni fa, poco dopo le 18.00, è stata annunciata dai megafoni della metropolitana milanese la vittoria dell’opzione Milano-Cortina come palcoscenico delle Olimpiadi invernali 2026 un boato di gioia, eco delle grida esultanti del Sindaco Giuseppe Sala, ha attraversato i tre livelli della stazione di Loreto. La mattina dopo, ogni display e altoparlante ATM annunciava la vittoria: “Preparati a scendere in pista!”. E una sorta di compiacimento, accompagnato da senso di appartenenza alla propria città, si dipingeva sulle facce dei passeggeri intenti alle loro faccende quotidiane.

Non si sono fatte attendere, d’altra parte e com’è ovvio che sia, le reazioni a caldo delle opposizioni ai cosiddetti “Grandi eventi”, primi tra tutti quelle dei tanti giovani che in questi mesi hanno animato le mobilitazioni di FridaysForFuture, che giustamente si sono posti, anzi hanno posto, la questione: “Ma come, Sala dichiara l’emergenza climatica e poi ospita le Olimpiadi?”.

A loro si aggiungono, memori dell’esperienza Expo 2015, tutti coloro che ai tempi, prima con scetticismo poi con autentica disapprovazione, hanno contestato la gestione dell’esposizione universale milanese, che con buona probabilità saranno stati attraversati da un’ondata di sudore freddo.

C’è poi la questione Olimpiadi invernali di Torino 2006, evento che ha certamente lasciato dietro di sé cadaveri difficili da sotterrare come il villaggio olimpico (poi ex-Moi) e i diversi crateri nel bilancio conclusivo, ma che nel contempo non si può negare abbia contribuito a un miglioramento della vivibilità, nonché dell’estetica, della ex-città Fiat.

Già nel 2014, durante i preparativi di Expo, c’era chi scriveva che:

“Le esposizioni universali, le olimpiadi, i grandi raduni potrebbero potenzialmente rappresentare – e talvolta lo hanno fatto – delle occasioni per le città di riflettere su se stesse, migliorarsi e rilanciarsi.

 Il caso più recente è senza dubbio quello di Barcellona. Una generazione di generosi architetti, esiliati dal franchismo, fa ritorno a Barcellona e la ri-concepisce a partire dall’occasione offerta dalla possibilità di ospitare i Giochi olimpici del 1992. Una città a vocazione gotica, oscura nel suo centro storico, che voltava le spalle al mare e al porto, viene completamente trasformata. Si progettano un lungomare e una spiaggia, una riqualificazione del centro storico e soprattutto un miglioramento minuto degli spazi pubblici, marciapiedi, giardini, fontane, panchine, illuminazione.

 La città deve essere anzitutto vivibilità e decoro – si noti bene, non parliamo di decorazione come mero abbellimento strategico che funga da mimetizzazione dei meccanismi di speculazione e mala progettazione – e il resto verrà dopo. Si interra la strada che separava la città dal mare, si costruiscono parcheggi, si dà spazio al pedone e al flâneur e si concepisce una città che sia il simbolo della piacevolezza quotidiana. Barcellona diventa la capitale dei giovani: inconcepibile fino a dieci anni prima.

Il progetto per l’Expo milanese avrebbe potuto essere un’occasione simile, tanto più considerato il potenziale di interesse del suo tema, la Nutrizione. Se solo alla base vi fosse stato qualcuno davvero in grado di svilupparlo.

Ma piuttosto che una riqualificazione generale della città – che ne avrebbe veramente bisogno – si è pensato che grattacieli, cubature di cemento verticale, vetrature altisonanti fossero gli ingredienti giusti. Come se la scala cui rapportarsi dovesse essere quella di una Dubai e non di una città italiana.

E ovviamente il tutto si dimostra ben presto impraticabile, il budget deve essere grossolanamente ridimensionato e i tanto agognati – e già dubitosi – grattacieli di City Life rimangono sottoterra. Eppure con molti meno sperperi di denaro si sarebbero potuti rifare i marciapiedi, che a Milano altro non sono che uno strato di puro bitume, riqualificare le strade, l’illuminazione, rivedere il rapporto tra spazi privati e spazi pubblici, quasi inesistente a discapito dei secondi. Milano sembra rappresentare il disastro dell’architettura contemporanea in chiave provinciale […] È un ridisegno della ‘proprietà’ che ci vuole, se si vuole un ripensamento della città come ‘uso civico’, come bene comune, molto poco nel senso negriano e molto più nel senso delle comunanze che l’Italia ha conosciuto fin quando un rozzo statalismo le ha soppresse”. (leggi l’intero articolo su Doppiozero)

Cosa vogliamo dire con questo? Prima di tutto che un evento internazionale per definizione porta con sé effetti potenzialmente positivi per la città ospite quali l’afflusso di turismo che a suo volta attiva il flusso economico e, ancora più importante, l’apertura culturale e lo scambio. Così come, non meno fondamentale, i grandi eventi di questo tipo portano finanziamenti anche ingenti che potrebbero essere utilizzati per sanare mancanze o malfunzionamenti urbanistici delle aree che lo necessitano. Non da ultimo e non meno importante, per focalizzarsi su una trasformazione della città in una direzione nuova e altrimenti impraticabile in mancanza di fondi esterni.

Il punto fondamentale allora diviene il seguente: come intendiamo utilizzare questi finanziamenti? Come intendiamo controllare e valorizzare il turismo in modo che si faccia portatore di apertura e sostegno per le attività commerciali locali e non soltanto una scusa per speculare prima di tutto sugli affitti rendendo la vita ancor più impossibile per tutta quella fetta di cittadinanza milanese non proprietaria di casa e in difficoltà nel permettersi i servizi di base? Quali sono i piani per impedire l’esclusione delle fasce più deboli della popolazione attraverso la riqualificazione delle periferie e per il rilancio in positivo di un progetto di edilizia popolare fermo da decenni? Intendiamo o meno posizionarci con decisione per opporci a quell’allontanamento di tutti gli “indecorosi” che è invece stato il prodromo di Expo?

Ecco, se c’è un primo elemento che accomuna Expo 2015 alle Olimpiadi 2026, tale elemento si incarna nella persona di Beppe Sala, oggi Sindaco di Milano.

Ebbene, ci auguriamo che Sala si dimostri nei fatti il “visionario attivo” che si dichiara a parole e che abbia il coraggio, questa volta che ne ha davvero l’opportunità, di affrontare l’occasione per dimostrare che anche Milano può raggiungere il livello di avanguardia che stanno dimostrando alcune capitali europee nell’intraprendere un percorso mirato alla sostenibilità, dal punto di vista climatico ma anche urbanistico e non da ultimo sociale. Citiamo ad esempio il provvedimento contro il rincaro degli affitti approvato a Berlino pochi giorni fa, come anche l’impegno di Copenaghen ad azzerare le emissioni dovute all’utilizzo di combustibili fossili entro il 2025. Ricordiamo peraltro che Milano, insieme a Bologna, Firenze, Torino, Arezzo, Capaci, Mantova, Modena, Senigallia e Zugliano, ha sottoscritto la missiva che invita l’Ue a puntare all’obiettivo delle zero emissioni entro il 2050.

I prerequisiti dunque ci sono, aree da riqualificare in città ne abbiamo, così come aree verdi da implementare e trasporto pubblico ed elettrico da rendere maggiormente efficiente e accessibile. Giovani con idee e voglia di fare da impiegare (e retribuire di conseguenza) nei vari settori, dalla progettazione alla gestione e all’assistenza, anche, ne abbiamo in quantità.

Dopo tutte queste premesse, alcuni spunti aperti ai movimenti. Forse, per una volta, dovremmo essere un po’ meno dicotomici e un po’ più lungimiranti. Memori dei fallimenti dei movimenti di opposizione tout court di cui noi stessi siamo stati parte attiva (andando a ritroso, da Expo 2015 fino ai Mondiali del 1990) che non si sono dimostrati in grado di proporre alternative innovative né di interpretare e rappresentare l’interesse e l’opinione della società civile, forse potremmo spendere un momento per riflettere sulle potenzialità insite in un’occasione come quella che ci si apre davanti. Monitorare e fare pressione perché i fondi siano utilizzati nel modo più appropriato, magari sfruttando l’opportunità per proporre finalmente di mettere in pratica idee e provvedimenti che ci stanno a cuore. Con la consapevolezza che un ruolo determinante in questo scenario potrebbe essere giocato dai recenti movimenti ambientalisti a forte caratterizzazione giovanile che, non a caso, a Milano hanno trovato il loro epicentro italiano.

Non è detto che verremo ascoltati, ma se non altro avremo l’occasione di metteremo chi di dovere nella condizione di scoprire le proprie carte e di fare una scelta. O la speculazione, o la città sostenibile e aperta.

S_M

* nella foto, tratta da storiedimenticate.it, lo Slalom di Natale organizzato sul Monte Stella (Montagnetta di San Siro) tra il 1982 e il 1984.

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